bydif
Archivio dell'autore: difda4
L’Italia che non mi piace
è…
è…
l’Italia del lavoro che ammazza
della pace che arma
dei diritti che bidona
l’Italia della giustizia che nega
della onestà che tarocca
dei mammoni che paga
l’Italia della politica che bara
pluralista che separa
dei favori che schiava
l’Italia della bellezza che maltratta
della cultura che imbratta
del patrimonio che espatria
l’Italia delle lacrime che frana
dei rifiuti che accatasta
della cricca che allatta
l’Italia del pallone che sfascia
dei talk che sbraca
del perbenismo che falsa
l’Italia della mafia che divora
degli apparentati che sfama
degli influencer che aizza
l’Italia del pregiudizio che spacca
della istruzione che imbraga
dei bulli che allatta
l’Italia del folklore che scarta
del buongusto che letama
della cristianità che sfregia
l’Italia delle faziose contese
le ciarlatanerie indebite
le gogne mediatiche
L’Italia che non mi piace
è
l’ Italia del dopo e mai prima
delle promesse dismesse
delle reiterate scorrettezze
è
quella Italia dei sofismi
che s’appella ai cavilli
buggera i suoi fragili figli
è
l’Italia strillona
che farlocca la verità
confonde la parità
abusa della libertà
Quella che mi piace ? Ce ne è tanta ma… lo dirò un’altra volta!
bydif
L’artigiano, simbolo della dignità del lavoro
Chi è L’artigiano simbolo della dignità del lavoro? È SAN GIUSEPPE!
Eh si, proprio Lui, sposo di Maria vergine e padre putativo di Gesù. Il Giuseppe la cui celebrazione solenne come pater familia ricorre il 19 marzo ? Si! Allora? Allora la cui festività è anche il 1° maggio! Com’è? Com’è com’è… è per celebrare l’artigiano Giuseppe! Da quando? Da quando papa Pio XII nel 1955 , scelse il primo maggio, festa del lavoro, per ufficialmente eleggerlo patrono degli artigiani e degli operai! Lo scopo? Beh, lo scopo di commemorare san Giuseppe in questo giorno in primis è identificare la dignità dell’uomo nel lavoro, quindi funzionale alla sua rispettabilità nel contesto sociale nonché di completezza al suo essere. Per cui riconoscere il lavoro partner essenziale dell’esistenza umana, ma anche sottolineare che la necessità di dover svolgere un lavoro per dovere di sussistenza di se e di chi convive non è affatto degradabile, anzi come esplica l’esempio di Giuseppe è traino di elevatezza gratificante. Sinteticamente? Per sintesi dare un senso pieno alla vita e al viverla! O, ritenere la fatica un valore primario complementare alla soddisfazione umana, in qualità distinzione, proprietà , beneficio . Perché l’artigiano simbolo della dignità del lavoro è san Giuseppe? Intanto perché sembra appurato che era un artigiano del legno, un falegname, che all’occasione sapeva sbrigarsela anche come fabbro e carpentiere. Tant’è che nel Vangelo viene chiamato fabbro. Mentre Gesù chiamato “il figlio del carpentiere” e quando lo udirono insegnare nella sinagoga, dissero di lui: “Non è Egli il figlio del legnaiolo?”o in altra occasione con stupore e disprezzo: “ Non è costui il falegname?.” Quindi un lavoratore vero. Un instancabile operaio in proprio, che tutti i giorni, nella sua bottega artigiana, dal mattino alla sera guarnito dei suoi strumenti, pialla, martello scalpello …creava oggetti di legno, riparava, faticava, sudava. Poi perché pur essendo di nobili origini ma squattrinato non ha avuto nessuna difficoltà a chinare la testa, mettere a frutto mani e capacità. Per così dire ne sentirsi sminuito in dignità, ne del suo valore di uomo, marito e padre a lavorare sodo. Il che è assai per qualificarlo a immagine simbolica del mondo operaio. Poi per la funzione fondamentale che attribuisce al lavoro nella esistenza umana: sia come senso di responsabilità; come mezzo indispensabile qualificante l’individuo, sia all’adeguarsi alla sua dura legge, identica per tutti, per garantire un minimo status di agio ai propri cari in relazione alla comunità. In un certo qual modo per essere esempio concreto che l’occupazione è un impegno personale essenziale per gratificare l’esistenza propria e altrui per cui di rimando il lavoro è un diritto umano e sociale che non può essere eluso o precluso a nessuno da nessuna civiltà.
