CIAO, MICHAEL JACKSON

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Il RE del POP MICHAEL JACKSON è trasvolato prematuramente in altri lidi lasciando esterrefatti i fan di tutto il mondo. Non posso dire di essere una di loro dato che amo un altro genere musicale, tuttavia voglio rendergli omaggio poiché nelle sue vocal – perfomance c’è sempre stato un sottile richiamo trascendente che ha carpito la mia attenzione. Ogni volta che mi è capitato di ascoltarlo o vederlo esibirsi in qualche spettacolo ho captato delle vibrazioni emotive, una sorta di grido interiore animico, un messaggio sottinteso di disagio intrinseco che andava oltre il contenuto espresso con modi anticonvenzionali ed a volte esageratamente scenografici dall’artista.  Voglio dire che mi sembrava di cogliere in lui aspetti completamente diversi dal suo modo eccentrico di esibirsi pubblicamente. Avvertivo un contrasto violento tra essenza e tangibilità, una discromia tra comunicazione occulta e palese che gli causava una sofferenza atroce. Dietro tante stravaganze, non ho mai ravvisato la bizzarria d’un artista “ genio sregolato” stranamente vi ho colto il dramma acuto di un’anima ultrasensibile intrappolata e prigioniera di angosce primordiali. Una natura medianica solitaria e triste, perennemente in lotta con spettri fantasmagorici inibitori della libertà, del suo concetto di “spazialità universale. Direi una necessità di trasmutazione ascetica d’un “genio sublimale” di ricomporre le scissioni traumatiche all’identità prodotte dall’incrociarsi spasmodico di percezioni extra sensoriali e vitali. Inoltre una ferrea volontà di elevarsi, di arrivare a un modus vivendi purificato e perfetto compatibile con le aspirazioni viscerali d’una felicità assoluta e oblativa, pronta a tutto, anche a farsi “spellare ” Vanificata però da una miriade di sollecitazioni complesse e tormentate provenienti da scollamenti tra comportamento reale e aspirazioni immaginifiche. Dietro il trucco, abiti stravaganti, movenze parossistiche, mascherine o atteggiamenti eclatanti e frivoli, ho avvertito il tentativo di mimetizzare l’ascetismo, coprire  la vulnerabilità  di  vivere una quotidianità impropria, diversa da quella che gli apparteneva  nella   memoria connessa alla quintessenza.

La sua vita artistica e umana non poteva che essere  un crogiolo espressivo enigmatico, un concentrato di carisma eclettico coinvolgente, assolutista e ostile ad ogni forma di banalità, per cui  anche il suo smaterializzarsi assume inevitabilmente  un alone ermetico.  MICHAEL J. si amava o si contestava, era impossibile ignorarlo o rimanere indifferenti, racchiudeva una energia sfuggente, esclusiva  e indefinibile  che si propagava attraverso la fusione di silenzio e sonoro: – movimento flessuoso e sinuoso del corpo  amalgamato alla spazialità senza confini della voce – Esibendosi  trovava l’equilibrio tra spirito e materia, librava nello sconfinato “rientrava” nel suo elemento naturale, forse non a caso è stato definito un Peter Pan.

Come lui “ardeva” di trovare una risposta nell’indissolubile per sopprimere la sofferenza che gli procurava l’essere imperfetto e la paura di sparire nel nulla, i brani musicali della raccolta THE ESSENTIAL, o come NUMBER ONES, THRILLER, LEAVE ME ALONE, BLACK OR WHITE, attraverso il fluire nell’etere temporale, faranno trovare ai fan la risposta alla sofferenza che oggi provano per aver perso la gioia di vederlo e ammirarlo in perfomance spettacolari,  uniche per estrosità e talento come solo un’anima complessa sa trasferire e affascinare diventando un mito. Da parte  mia c’è un “sentire” che mi tiene collegata a quella parte dell’artista che ho intraviso, per questo ho voluto aggiungere un ciao ai cori di fan sparsi in tutto il mondo. Spero che durante il “tragitto” abbia incontrato l’angels Farrah Fawcett, alla quale, come donna, non posso fare a meno di rivolgere un pensiero.

