Il“ cavalier dei 4 mori”

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Fabio Aru “ cavalier dei 4 mori” sul podio!

Mi piace questo giovane atleta del ciclismo. Ha un viso che rispecchia l’orgoglio, la grinta, la timidezza e al tempo stesso la determinazione e la forza del popolo sardo. Vederlo, in piazza Cibeles a Madrid, sul gradino più alto, esile, sguardo limpido e fiero, sorriso aperto, in maglia rossa, è stata una goduria. Con naturale felicità, stampata in ogni poro della pelle, salutava e ringraziava tutti con modestia ma anche consapevolezza, quella di chi sa che non può fermarsi lì. Eh no, non può fermarsi. Ha solo 25 anni e una vita di altri sogni da realizzareLa Vuelta, come ha detto, è il primo :“Ho realizzato un sogno e sono molto emozionato e felice. Ringrazio i miei compagni“. Da ragazzo sardo solido e caparbio sa di aver raggiunto un traguardo importante ma c’è ancora tanto da pedalare sia per provare lo stesso brivido della vittoria sia per regalare ai suoi fan e ai tifosi di questo, come ha detto lui, “ sport bellissimo e appassionante” altri successi così prestigiosi. Ci riuscirà, ce l’ha scritto in faccia che è un guerriero che non molla e non si accontenta. Ha la stoffa del cavaliere di una terra millenaria dalle origini tanto misteriose quanto affascinantiSi narra voluta da Dio come terra di mezzo tra Italia e Spagna, persino che la sua forma è il piede di Dio stesso. Non so quanto c’è di leggendario, di sicuro c’è uno stretto legame tra queste due terre e la bandiera sarda, con i quattro cavalieri mori, che Fabio stringeva e sventolava con fierezza sul podio. E c’è tra Fabio e questa terra che con la sua condivide il mare. Dopo un terzo e un secondo posto al giro d’Italia non è forse un segno che proprio in terra spagnola sia arrivato primo in classifica? Ma…, il fato oltre a essere imprevedibile è anche burlone! Comunque sia Fabio Aru è il più giovane italiano, tra i sei che l’anno preceduto, ad aver conquistato l’ambita maglia “roja” della competizione a tappe spagnola. Ma il trofeo vinto non è capitato per caso tra le sue mani, Aru lo ha ottenuto, dopo ventuno tappe e pedalando per 3.240 km. con fatica, intelligenza, tenacia, tattica agonistica individuale e di squadra. Da qui in poi i contendenti “del Cavaliere dei 4 Mori”  saranno ancor più agguerriti ma stoccata dopo stoccata son certa che questo magro ragazzone di 1,81m capitano dell’Astana, che tra una pedalata e l’altra legge i classici francesi, americani e russi, saprà difendersi, di sicuro non avranno vittoria facile. In un certo senso il modo di essere e porsi, di questo campione sardo, astro nuovo del ciclismo, riconcilia e da garanzie per amare ancora questo sport.

Chissà perché ma in ARU ci vedo il nuovo Pantani. Quello che emozionava come mai nessuno.

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FLAVIA E ROBERTA

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” 2 RAGAZZE, 2 AMICHE, 2 PUGLIESI, 2 ITALIANE, UNA STORICA IMPRESA. Flavia e Roberta ci hanno fatto vivere un sogno, regalato una emozione agonistica unica e forse irripetibile. Chi mai avrebbe pensato che fossero le due amiche pugliesi a disputarsi il grande slam? Credo nessunissimo. Al massimo qualche tifoso dell’una o dell’altra ci sperava di veder la sua prediletta in finale! Invece A Flushing Medows, una di fronte all’altra, come un tempo lontanissimo c’erano loro, proprio loro, Flavia Pennetta e Roberta Vinci. Allora, a nove anni, si guardarono negli occhi con la determinazione dell’atleta agli esordi che non vuol perdere e la consapevolezza che vittoria e sconfitta erano le lunghe strade da percorrere. Oggi, trentenni, si guardavano negli occhi con la stessa se non ancor più determinazione dello sportivo che non ci sta a perdere e la consapevolezza che le lunghe vie percorse le aveva portate sul tetto del mondo, ma anche l’emozione delle amiche vere con la percezione che la vittoria coronava la propria carriera a danno dell’altra. Come nelle favole più belle, poco importa chi delle 2 nella finale degli US OPEN a New York si è presa la corona da regina e chi è rimasta principessa. ENTRAMBE NEL DIARIO DELLA VITA POSSONO SCRIVERE BRAVE, BRAVISSIME. Per arrivare lì hanno faticato, sudato, lottato all’incredibile per superare mostri sacri del tennis, come Serena Williams, la numero uno del mondo, battuta da Roberta.Grazie ragazze dell’assolato sud. Grazie infinite . Una volta tanto l’Italia è finita in prima pagina, su tutti i notiziari e i media del mondo, per un fatto bellissimo, e non di fattacci. Grazie ancora, il vostro macth, imprevedibile e indiagnosticabile dai bookmacher, ha regalato a noi e al mondo l’ immagine di un Italia che sa stupire, essere protagonista, battersi con dignità, coraggio e capacità. La vostra impresa come ha detto il Presidente del Coni,G. Malagò, È una di quelle cose che fino a quando non le tocchi con mano sono un sogno”. Siamo fieri e orgogliosi di voi ragazze, non solo per il sogno trasformato in realtà, perché sappiamo che di Roberta e Flavia l’Italia ne ha tante, anche se non fanno notizia. Il derby BrindisiTaranto o Flavia-Roberta, all’Arthur Ashe Stadium di Flashing Medows nel Queens, sabato 12 settembre rimarrà nellamemoria di tanti, non solo Italiani, perché BRAVE LO ERAVATE MA ORA SIETE MITICHE!