Detto ciò è facilmente intuibile il perché tra tanti santi proprio S. Giuseppe e non un altro è stato scelto a esprimere simbolicamente la dignità del lavoro. Inoltre il suo svolgere un tipo di operosità artigiana, quindi abile nel fabbricare oggetti utili alla collettività avvalora il simbolismo. Per quale motivo? Lo avvalora come modello onorario di piccola impresa che nella storia del progresso è sapere che diventa cultura del lavoro, fonte di conoscenza da trasmettere, radice di ogni piccola industria o grande imprenditoria e parte fondamentale della produzione. È da una “bottega” come quella di san Giuseppe che si acquisisce maestria per evolverla e trasformarla in industria. Purtroppo, oggi come oggi, per imbecillità, speculazione, profitto, globalizzazione, mancanza di stima in attività manuali e sottovalutazione della competenza, eccessiva ricerca nel sudare poco e guadagnare molto se non farsi pagare per starsene in ozio, queste preziose botteghe stanno scomparendo.
Per concludere, non c’è che dire, con papa Francesco suo grande devoto “Celebriamo san Giuseppe lavoratore ricordandoci sempre che il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità della persona”. “ preghiamo che nessuno resti senza lavoro” “Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni” ci sono tante persone “che vogliono lavorare e non possono». E questo “è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo” e “non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere “unti” dalla dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua”.
Magari nell’invocare questo santo protettore di falegnami, ebanisti e carpentieri, senzatetto e persino dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno, immagine significativa della nobiltà del lavoro e di chi lo esercita, non fa male rammentare che anche la nostra costituzione lo ribadisce.
Con l’immagine iconografica di san Giuseppe* , auguro a tutti di avere già una degna occupazione oltreché una notte di sereno riposo.
bydif
per la cronaca:
– Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe regale.
– Di lui non si sanno molte cose sicure, se non quelle riferite dagli evangelisti Matteo e Luca. Tuttavia nei cosiddetti vangeli apocrifi i narratori, intorno alla sua figura si sono alquanto sbizzarriti in notizie e storie leggendarie ma per lo più a cominciare da s. Agostino e San Girolamo ritenute inattendibili. Comunque quella che riporta del suo bastone prodigiosamente fiorito determinando nella “gara”tra contendenti la sua scelta a sposo di Maria popolarmente si è piuttosto divulgata e accreditata. Benché a tale leggenda si potrebbe anche dare un significato allegorico di passaggio tra il Vecchio e il nuovo testamento.
-In Oriente san Giuseppe è venerato dal IV secolo, in Occidente da verso l’ XI.
– Nei secoli, la sua devozione ha raggiunto grande popolarità. Prova ne è la presenza di reliquie in vari luoghi : Notre-Dame di Parigi custodirebbe i due i anelli di fidanzamento, suo e di Maria; la chiesa parigina dei Foglianti i frammenti di una sua cintura; Perugia il suo anello nuziale; la chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dei camaldolesi il suo bastone; Aquisgrana le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe.
il nome Giuseppe, di origine ebraica sta a significare “Dio aggiunga”, tra i cristiani iniziò a diffondersi già agli albori del suo culto e si accrebbe assai nel tempo, in Europa soprattutto nell’800 e 900.
……
* di s. Giuseppe, già Pio IX aveva in qualche modo riconosciuto la sua importanza come lavoratore quando, l’8 dicembre 1870, lo proclamò santo patrono universale della Chiesa.
*frammento di un opera di Gerrit- van- honthorst esposta all’ermitage di san pietroburgo.
I messaggeri divini
I messaggeri divini son quella schiera di misteriose creature celestiali a cui un tempo tutti o quasi credevano di averne uno accanto a mo di guida e tutela, al quale poter chiedere soccorso nelle necessità quotidiane, conforto nelle inquietudini interiori, semplicemente volgere un pensiero fiducioso della loro presenza, quand’anche ritenerlo un compagno per dialogare e tranquillamente esporre speranze e dubbi temporali. Oggi? In un mondo fanatico del materiale? Bah … d’acchito mi sovviene che per i più è una creduleria antiquata! O peggio. Un assurdo supposto di menti illogiche, folli e ossessionate dall’inesistente. Eppure…
Eppure numerose son le testimonianze bibliche, evangeliche e pure umane della loro esistenza. *
Chi sono i messaggeri divini? Sono quegli esseri intelligenti, immortali e dotati di volontà che connettono l’umano al divino! Gli incorporei “naviganti” in quello spazio fra cielo e terra; puri spiriti in quel vuoto che separa il mondo terrestre dal regno di Dio. Esseri un po’ sopra gli uomini e a vari livelli al disotto del Creatore. In sintesi gli angeli!