 

      

 

 

 

 

LA CONTA DEI DANNI

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La coda del ciclone, scatenatosi sul mio paesello ai primi di giugno, prevista e ribattezzata dai meteopoli refeballottadeum è passata. Dopo la conta dei danni, ogni paesano, col suo appuntino, s’è recato nella sala azzurra adiacente al bocciodromo, un vero orgoglio del paese dopo il restauro dell’anno passato, per riferire la propria situazione  ai preposti contradaioli, questi avrebbero poi fatto  una sintesi comparativa dei danni e stilato la graduatoria dei paesani più culoni, cioè quelli che con l’aiuto di qualche santerello l’avevan scampata bella riuscendo a salvare anche le brocche crepacciate al primo passaggio calamitoso. Come al solito, quando sono arrivata in compagnia della mia vicina striminzita e della bionda russa, imperversava una gazzarra incredibile. Da una parte della sala i bambini correvano e saltavano da far girar la testa, tanto loro non potevano parlare, nella parte opposta le donne gossispavano di figli, esito scolastico, vestiti, creme, costumi e vacanze creando un frastuono da sembrar la fanfara del paese. Al centro della sala i capifamiglia, maschi e femmine, erano un mucchio di coristi infervorati a far presente ai capi contradaioli, schierati in fondo alla sala sotto i propri gonfaloni con aria compunta, la numera dei danni. Assurdamente nessuno voleva essere lo sfigato del paese o il citrullo incauto,  sapeva per esperienza di altre calamità che correva il rischio di passare un’estate avvelenata da sberleffi e sfottò.  Perciò ognuno si accalorava e sbracciava cercando di sminuire i danni subiti, marcava quelli degli altri accusandoli di barare, tirava in ballo vecchie ruggini per fargli ammettere che l’appuntino dei danni era maneggiato, addirittura si impuntava denunciando crepette invisibili anche a visus di 10 decimi. Insomma tutti incredibilmente si davan un gran da fare per dimostrare di aver diritto a stare in cima alla lista dei fortunati risparmiati dal tornado, nessuno, contrariamente all’usuale, piagnucolava e caricava perdite e danni per strappare un poverino o un occhiata compassionevole. La baraonda era tale che mi son ritrovata a non sapere più se dovevo mostrare il mio onesto appuntino, tacere, giustificare i danni, oppure deformare la realtà facendo finta che il ciclone non mi aveva rotto metà degli orci ma, addirittura, ci avevo guadagnato la possibilità di sbarazzarmi dei paesani che mi facevan una spietata concorrenza mostrando giare più belle delle mie.  Avvilita ho cercato un cantuccio per riflettere. Dopo un po’ ho concluso che era meglio non mostrare il mio appuntino.  Non mi interessava di essere considerata sfigata, citrulla o finire in fondo alla lista se dovevo rigirare la verità, mi interessava trovare il modo di ricomprare gli orci che avevo perso al passaggio del refeballottadeum, quindi era meglio che iniziavo a ingegnarmi su come potevo farlo senza perdere tempo prezioso. Così ho lasciato che si sbranassero tra loro, sono andata a ciarlare con le mie vicine fin quando i portavoce dei quartieri, stanchi di baruffe e baraonde han detto che il ciclone aveva si attraversato il nostro paesello ma nessuno ci aveva rimesso un orcio, perciò tutti eravamo nella lista dei fortunati e potevamo tornare alle nostre casette contenti e soddisfatti. Veramente da qualche frase cincischiata a denti stretti e qualche muso lungo di compaesani mi è sembrato un modo sbrigativo per liquidarci piuttosto che una valutazione obiettiva di come stavano effettivamente i fatti.  Sciolto il raduno dalla sala azzurra ci siam spostati  tutti nel prato antistante al bocciodromo, dove nei tavolini c’eran torte e beveraggi che ognuno di noi, come consueto, aveva portato per concludere la serata in allegra compagnia. Sarà per il cielo luccicante di stelle che ispirava pensieri voluttuosi, la bontà di torte al cioccolato, alla crema, al kivi e altri frutti saporiti che stimolavano al godereccio, qualche buon bicchiere di Sangiovese che aveva riscaldato i ghiaccioli, la musica languorosa diffusa dalla scuola di  ballo vicina, fatto sta  s’è scatenata una sarabanda di canti, balli e risate spensierate che ha fatto dimenticare a tutti il passaggio del ciclone e le sue conseguenze.

