Lettera di un soldato

 

dich. guerra

Oggi ricorre il centenario – 1915-2015 – dell’entrata in guerra dell’Italia. Per quante parole  potrei trovare, per descrivere gli orrori, il biasimo e le sofferenze umane che portò con se quella guerra, nessuna suonerebbe veritiera, tutte assomiglierebbero a un assemblaggio retorico, un po’ perché non l’ho vissuta sulla mia pelle, un po’ per il tempo che nel suo trascorrere inesorabile inghiotte anche i ricordi più scolpiti tramandati da chi c’era. Inoltre, mai potrei con le parole mie dare il senso giusto alle emozioni e ai travagli intimi di quei uomini -soldati di trincea, più o meno coraggiosi e più o meno arditi e consapevoli del perché erano lì ma comunque combattevano fino all’estremo limite. Credo, anzi sono certa che la sottostante lettera, allora censurata e riportata come fu vergata dallo sconosciuto soldato, non solo onorerà la memoria di chi mai rivide il sole nascere da quelle trincee della 1 guerra mondiale, ma illuminerà menti e cuori a vedere ognuno di quei ragazzi, uomini, alpini combattenti oltre ogni oratoria prolissa celebrativa.

1 guerra m

lettera di soldato dal cognome ignoto del 10 gennaio 1916 da Zona di Guerra a Sassuolo di Modena. Censurata.

Stimatissimo signore

Mi affretto a scriverci questa mia la quale gli darrò spiegazione della mia vita. Ora senta la civiltà della nostra bella Italia gli dirò che noi stiamo trattati come cani, ed in servizio siamo in tutte lore. Quando ripenzo mi si speza il quore, trovandomi nei pianti e nei dolori, gli dirò che fra gli morti, cioè i nostri frattelli, passeggiamo come passeggiare sopra gli sassi in un fiume, questa è la civiltà della nostra Italia. Gli dirò che qua siamo in mezzo nei disagi ed alle passioni ripensando alle famiglie nostre care. Qua riposiamo come le belve alla foresta e del mangiare sidanno poco e niente, qua si troviamo privi di ogni sorte e sofrire siamo noi già stanchi. Dunque mio buon signore, ora gli debbo tralaziare di farmi la mia pace desisederata perché mi chiamo e ecco in servizio bisogna ritornare. Qui ammalati non ne conoscono per niente, ammalati è come sani, sempre in servisio, siamo sensa mai avere una piccola oretta di libertà qua tutto e nero e sangue che se lui vedesse la nostra vita come e trattata, non la può giudicare altro chi non la provata. Dover pensare alle famiglie cari che si sta bene, bisogna piangere come i bambini alla sua madre, penzare che qua cia laziato la pelle tanti padri di famiglia lasiando le sue molie e figlie nel dolore, lasio giudire a lui che cosa daranno mancando chigli mantiene il pane. Ora gli dirò che io mi trovo al fronte di cordilana, dove a macello della carne Umana. Quante  famiglie fra i dolori e pianti, Morto che gli sarà il suo caro guerreggiante povere spose e figli tutti quanti. Noi stiamo giornalmente tribulanti, li chi perderà il marito e gli amanti, brutte giornate noi stiamo qui passando, Nel mezzo amaro pianto e le passioni con tanto furore e poi tribolazione. Solo di me spiegato una piccola passione che soltanto e simile di questa vita infame. Firmandomi rispettoso. Saluti ed addio perché di qui non si salva baciandomi tutti i miei cari.

elmetti 1 g. m.

mai dimenticare che la strada della libertà va percorsa ogni giorno con gli occhi aperti  impedisce, forse, simili orrori

Bydif

 le foto le ho scaricate dal web