Si, i divini messaggeri son le creature angeliche. Come dire un “esercito” di esseri eterei con funzioni specifiche di collegamento tra Dio e l’uomo che in sequenza monocentrica riportano alla trinità e in delega di ruolo al numero divino, cosicché alcuni vicinissimi a Dio, altri in progressione meno.
E qual’è il loro compito? Beh…Variabile. In nesso di finalità referente! Per cui alcuni possono ascoltare direttamente la parola di Dio; altri dalle loro intuizioni estrapolare i concetti essenziali della volontà divina per rielaborarli in forma più comprensibile all’umano; tal altri addetti a materializzarli; altri a preservare e difendere il regno del padreterno; altri ancora decidere a chi far arrivare la sapienza o la filosofia rivelatrice; taluni a presiedere i confini della terra e proteggere tutto il creato; certi altri mostrarsi agli esseri umani per avvertire o comunicare una volontà divina; tutt’altri a salvaguardare tutti gli esseri umani con possibilità di interagire con i mortali in metodi e forme di propria scelta. In effetto angeli ai quali è concesso di calare ai parametri dell’umano da si comunicare e interagire nel mondo umanoide e che nel loro contatto con l’uomo, in qualità di” portavoce” divini, oltreché far percepire la presenza e far cogliere la missiva in molteplici modi, possono assumere forme assolutamente diverse e imprevedibili.
Bensì, noi, come possiamo avvertire la presenza di queste creature, afferrare un messaggio, chiaramente comprendere che sono una realtà “vivente” di quel vasto mondo che ci sovrasta e non un parto della nostra sfrenata fantasia immaginifica o di patologiche convinzioni di esistenze soprannaturali? Detto che è prerogativa d’ognuna di queste celesti creature, se farsi vedere come angeli, con sembianze umane, oppure restare invisibili, con un po di attenzione. Cioè? Gli angeli costantemente segnalano di esserci, siamo noi umani a trascurare o escludere i loro segnali, specialmente quando percepiamo che sono scomodi perché vorrebbe dire cambiare, per certuni ammettere che esistono e rivedere tutti i concetti sull’extra esistenza.
Vabbè, ma come la manifestano? In svariate maniere, di preferenza attraverso la percezione sensoriale, talvolta con azioni sorprendenti, tuttavia sempre con metodi che l’umano riesce a percepire o tangibilmente riconoscere. Al dunque? Al dunque I segnali visibili di questi “ delegati “di Dio, possono pervenire di giorno e di notte, in forma oggettiva, allusiva, trasmissiva. Tipo? Monetine nuove di zecca o di altri paesi, piume di pigmento indecifrabile, sensazioni improvvisa di caldo e freddo, sfioramenti, ventate, profumi intensi, musiche o voci che irrompono all’improvviso e di cui non si riesce a distinguere la provenienza, sparizione e riapparizione di oggetti; un colore, un numero, una scritta, un animale, uno spot; una persona in cui più e più volte ci imbattiamo da sembrare ci perseguiti. Lampeggiamenti, squarci di luce che confondono la vista, balenii che attraggono l’attenzione su un punto del cielo, della terra, dell’acqua o su un volto. Un sogno che si ripete, un pensiero che ci martella. Incontri con bambini che ci guardano, sorridono, ci vengono vicini, ci abbracciano senza un perché; strani personaggi che ci chiedono una stravagante indicazione, ci guardano fisso, rivelano un segreto di qualcuno che non conosciamo, propongono un’opportunità di lavoro al quale si aspirava, un luogo da visitare, ci raccolgono un oggetto caduto, donano qualcosa come un sassolino, un fiore, un biglietto con una citazione. Una figura che spicca inconsuetamente in mezzo alla folla e attira lo sguardo come una calamita e si fissa nel pensiero da non poi poterlo distogliere.