Conclusa la festa, nell’andare a casa ero così rilassata e felice che la mia vicina striminzita mi pareva si fosse allargata, sicuramente si era rimpinzata di torte fatte dagli altri  e aveva messo su due  o tre chilietti. Viceversa,   la mia vicina russa  prosperosa mi sembrava assottigliata,  gli eran spariti  quei chili di troppo,  ogni giorno tenta di perderli  andando  in palestra, facendo tutta sera footing nel prato con  i compaesani bonaccioni, pure  il mio vicino rimbrottone e forcaiolo mi sembrava  un angioletto pacificatore. Alla fine ero molto soddisfatta, non avevo capito un granché della situazione complessiva, chi ci aveva rimesso e chi l’aveva passata liscia perchè tutti eran felici e beati ,  sapevo solo che il giorno dopo le mie vicine si sarebbero svegliate contente, senza tanti sforzi avevano ottenuto quel che da mesi sognavano: mettersi il bikini senza risultare l’una una acciuga e l’altra una balena. Come si dice non  tutti i mali vengono per nuocere, o per meglio dire:  quando il caso  ci mette lo zampino esulta il tuo vicino!!!!

 

 

 

 

YEAHH!!!

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 –  MONACI –                                    –  LES DEMOISELLES –
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Particolare affresco MASACCIO- Le capacità ritrattistiche dell’artista toccano il massimo-

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Les Demoiselles d’Avignon – Opera del periodo cubista di Picasso rimasta incompiuta

IL PALLONE

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BERY- LEMA

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Herni Julien Fèlix Rosseau detto il Doganiere :  I GIOCATORI DI PALLONE (1908) ” una rappresentazione contemporanea   che sembra esaltare i valori di gratuità e di gioco impliciti nel destino dell’uomo”

FALO’ E ACQUA DI SAN GIOVANNI

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Ovunque la vita mi trasporta, la sera del 23 giugno, vigilia della festa di S. Giovanni Battista, notte magica per eccellenza dal tempo dei tempi in tante culture, non posso fare a meno di mantenere due usanze della mia terra d’origine, cioè quella del falò e quella dell’acqua odorosa. Per la prima è facile, basta accartocciare qualche foglio di carta ai margini d’una strada, buttarci un cerino acceso e subito come recita la tradizione “ lingue di fuoco s’innalzano dal piccolo falò a rischiarar la notte fugando le ombre malefiche c’oscuran l’avanzar del  benigno dì ” Lo salto  tre volte per esprimere un desiderio o pensare ad un problema che mi assilla. Si realizza entro il solstizio invernale, purché l’uno o l’altro non siano per scopi egoistici o vanitosi altrimenti accade esattamente il contrario. Come si dice “San Giovanni non vuole inganni”…

La seconda usanza non sempre è facile rispettarla, specie se sono in qualche località arida come il deserto. Ho scoperto  che i Berberi celebrano questa notte. – Occorre reperire petali di  fiori e foglie d’erbe aromatiche fresche, sempre in numero dispari, depositarle in una caraffa con dell’acqua,  esporle  fino all’alba ai raggi lunari per far assorbire quelle energie positive del cosmo che solo al solstizio d’estate si propagano “ quando,  il sole sposa la luna,il principio maschile feconda il femminile,l’elemento fuoco si allea all’elemento acqua,tutto il cosmo irradia energia annullando ogni maltempo”   e per raccogliere “le   lacrime di S. Giovanni ” chiamate guazza. Ossia  la rugiada che si forma nella notte.