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Giocarsi la vita

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In un mondo dove impera tutto e il contrario di tutto, dove lo stupire, con qualunque mezzo, è comunicare, socializzare, conquistare. Dove il pensiero dominante sembra essere quello di: NON SI È SE NON SI ESISTE MEDIATICAMENTE, è facile smarrire il valore della vita. Troppo facile confondere l’esistere con l’essere. Troppo facile perdere il controllo del se per mostrare all’altro che ci sei. Esserci è un solitario cammino di ricerca. Un continuo evolvere, modificare, mutare in armonia con l’incognito. È mera utopia soddisfare l’ego attraverso scorciatoie. Strabiliare per ottenere visibilità, ascolto, considerazione in un talk o in un click è come giocare a mosca cieca con la vita. Nessun follower t’assicura che acchiappi stima, amicizia, affetto tempo da vivere in sintonia con chi sei. È più facile che catturi finzione, illusione, realtà spropositata in accordo con chi non sei e mai dovresti essere. Nel palcoscenico dell’esistenza ognuno è primo attore, bravo o scalzacane, convincente o deprimente ha la parte principale e il successo non l’accaparra con lo sballo, le comparsate, le gomitate, le pasticche adulterate, i selfie spericolati, le opinioni strappalacrime e quelle populiste cialtrone. L’accaparra, e con applausi, nell’essere libero dentro e fuori, espropriando dall’ESSERE contaminazioni mediatiche mercifere che desertificano il raziocinio dell’ESSERCI. Nell’oggi in cui tutto social fugge e tutto anaspecifico sfugge a una velocità supersonica, l’artista accidentale dell’esistere si gioca la vita per il nulla. Sempre più spesso la visibilità che conquista, purtroppo, è un fatto di cronaca autodistruttivo che gli altri poi raccontano fino all’esaurimento. Vero è che non è facile sussistere senza rischi, ma giocarsi la vita per un plusvalore se non è da cretini è da bari.

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Meglio il silenzio.

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 Di fronte a simile immagine meglio il silenzio.

C’è così tanta dignità nel corpicino inerte, adagiato a riva da un onda pietosa, che qualunque parola, anche sussurrata per umana pietà, ancor più del mare, gli scipperebbe la vita. È un immagine in cui ogni parola perde il suo significato. Parla da sola, come solo sulla spiaggia, ne amica ne nemica, di Bodrum, è, senza respiro, il piccolo Aylan. Piccolo migrante siriano, in fuga dalla sua terra martoriata dalla guerra. Nella sua innocente bellezza strazia l’anima del cielo e nessuna parola in terra può rendergli giustizia. Di fronte a questa vita di bambino interrotta bruscamente nel suo cammino di speranza, inorridire, indignarsi, commuoversi, sa di troppo. D’inopportuno. Di ambiguo. Meglio il silenzio. Nella sua spietatezza sa di sincero e fa sperare che ci sia ancora nell’umano una volontà di riscatto, un raccogliere con dolcezza, prima che il mare, le bombe, la violenza, la fame, li strappi brutalmente al riso e al gioco, tanti piccoli corpi migranti vivi. Fa sperare che tanti Aylan Kurdi con la loro giacchetta rossa camminano e colorano il mondo liberi e senza paura. Forse, fa anche sperare, che la piccola Shems, nella sua madre lingua Speranza, nata in Ungheria nel casino di una mostruosità che offende e fa vergognare anche le fogne, proprio mentre le immagini del piccolo Aylan facevano il giro del mondo shoccando le coscienze e suscitando una marea di reazioni, sia quel filo di luce che illumina e rinsavisce la ragione umana in modo che un giorno possa liberamente traversare il mondo senza rischiare che l’imbecillità, l’egoismo, il profitto gli scippano la vita ancor prima di averla vissuta.

la piccola speranza

Ayal e Shems due bambini siriani. .Due vite sospese. tra cielo  e terra. due vite contese da luce e buio. Due immagini di bambini contrapposte : in una la vita, in una la morte. In una il futuro immateriale, in una il futuro reale. Due speranze umane in immagine. 

In entrambe un grande messaggio:

“Nella storia nulla è predeterminato; la storia è una traccia lasciata nel tempo da scelte umane molteplici e di diversa origine, quasi mai coordinate.”  Z. Bauman

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