Perché e quando manifestano la presenza? Essenzialmente per ricordare all’uomo che su questa terra non “cammina” da solo bensì, per volontà del suo Creatore, costantemente affiancato da un’altra creatura che per quanto resa invisibile all’occhio non lo è alla sua capacità percettiva di assimilarne il supporto benefico. Tuttavia anche semplicemente per diffondere amore. Il quando? Il quando è presto detto, ogni qual volta c’è motivo di rassicurare, avvertire, spiritualmente sostenere.
E se uno non ci crede? Lo cassa come una fola per grulli? Pratica altra ideologia? Come agiscono, se ne vanno o restano? Beh… tutte le essenze angeliche si attengono ai criteri a cui son eletti, perciò anche i messaggeri divini, quindi restano! Vale a dire, essendo delegati del principio del Padre “ nessuna creatura in terra deve esser lasciata sola e in balia di se stessa” ogni radice di selettività sarebbe un atto contrario alla Sua volontà. Inoltre, la differenza discriminatoria contravverrebbe al concetto che siamo esseri liberi e in quanto tali anche di credere o no, professare un credo o un altro, considerare balle per beoti ogni idea di esistenza sovrumana
Eh si, recepire o scartare è prerogativa umana. Perché? Beh, perché giammai, ripeto giammai questi Esseri di puro spirito messaggeri divini intervengono sul libero arbitrio, quel libero arbitrio di fare o non fare un azione, credere o no, accettare o rifiutare che Dio stesso ha voluto fosse una scelta autonoma dell’essere da Lui creato.
.In conclusione, Gli Angeli e le Essenze dei mondi extra corporei quando vogliono manifestare la loro presenza o comunicare con noi esseri umani per metterci in guardia, avvertire di prossimi eventi, messaggiare un qualcosa di problematico, acciocché percepiamo la loro vicinanza spirituale, comprendiamo la disponibilità a prestare benefico aiuto, guidarci a sbrogliare i dilemmi, ricorrono a mezzi correlati al nesso che vogliono messaggiare. Ossia facilmente da individuare e dedurre il significato per associazione di elemento, aria, acqua, terra, fuoco, luce, materia, simbolo, archetipo, proprietà. Comunque sia il metodo angelico di riferire presenza, messaggi o avvertimenti, non è mai in modo sporadico, ripetuto e sempre evidente. Se l’uomo non lo intercetta o afferra il perché sta nella sua volontà elusiva o negativa.
In luce divina auguro a tutti i miei simili di captare la presenza delle creature celesti, comprendere il loro perché comunicativo e soprattutto che c’è assai, assai e ben altro oltre noi!
Bydif
op s...vorrei aggiungere… c’è tantissimo oltre bensì in bene e in male…per cui c’è da fare molta attenzione a non confondere i segnali comunicativi… non è detto che tutte le manifeste parvenze incorporee siano di natura angelica benefica ma…ma …ne parlerò…
…* Come i tre angeli che appaiono ad Abramo; gli angeli che annunciano la nascita di Gesù ai pastori, la sua Resurrezione; Gesù che ne parla come esseri reali ed attivi che vegliano sugli uomini; i mistici come Padre Pio, che lo vedevano sempre accanto; gli infiniti racconti della gente comune scampati a pericoli mortali e gravi difficoltà grazie a persone, sparite all’istante di averli salvati.
Quel giorno, a Gerusalemme , passo dopo passo sulla Sulla Via Dolorosa.