Al mattino, meglio se al momento dell’aurora, si immergono le mani nell’acqua profumata, si sfiora la pelle di tutto il corpo bagnandola partendo dalla fronte rivolta ad est in modo che i raggi solari la sfiorano, si ripete l’operazione per tre volte. Tale rituale, nell’immaginario popolare della mia terra,  ha una grande importanza perché custodisce segreti effetti benefici:

 Purifica liberando corpo e spirito da scorie negative accumulate nelle lunghe notti invernali –     allegoricamente richiama il  battesimo nell’acque del Giordano –

Ridona energia al fisico e alla mente, allontana  pesantezza e affaticamento dovuti allo stress del quotidiano – esprime  il vigore ardente della fede del Santo –

 Elimina le impurità della pelle, rimuove i malesseri di testa e stomaco dovuti a cause nervose o imprecisate. – a S. Giovanni fu mozzata la testa-

Protegge da invidie e gelosie di avversari e concorrenti fino al prossimo solstizio. – riporta alla condanna del    Santo dovuta alla perfidia di Salomè-

Nella tradizione più pagana, oltre a ciò, si coltiva la credenza che nell’acqua, scansando fiori e foglie prima di iniziare il rito del bagno, si vede il volto del futuro compagno di vita.

 Esaurito il rito mattiniero, l’acqua profumata non va buttata ma filtrata e custodita in una bottiglia perché ha virtù lenitrici, eccezionali nei disturbi dovuti a infiammazioni e sfoghi cutanei come il fuoco di S. Antonio. Inoltre si conserva a scopo beneaugurante per la salute. – “ L’aqua de’ San Giuagne te proteije d’ognie malannje

 Di solito l’acqua la  conservo e l’uso una volta al mese per scaricare l’accumulo di energie sfibranti e per mantenere la pelle sana e levigata. Quasi tutte le mie amiche, anche le scettiche, fanno e usano l’acqua di San Giovanni.

A queste due usanze non ci rinuncio, forse per non perdere il legame atavico o forse…  per quel” Sogno di una notte di mezza estate “ narrato da Shakespeare.

Comunque per onorare la terra che mi ha accolto con tanta generosità, e sentirmi vicina a un amico che oggi non c’è più, a queste due usanze umbre, ho aggiunto quella del nocino, un liquore corroborante e digestivo che si gusta con gli amici nelle serate fredde.

Come mi ha insegnato Domenico, il 13 giugno, festa di S, Antonio da Padova, in realtà di Lisbona, mi procuro 24 noci dal mallo fresco. La sera del 23 le lavo, le spacco, le metto in un capiente vaso di vetro, con chiusura ermetica, aggiungo 600g. di zucchero, un litro di alcool da liquori, 3 chiodi di garofano, 3 chicchi di caffè, 3 scorzette di limone e lo espongo alla “guazza” di S. Giovanni poi ai raggi della luna e del sole per 40 giorni. Vi aggiungo un litro di lambrusco bianco secco, vino della patria del nocino. Lascio ancora esposto il tutto per altri 40 giorni. Filtro e travaso il nocino in bottiglie di vetro scure che poi colloco in un luogo buio e fresco per continuare la maturazione del liquore fino al solstizio invernale. La vigilia di Natale espongo in bella vista una bottiglia per offrirlo in segno di amicizia e di augurio di prosperità. La noce è  un frutto augurale di fortuna, viene anche chiamata  “ ghianda di Giove.  Nel folclore esoterico  la similitudine del suo guscio col cervello umano è propiziatoria di buone e sagge idee, il che di questi tempi non guasta mai!!!     Felice e magico San Giovanni a tutti.

