Tante ombre nere

 

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 Che volevano toglierselo dalle scatole era più che evidente che volevano “ammazzarlo” no. Anzi,  patentandolo da idiota polverizzarlo nel modo più abietto. Perché? Solo un idiota poteva rischiare una recidiva!  Alex non lo è, in più con tutto il clamore del passato aveva la consapevolezza che era nel mirino antidoping, vulnerabile a accuse di brogli. Non poteva sgarrare. Non voleva sgarrare tantè che si era affidato a un combattente storico del doping.  Vero, Alex aveva sbagliato, lo aveva ammesso e si era presa la punizione pagando un prezzo altissimo sotto ogni punto di vista, ma poi ha cercato di rialzarsi. Non era facile per un ragazzo prima osannato poi travolto dall’infamia da tutti abbandonato. Ha dovuto crederci con tutta l’anima che era possibile, tirar fuori tutto il coraggio rimasto, faticare, lottare disperatamente con se stesso. In un mondo che si arrende a tutto e tutti già questo andrebbe considerato. Vista la sentenza non è così. Sbagli? Sei atleta morto e morto resti. Nessun diritto di riscatto. Nessuna speranza di riprenderti la vita. Anzi, anzi se provi a rialzarti ti anniento. Difatti così è andata. Una squalifica di otto anni è una sentenza di morte sportiva per qualunque atleta. Nel caso di Alex va aldilà della preclusa attività agonistica diventa annientamento totale della persona. Quello che è incomprensibile è l’accanimento di volerlo radere al suolo. O per meglio dire lo è. Quella provetta giramondo con tanto di specifica nominale …uhm non specchia limpidezza però… dimostrare il suo opaco cammino… più difficile che dimostrare l’esistenza di un alieno. A guardare ben bene dentro la vicenda di Alex tante ombre nere accidentano la sentenza sportiva. Autorizzano a pensare maliziosamente. Due ombre appaiono più nere e interrogative delle altre. La prima: come mai dieci ore di torchiatura non hanno suscitato un filino di dubbio agli uditori. Erano forse sordi quindi impossibilitati a udire i suoni che uscivano dalla bocca e questi finivano nell’etere senza depositarsi nelle teste? La seconda: ci sentivano benissimo ma avevano già tutto chiaro in testa, Alex era recidivo colpevole e nemmeno con la prova provata del contrario la sentenza decretata in anticipo smollava dalla testa degli uditori? Lampante quanto farsesco e atroce, han fatto i sordi con Alex per udire benissimo chi aveva richiesto di condannarlo!  Insomma ombre che  fan lecitamente dubitare del verdetto di squalifica. Lo fanno somigliare più a un “guidato” responso lustra credibilità e copri altro che a una effettiva neutralità decisionale. A un fuori dai piedi Alex beffardo, umiliante e  senza scampo. Perché o perchì è difficile stabilirlo. Si può ipotizzare che l’“ammazza Alex” provenga dall’invisibile mondo degli affari sporchi. Le lobby del doping se decidono…. sono più devastanti di una bomba nucleare. Da un voler generale di ripulirsi le mani per offrirle specchiate all’opinione pubblica; da acrimonia sportiva generica o di qualcuno preciso…da…da…I da possono essere infiniti, considerato che nello sport ci sono due mondi molto contrapposti quello dell’atleta e quello degli affari…in più l’uno e l’altro son fatti da umani imperfetti. Entrambi possono sbagliare. Eh, eh in teoria ma in pratica… nel mondo degli affari pare mai si sbaglia. Dopo Rio, sembra inoppugnabile, nel mondo dell’umano atleta, se l’atleta commette un errore non ha via di scampo, in quello dell’affare no. L’affare nel suo mondo del  business di inumano potere  ha tante vie di fuga da scamparla sempre.

Senza essere fan partigiani oggettivamente la squalifica di Alex Schwazer è nebulosa e suscita perplessità. Sportiva o normale,  la giustizia dovrebbe sempre risultare limpida. Quando ciò non avviene lascia un che di ambiguo, di tradite finalità che fan male prima alla giustizia e poi al giustiziato. Verrebbe da dire che laddove la giustizia non rende giustizia è fallosa. Per dirla in gergo sportivo “dopata”. Come in un atleta ha i valori sballati. In conseguenza riprendersi vita e dignità puntando sui principi guida della sua funzione di diritto neutrale è pressoché impresa storica per chiunque. Se poi si chiama Alex Schwazer… addiviene impossibile.

Comunque la si pensi sul passato e sul presente di questo atleta, meritava il beneficio del dubbio di essere in verità, che non aveva barato. Troppo ci teneva a ritrovare un minimo di se stesso e troppo voleva  marciare sulle strade di Rio per confermare a se stesso che per leggerezza si può sbagliare e cadere ma con la ferrea volontà ci si può rialzare dalla caduta e ripartire. Alex #non ha barato. Stavolta no.  Che qualcuno lo guardi storto e non capisca il perchè stavolta è pulito ci sta. Ragiona con il suo metro. Quello che non ci sta è la condanna.   La squalifica ha un sentore di puzza inequivocabile. Chi ha un briciolo di sana e onesta obiettività la sente, il resto…Il resto ha l’alibi del naso tappato dalla certezza del qualunquismo, poi, non mostri meraviglia e nemmeno condanni chi approfitta dell’adulterato per adulterare un risultato, una vittoria, una performance, prende scorciatoie trionfali, semmai si stupisca di quelli che resistono all’imitazione.

I riflettori mediatici si sono già spenti.  Solo quelli che non cedono al fascino del “doping” verdetto restano accesi. Mi auguro per Alex che  restino accesi per cacciare le tante  ombre nere.

By dif