Quel giorno, a Gerusalemme, non ricordo il giorno della settimana, forse era mercoledì, o venerdì, pellegrina tra pellegrini, percorrendo da mattina a sera strade e stradine, in cerca di comprensione, certezze ed anche emozioni, convinzione, rivelazione, attendibilità storica, scoperta degli enigmi della fede, in verità esalati dalla terra e percepiti ad ogni passo, son giunta in quel groviglio di vicoli della città vecchia, in cui si snoda la via Dolorosa. La via del “cammino di Cristo con la sua croce”. Il quartiere musulmano che tra botteghe strapiene di ogni sorta di spezie, motorini che ti sfiorano, venditori che ti assalgono, giovani che sulla ripida scalinata si scaracollano giù, carretti che arrancano, bambini che scherzano, donne paludate in lunghi abiti, uomini in fogge stravaganti, canti, grida, richiami del muezzin, vocio di gente di ogni colore, lingua, luogo della terra, rosari e orazioni riporta la mente, il cuore, la curiosità di ogni pellegrino alla narrazione degli avvenimenti tragici di Gesù. Percorrendola, pur tra un miscuglio indescrivibile di volti, distrazioni a gogò, mercanteggi, odori prorompenti che all’improvviso si infilano nelle narici o ti sollucherano lo stomaco, via vai di persone,di vita quotidiana movimentata, beh, non so come non so il perché ma ad ogni passo ti cambia la percezione di quel guazzabuglio. Passo dopo passo, una specie di atmosfera quieta, armoniosa t’avvolge, isola dal contesto, fa prendere coscienza dell’importanza del luogo, percepire la storia, cogliere tangibilmente il patimento di Cristo. In un certo qual modo trasporta oltre il tempo, a rivivere in tutta la sua crudezza la circostanza tragica di un condannato a morte dall’umana imbecillità. Percepire con forza l’insondabile mistero del Divino, del Suo cammino verso la morte per amore proprio di quell’umana stoltezza che un giorno lo Osanna e quello dopo con brutale cinismo lo condanna e Crocifigge. Quel giorno, non so se del primo viaggio o dell’altro, inoltrandomi, assieme a una folla pellegrina e no, su quella via Dolorosa ho vissuto emozioni indescrivibili. Passo dopo passo m’è sembrato di camminare al fianco di Cristo, avvertire, in quel tragitto, tutto il patimento del dono della Sua vita per amore. Passo dopo passo ogni sosta vivficava ogni momento dolente di quell’ultimo percorso di Gesù. Era come si aprisse un sipario che ti svelava un pezzettino di storia sacra, del figlio di Dio sceso in terra per offrirsi in olocausto e al contempo ne eri parte. Partecipavi e ti nutrivi l’anima di straordinario. respiravi e ti avvvolgevi cuore e cervello di una intensità di sentimenti che mai avevi provato. Guardavi e gli occhi registravano una singolarità di immagini sconosciute che ti ribaltavano ogni supposizione, ogni concetto che ti eri costruito sulla storia degli ultimi respiri di Cristo, forse per tradizione, forse per opinione, forse per superficialità della fede. Fatto sta che passo dopo passo, quel giorno, nella tappa dell’orto degli ulivi, nell’ora che umilmente Gesù si rimetteva alla volontà del Padre ho aspirato il suo mistero umano e tutto il mondo m’è parso morire in quella pietra ancor rossa di sangue e di sudore. Passo dopo passo, su quel lembo di terra verde e silenziosa, tra i secolari ulivi una ventata mi ha trasmesso l’ amarezza del vile tradimento per pochi denari. Avrei voluto fuggire per il disagio di tanta meschinità. Passo dopo passo, scena dopo scena, quel giorno ho percepito una immensa sofferenza per la stoltezza, l’avidità, la superbia umana che con freddo cinismo ingiustamente accusava, condannava un “uomo” al supplizio e godeva del Suo strazio. Mi ha fatto provare sconcerto e vergogna. Avrei voluto rintanarmi nel buio androne di quella via, non proseguire quel cammino. Ma sarei stata una vigliacca, così interiormente scossa ho proseguito. Passo dopo passo, ad un certo momento in quel marasma di respiri e orazioni, un suono triste che somigliava a un lungo lamento o a un pianto sconsolato, ha sommerso i presenti, gli ha fatto volgere il capo per comprendere da che parte o da chi provenisse. Nessuno capì. Ma in quella nenia triste ho avvertito una fiammata di calore, di forza carismatica invisibile che ti attrae, fascina e sconvolge. Con una fitta al cuore, s’è aperto un varco nel mio pensiero, è volato oltre il tempo, ai piedi di una madre che guardava suo Figlio coronato di spine, grondare di sangue, cadere più volte sotto il peso di una pesante croce per offrire una chance di salvezza all’umanità intera. Passo dopo passo, in quel giorno pellegrino, nell’attimo che ho visualizzato quel Figlio che veniva inchiodato a quella croce, pianto nel silenzio da Sua Madre mentre certi altri guardavano con indifferenza, quasi compiaciuti, ho percepito uno disorientamento spirituale che mi soffocava il respiro. Il mio pensiero, è andato oltre la marea di pellegrini, oltre il vocio dei figli di questa terra santa, oltre ogni limite, all’istante che la croce si alzava da terra e Cristo, nudo, solo e trafitto, piegava il capo e perdonava, agonizzava e assolveva, mostrava la sua fragilità umana. Di fronte a ciò mi son sentita piccola piccola, indegna di quel martirio ma anche tanto, tanto irata e avvilita dalla crudeltà dei miei simili. Passo dopo passo, quel giorno, sosta dopo sosta, scena dopo scena, orazione dopo orazione, quel giorno in cima alla via Dolorosa ho percepito un profumo di incommensurabile dolcezza. Sapeva di eterno e tra il sol che mi feriva l’occhio intravisto lo splendore del volto Divino. Mi son sentita avvolgere da una luce, cospargere da cima a piè da un immenso amore che mi ha empito l’animo di gioia e speranza. Soprattutto di certezza che la nostra vita non finisce davanti a una pietra. Va oltre.