TEST DEL PUNTO

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C’è un test molto in voga nei party di certi ambienti che è  divertente, rapido ed efficace per scoprire, a grandi linee, com’è una persona.  Il test l’ha ideato una simpatica e ieratica signora di Pretoria,  Lucy T. appassionata studiosa di simbologia. Ho avuto il piacere di conoscerla, ad una festa, durante un soggiorno a casa   di una mia amica che abita a Johannesburg. Basta un foglio bianco, una scatola di matite colorate, chiedere, a chi ci interessa scoprire che tipo è, di tracciare un punto sul foglio e il gioco è fatto. Senza esserne cosciente, chi traccia il punto, fornisce un mucchio di informazioni di com’è realmente. Per avere un quadro più specifico, il test si amplia chiedendo di tracciare un segmento, una forma, una vocale, una consonante e un numero, però uno alla volta in forma consecutiva altrimenti il responso del test è meno efficace.( E’ cosi  ma non ho afferrato il meccanismo  che fa la differenza)  Ciò che si ricava  dal grafico è veramente sorprendente.  In più occasioni l’ho sperimentato e verificato. All’inizio  ho sottoposto il test a tutte le persone che conoscevo bene, poi a persone che conoscevo solo superficialmente, in ultimo a quelle che incontravo per la prima volta. Proprio da quest’ultime mi è arrivata la conferma quanto un banale gioco inventato per animare gli ospiti e ravvivare una festa può trasformarsi in una fonte di dati che lascia stupiti. Naturalmente ho assimilato una certa pratica  attraverso le spiegazioni di  Lucy con la quale sono in contatto. Adesso me la cavo quanto basta a soddisfare la mia e l’altrui curiosità, in qualche caso sfrutto il test a fini professionali, ossia per chiarire certe percezioni contraddittorie che avverto in una persona ma non riesco a  tramutarle in dati oggettivi.   

Specificatamente i dati sui quali si elabora il  test  sono:

1- Il colore. Informa sull’indole e le  reazioni emotive

2- Il punto. E’ il cardine del test., mette in luce l’ego, l’equilibrio, le aspirazioni, l’affidabilità, l’energia.

 Questi indizi sono già sufficienti per farsi un’idea sintetica della persona senza possibilità di dubbi.  Con gli altri simboli l’analisi del test diventa più chiara e completa poiché si arricchisce di dettagli e sfumature preziose.  

Sostanzialmente in breve:

3-Il segmento. Determina la proiezione temporale.

4- La forma. Mostra gli obiettivi e il modo d’agire per realizzarli

5-La vocale. Esprime il tipo d’intelligenza, la sensibilità e  la passionalità.

6- La consonante. Indica gli stimoli e le motivazioni alle quali la persona è recettiva, i tabù ereditati.

7- Il numero. Individua le capacità espressive, il campo nel quale è abile,  i difetti principali specie se è composto da più cifre.

Chiaramente non posso specificare in questo post  come si arriva  a formulare il responso del test perché  dovrei scrivere pagine e pagine, finendo per confondere le idee. Comunque gli addetti ai lavori, se non lo conoscono, sono in grado di decifrarlo e utilizzarlo.

Il grafico sopra è un esempio. In breve ecco cosa si deduce: Persona estroversa, socievole, magnetica, indipendente. Ama la verità e la libertà. Energica e vivace.  Incondizionabile, analitica e fredda si assume le responsabilità ma tende a strafare. Sensibile e protettiva verso i deboli, severa con se stessa. Cerebrale, versatile, aperta alle novità senza pregiudizi. Credente. Aspira ad elevarsi ed evolversi spiritualmente ma non disdegna gli aspetti materiali della vita Equilibrata, imparziale e leale. Volubile e un po’ narcisista. Sensuale e infedele. Le piace il mare e il vento. Esteta e perfezionista. Sa controllare i lati aggressivi ma se ha un obiettivo lo persegue con caparbietà. Saggia e affidabile. Non ha complessi. Detesta la prepotenza i ricordi, la superficialità e l’avidità.  Ha talento per la filosofia, la giurisprudenza, l’investigazione. Ha ereditato il senso della famiglia, l’ordine e l’amore eccessivo verso i figli. Difficilmente si confida e si appoggia sugli altri.