Passo dopo passo, quel giorno a Gerusalemme, su quella via del “cammino di Cristo con la sua croce” ho vissuto un esperienza che si è scolpita nel mio essere. Tutti almeno una volta dovrebbero passare di lì. Se non cambia la vita, di sicuro ogni passo su quella terra, su quei luoghi, fa riflettere.
Nella luce di Cristo, Risorto auguro a tutti una Santa Pasqua serena, anzitutto di Rinascita.
Bydif
per la cronaca:
la Via Dolorosa è una strada a gradoni, per lo più in salita, all’interno delle mura della città Vecchia di Gerusalemme che parte dalla Chiesa della Flagellazione, più o meno il luogo in cui Gesù fu giudicato e condannato a morte da Ponzio Pilato e in poco meno di un chilometro giunge alla Basilica del Santo Sepolcro, che più o meno corrisponde al Golgota, il luogo nel quale Gesù fu crocifisso, deposto e sepolto. Dunque la via Dolorosa corrisponde all’amaro tragitto di Gesù e la sua pesante croce per giungere al punto in cui verrà inchiodato, trafitto, lasciato morire. Di fatto è la via che percorrendola rimembra tutte le fasi salienti delle ore finali della vita di Gesù Cristo sulla Terra. Nello Specifico, una parte della narrazione della Sua via Crucis messa a fuoco in 14 momenti, però, gli ultimi 5 sono all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. Tali momenti cruciali, comunemente definiti stazioni, in quanto i pellegrini sostano per considerare l’avvenimento e pregare sono;1, condanna a morte di Gesù; 2, Gesù è caricato della Croce; 3, cade la prima volta; 4, incontra la Madre; 5, è aiutato dal Cireneo; 6, è asciugato dalla Veronica; 7, cade la seconda volta8, consola le pie donne; 9, cade la terza volta; 10, è spogliato; 11, è crocifisso; 12, muore; 13, è deposto dalla croce; 14, è sepolto.
A prescindere dal credo tutti i turisti in visita a Gerusalemme prima o poi transitano in questa via che a distanza di anni la narrazione che sviluppa in quel marasma del souk continua ad essere radice di convinzione mistica.
Attualmente, si può dire che per opera dei francescani che tra l’altro conservano il privilegio dei “quadri” rappresentativi per lo più di terrecotta, delle 14 “stazioni, la via dolorosa o via crucis si può percorrere in qualunque luogo vi sia un edificio di culto.
….
Curiosità sulla via Crucis
c’è un detto popolare che recita “anche lui o lei ha fatto la sua via crucis! Cioè ha subito una serie di sfighe che gli han causato patimenti e sofferenze.
In un altro senso, ” gli è costato una via Crucis! Cioè, lui o lei per ottenere quel posto, quel documento, quel diritto, è stato costretto a rivolgersi a così tanti e a girare in lungo e in largo da contorcersi dal dolore.
Giovedì Santo
Il giovedì santo è il giorno della Settimana Santa che conclude la quaresima e da avvio al cerimoniale basilare del mistero di Cristo, il Truido Pasquale. Ossia dei tre giorni conclusivi della vita terrena di Gesù Cristo. Per meglio dire richiama alla memoria tutti gli avvenimenti legati a Gesù, dalla cena con gli apostoli alla passione crocifissione, morte, fino alla resurrezione tre giorni dopo.
Il Triduo, si può dire, il memoriale, cuore pulsante dell’essenza della fede cristologica. Secondo il Rito Cattolico Romano inizia proprio ai Vespri del Giovedì Santo con la Messa in Coena Domini o Cena del Signore o del Crisma, poiché si consacrano gli oli santi, e si conclude con i Vespri del giorno di Pasqua.
Il rituale evocativo del Giovedì Santo, in primis ricorda l’istituzione dell’Eucarestia. Quel “cibo” sacramentale simbolo della consegna totale della vita di Gesù, di una nuova alleanza tra Dio e gli uomini, attraverso un pane spezzato e del vino versato durante l’ultima cena con gli apostoli. “E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.
Cena nella quale col cerimoniale della lavanda dei piedi memora l’amore che si fa servizio e dono. Eh, si, Cristo lo afferma nel momento in cui Lui, il Signore, il figlio di Dio, generosamente fattosi umano, con grande umiltà si inginocchia davanti agli uomini, suoi discepoli, per lavare loro i piedi. “Durante la cena, …., Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”….Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. …..”Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “… Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.”
Di seguito rammenta quella del ministero sacerdotale ” Andate e diffondente nel mondo la Parola in verità”
e del comandamento dell’amore fraterno.” Amatevi l’un l’altro come Io ho amato voi”
La Messa in Coena Domini del giovedì Santo non termina con l’ite missa est ”la Messa è finita” bensì con un momento di raccoglimento che in silenzio vivifica l’agonia di Gesù, raccolto in preghiera col Padre, nell’orto dei Getsemani.
by dif
Le Palme o Passion Domine
Le Palme o Passion Domine è la celebrazione di un episodio cristologico fra i più importanti per i cattolici, in quanto rievoca l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
Secondo le scritture evangeliche il suo arrivo a Gerusalemme in sella a un asino, fu un tripudio glorificatrice di folla acclamante che agitava ramoscelli di alberi, foglie di palma, frasche colte dai campi; gridava osanna, osanna; stendeva tappeti al suo passaggio, tributandoGli onori riservati ai re. Ma, come succede spesso nelle vicende umanoidi, chiaramente l’osannante accoglienza di Gesù, contrasta nettamente con quanto consegue poi nella narrazione della Sua sorte. Infatti, poco dopo, allorché tradito per il vile denaro, arrestato e accusato di spacciarsi per il Messia, flagellato, deriso, coronato di spine, condannato a morte, mandato da Ponzio Pilato, quegli non convinto della sua colpevolezza, invita a scegliere tra Gesù e Barabba chi esentare dalla condanna, la stessa folla preferirà assolvere il brigante e condannare Gesù a una morte orrenda urlando: “crocifiggiLo, crocifiggiLo”!
Di fatto l’episodio celebrato nella liturgia di oggi avvia la Settimana Santa. Ovvero i riti solenni che rievocano gli ultimi passi di Gesù su questa terra. Passi dolorosi, ermetici, di passione, falsità, rinnegamento, condanna iniqua, brutalità, crocifissione, morte. Tuttavia passi di consapevole accettazione di immolazione, di dono, di amore, di insegnamento, misericordia, perdono, rinascita. Innanzitutto, passi di conquista, liberazione, di trionfo della vita sulla morte. Dunque una ricorrenza di memoria rituale essenziale per i cristiani. Chiama a partecipare, ascoltare, silente meditare sul sacrificio immenso di Cristo; le friabilità etiche del genere umano; l’offerta del SE incondizionata a comprensione, mitezza, riscatto e salvezza eterna dell’umanità. Nondimeno, ognuno a riflessioni di riscontro del vivere la propria fede in parallelo con la via da Lui tracciata con tanta generosa amorevolezza e indiscutibile umiltà.
Qualcosa in più su questa festività cristiana:
I Vangeli narrano che Gesù arrivato con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme, la sera del sabato, mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito. Il Vangelo di Matteo sottolinea che questo avvenne affinché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria “Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme. Giunto, la numerosissima folla, radunatasi dal ciarlare dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, tagliò rami di ulivo e di palma per agitarli calorosamente in suo onore a Gesù esclamando “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!”.
La liturgia delle Palme, si svolge iniziando al di fuori della chiesa. Il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma. Dopo la lettura di un brano evangelico, li distribuisce ai fedeli radunati che li porteranno a casa in segno di devozione e augurio di protezione divina da fulmini , malattie e cattiveria. Dopodiché dà inizio alla processione per accedere in chiesa e celebrare la Messa, durante la quale c’è dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, la lunga lettura della Passione di Gesù. Articolata in quattro parti: l’arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura. Ritualmente è alternata da tre lettori : il cronista, i personaggi delle vicenda e Cristo stesso.