 

BROCCHE E CICLONE

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Qualche giorno fa, al mio paesello, è passato  un ciclone che ha fatto un po’ di cocci. Come succede spesso, le brocche che avevamo messo in bella mostra per abbellir le nostre variopinte aiuole non hanno subito  gli stessi  danni. Quelle messe ai cantucci, dipinte di  rosso, nero e ocra   la furia turbinosa, chissà perchè, le ha ridotte in polvere. I proprietari poverini  son costretti a ricomprarne una nuova di zecca per non  ammattirsi una vita a riappiccicar le briciole. Riunitisi han deciso di andare insieme  ad acquistarle. Tirando sul  prezzo senza irritare  il mercante pensano di concludere  un bell’affare portandosi a casa  un’anfora vistosa da far invidia ai vicini. Le brocche smaltate d’azzurrino c’abbelliscono la villa più grande del paese, il ciclone le ha sfiorate  sbeccando solo  il beccuccio. Una vera fortuna. Il proprietario con poco mastice può riappiccicarle e con un  destro ritocchino  farle sembrare appena sfornate evitando il pericolo d’ustioni cui va soggetto il terracottaio quando dimentica le presine o si distrae guardando le mosche che ronzano. Ad una  cinquantina di  brocche poste sul piazzale d’una spa multicolore,  orgoglio dei soci, il ciclone gli ha dato una bella zaffata. Metà  le ha sbriciolate, l’altra metà le ha crepate. Per gli azionisti un vero colpo. Adesso  il loro destino è un’incognita legata  ad un  restaura brocche volubile che non si pronuncia se accetta o no l’incarico. I malcapitati han perso il sonno, temono che se quello ci mette secoli a decidere le anforette diventan cimeli per pochi estimatori. Infine per  altri il ciclone è stato un dono della provvidenza, non solo non  gli ha rotto le brocche, addirittura le ha  riempite  di foglietti gratta e vinci dei due  tabaccai della piazza. I proprietari girano per il paesello sventagliandoli  come  un tesoro sottratto  ai corsari. Han  deciso di metter le brocche  all’asta per comprarsi morbide chauffeuse per metterci le chiappe affaticate dalla contesa.

 I compaesani che si dilettano di meteorologia però han detto  di non stare tranquilli, le nostre anfore sono ancora in pericolo. La coda del ciclone  fra qualche giorno scaricherà la sua furia e gli effetti non sono prevedibili tanto che l’han soprannominata refeballottadeum.  Chi vuole salvare le  brocche rimaste  in ballo deve agire in fretta. Ci han suggerito di prendere delle precauzioni, ossia  impacchettarle, porle  in solide casse  e andare a goderci il sole al mare. Quelli   costretti  a stare a casa per impegni inderogabili almeno  mettano le preziose anfore in  cantina dove la furia del tifone  non arriva riducendole  un mucchietto di rossa terracotta. A me son sembrati esagerati perciò non ho deciso quale opzione scegliere, sicuramente deciderò in base all’umore. Se la brocca si rompe  mica è la fine del mondo … magari è l’occasione per comprarne un’altra d’un colore che si adatta meglio ai fiori del mio giardino, così la mia vicina russa la smetterà di dirmi che quella che ho a lei non piace.

Ce l’ha fatta!!!

Sono felice.  la mia amica è stata eletta al primo turno. Un vero “miracolo” per il suo partito che ha perso tante guarnigioni e fortini. Sono felice pensando alla sua soddisfazione  e ai  gugni  degli  ” amici “ipocriti e  scettici.    L’aiutino della salvia ha funzionato alla grande. La piantina, giorno dopo giorno, divenuta un vero spettacolo di rigoglio ha portato abbondanza di preferenze scatenando un putiferio di ipotesi sul come una annunciata disfatta si è tramutata in vittoria!!!

Per me il risultato era scontato. Nel profondo ero convinta che il frutto dell’esperienza popolare non avrebbe tradito l’ottimismo e la fiducia che riponevo nei   poteri della natura per aiutare un’amica in difficoltà, bersagliata da avversari e, cosa stupefacente, da manovre subdole e scorrette di persone della sua stessa “fede”. Ero certa che i mezzi poco ortodossi applicati mi avrebbero  dato un riscontro oggettivo migliore di quelli consueti. Gli insegnamenti di mia nonna  non potevano essere fasulli o frutto di fantasia perchè era una donna alquanto concreta, oserei dire materialista, per niente credulona  e dedita a pratiche astruse, quindi ciò che mi aveva trasmesso doveva contenere un fondo di verità.  Eppoi,  la nonna,  sempre pronta a rispondere a domande impertinenti o hai mille perchè di noi nipoti in modo semplice e diretto,  mai ci aveva mentito ho raccontato frottole per ingraziarsi affetto o carpire l’attenzione, quindi il detto sulla salvia doveva  funzionare.  Per intenderci, nonna Gemma, non era usa ricorrere a  favole e raccontini di carattere astratto e strabiliante, piuttosto ci ripeteva che dovevamo coltivare l’arte  del fare, così un giorno eravamo pronti a comandare, (?) delegare, contestare….tantè che il gioco lo considerava un passatempo pericoloso perchè ci poteva abituare all’ozio, quindi ad essere fannulloni. Parole sacrosante, oggi… nessuno di noi appartiene alla categoria nel mirino di Brunetta….ma …allora assai pesanti, mentre i nostri coetanei correvano spensierati noi ragazzi, in base all’età, eravamo impegnati in qualcosa di serio utile all’avvenire…

Essermi ricordata della nonna e della salvia forse non è stato un caso, forse la mia voglia di aiutare sinceramente un’amica, a sua insaputa, ha tirato fuori un lontano vissuto per ricordarmi di non disperdere la saggezza della gente semplice e, di non sottovalutare le vibrazioni dell’energia che si nasconde nella natura che ci ingloba. Soprattutto mi ha fatto riflettere sul perchè tanti giovanissimi vanno a zonzo a commettere stupidaggini, tipo  buttar giù sassi da un cavalcavia, ipotecando il loro futuro e  mettendo a rischio la vita delle persone.  Indirettamente mi ha confermato  che quando agisco con tutta l’anima, credo fermamente in quello che faccio  ottengo sempre un risultato proficuo, se  poi i fini  sono altruistici e implicano di mettere a tacere i sentimenti personali, campanilistici e faziosi, vi ricavo linfa rivitalizzante allo spirito e non è poco.  Sono doppiamente felice, orgogliosa della mia piantina di salvia e per aver contribuito ad un successo che la mia amica riteneva difficile da raggiungere, ovviamente per la crisi di consensi che sta subendo il PD, invece  è realtà. Da oggi farò  il possibile per tramandare quella ricchezza di  tradizioni popolari  che  conservo nella memoria, almeno eviterò che vengono ingoiate dal  marasma imperante che rigetta forme di credenze ritenute assurde immagini di proiezioni fiabesche, ossia forme irrazionali  prive di comprovato fondamento logico originate dalla superstizione e coltivate dall’ignoranza.

IL “SAIO” DELL’ANTICASTA

 

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L’anticasta quando si mette il “saio” diventa  più casta della casta ed anche infida perchè quello che afferma vestita col ” saio” non corrisponde a quel che rimugina quando indossa il doppiopetto. Il divario si nota in certe affermazioni verso le persone semplici, le considera incapaci di elaborare un pensiero indipendente, obiettivo e articolato sui temi concreti, quindi di  votare a casaccio.  Ridicolo, mica ci vuole un diploma per distinguere un furfante da un probo!! Ritiene che senza una istruzione ogni tapino è manipolabile, indottrinabile attraverso spot pubblicitari, recepisce i discorsi ottusi, scarta quelli di merito, confonde  il contenuto di un messaggio politico, si aggrappa alle banalità di oratori furbi, imbroglioni e irresponsabili, che mirano al loro interesse, scarta quelli seri, coscienti e funzionali al progresso dello status comunitario. (!?) Insomma se non voti per loro sei stupido. Non gli  sfiora l’idea che scegli e voti  in base agli ideali e rifiuti l’omologazione di serie.  In questi giorni di campagna elettorale se ne sentono delle belle!! Dai vari pulpiti che vanno in onda notte e giorno, indossato l’umile saio dell’anticasta,  incartapecorito e in qualche caso mummificato da sepoltura politica, conferenzieri in cerca di consenso dai tapini che considerano una sottospecie dell’homo sapiens, si sgolano in rappresentazioni immaginifiche del loro europeismo, come se chi ascolta fosse un marziano appena atterrato e non sa che fino all’altro ieri era assenteismo, il mettersi in tasca un congruo approvvigionamento che garantiva qualche bel gessato, un gradevole relax in poltrona e qualche vaga capatina, tanto per gustarsi un cocktail in quel di Strasburgo o di Bruxelles, talmente evanescenti da sfuggire a Brunetta. Dai ragionamenti  della casta col saio  emerge che il comune mortale non è in grado di comprendere l’alto contenuto etico-filosofico del loro europeismo, recepisce solo il  piffero del fachiro incantatore, sceglie e vota sotto la suggestione dell’incantesimo comunicativo!! Una sfilza di corbellerie, una distanza abissale dalla verità.  Tirarsi dietro pochi esaltati è facile ma attirare  il consenso popolare è un altro paio di maniche, non basta la propaganda, il contorsionismo lessicale, la pochezza ideologica.  La gente accorda fiducia a chi è coerente, a chi si presenta col solito  doppiopetto, distingue chi lo mette in soffitta giusto il tempo per apparire, moralmente ineccepibile,  modesto, sincero e con tanta voglia di rendersi utile. Qualcuno sostiene che preferire il PDL è lasciarsi imbonire da Berlusconi, accecato dalla sua bravura di arringatore da mercante in fiera. Ci  vuole ben altro per convincere  chi combatte per la pagnotta, la cosiddetta gente “incolta” valuta con la “scienza”  appresa dalla strada. Son giudizi triti di vecchi schemi partitici abituati a promettere un sacco di patate o qualche pezzo di “grana” per far cadere i topi nella trappola e poi …C’è perfino chi afferma che è “immorale” distribuire tanti euro a un tapino che risponde ad una domanda, chiaramente alludendo al quiz il milionario in onda su canale 5.  Ebete tra gli ebeti non si rende conto che offende proprio coloro ai quali chiede il voto. Chi si “butta” in politica come prima regola dovrebbe rispettare ogni suo simile, poi impegnarsi  per abbattere  discriminazioni e diseguaglianze sociali, a livello locale e nell’europarlamento. Invece spesso si candida per stare dentro un sistema che gli garantisce un lauto banchettare, fra stipendi e ammennicoli vari  raggranella in un mese quello che un operaio o un ricercatore racimola in un anno. Gira la fola che non è vero, quasi quasi una volta eletti saranno sul lastrico, costretti a girar per la questua. Perchè si candidano?  Dimenticavo,  per  il  voto di povertà imposto dal saio…

 Qualcuno di questi “anticasta” parla bene ma razzola tanto male che senza avvedersene il saio lo perde nell’aia, diventa un gallinaccio spennacchiato che fa ridere galline, oche e asini che circolano nella masseria. La gente non è tanto imbecille, i falsi moralisti li fiuta da un miglio. Perfino il mio vicino, di vecchia fede comunista, si lamenta, dice che sono ” impagliati”, oltre ai simboli dovrebbero cambiare le ricettine anti “dittatura” Berlusconiana. E’ stufo della solita cantilena, così stufo che farà il contrario di quello che l’anticasta spiattella, è arrivato alla conclusione che quando uno è bersagliato, messo in cattiva luce con mezzi e mezzucci che vanno dal pettegolezzo evocativo all’ingiuria l’altro è invidioso, mira ad accaparrarsi  potere e successo, gli vuol fare le scarpe, il saio che indossa puzza di naftalina, quindi meglio girargli alla larga.