Tale lettura della Passione non è la stessa del Venerdì Santo, poiché nella celebrazione del venerdì si legge il testo del Vangelo di San Giovanni.
La festività cristologica delle Palme, cade durante la Quaresima, che termina il Giovedì Santo, primo giorno del cosiddetto “Triduo Pasquale”.
È una ricorrenza mobile. Legata direttamente alla Pasqua, la cui data viene fissata in base alla prima luna piena successiva all’equinozio di primavera del 21.
La memoria della Passion Domine o delle Palme è celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti.
L’ Evento di oggi rimanda alla ricorrenza ebraica di Sukkot, cioè la “festa delle Capanne”, in occasione della quale numerosissimi fedeli arrivavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. Ognuno portava in mano il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie evoca il silenzio di fronte a Dio, legati insieme a una specie di cedro, l’etrog, con un filo d’erba, da agitare durante la salita al tempio peraltro ritmata da un continuo scandire Hoshana ( ossia salvezza )
Secondo alcuni l‘ingresso di Gesù in Gerusalemme, invece non corrisponde alla festa ebraica di Sukkot o delle Capanne, ma allorquando Gesù porta gli apostoli sul Monte Tabor mentre c’era la festa. Quindi alla nostra festa della Trasfigurazione, anche chiamata della Luce poiché è una solennità gioiosa dell’attesa del messia.
La saggezza popolare italiana ha prodotto alcuni proverbi sulla ricorrenza delle Palme:
L’olivo benedetto, vuol trovar pulito e netto.
La domenica dell’olivo tutti gli uccelli hanno il nido, e la merla furbarella l’ha per aria e l’ha per terra; ma il colombo sciagurato non l’ha ancora cominciato.
La palma benedetta, buone novelle aspetta.
Palma al sole, Pasqua con l’alluvione; oppure, Palma molle, Pasqua asciutta; Palma asciutta, Pasqua molle. Beh, se è vero, qui oggi ha piovuto quindi a Pasqua splenderà il sole.
Comunque sia, pioggia o sole auguro a tutti una settimana di pacifica convivenza, di generosa disponibilità, in particolare di spirituale vicinanza al Signore a chi ha fede in Cristo, e a chi non l’ha all’umana esistenza del prossimo.
bydif
Riflessioni
Il guaio è che spesso con indifferenza si va oltre il sentire e poi si incolpa il fato !
Nessun’altro può narrare vicissitudini e stati d’animo meglio di un insieme di autopennellate!
La verità è impegnativa sia a praticarla, sia a farla confessare che insegnarla!
La nostra immagine esteriore involontariamente rivela al prossimo la nostra vera natura
Quando la materialità esistenziale predilige volger lo sguardo a terra esclude il cielo!
bydif
poesia amica:Fiori di primavera
Se qualcuno chiede
quale sia l’anima del Giappone:
è un fiore di ciliegio
che profuma il sole che si leva.
Ad una bimba che cercava violette
chiesi d’un campo di fiori:
senza parlare m’indicò col fiore
il volo d’una farfalla.
Il giorno primaverile
è pieno di luce, chiaro, giocando…
Ma i fiori di ciliegio
ruban tutta la luce del sole.
Paul Verlaine
Oggi è l’equinozio di primavera. Il primo caldo sole regala sensazioni di tepore che allontanano dagli occhi il grigiore, il cielo rosaazzurro ritempra l’animo, il verde dei prati trasmette un non so di magico, il biancospino lungo la via candida i pensieri, le margherite, le violette, i tulipani le giunchiglie che sbucan qua dalle aiuole irradiano di gioia il cuore, i peschi, le magnolie, il rosmarino in fiore san di vita che continua. D’altronde in quasi tutte le culture l’ evento è sinonimo del risveglio della natura, dei sensi, dei colori, della luce e della vita.
Briosa primavera a tutti
by dif
Così continua la storia de la garrula fanciulla
…La garrula fanciulla da incoronata se suppose che a suo piacimento tutto potesse fa e disfà, vocià su, bercia giù, girà e rigirà le parolette e niuno aver l’autorità de criticà, solo de applaudì la su loquace bontà. Per un po se sbizzarrì a far qui e li, a di e ridì, sensa avè appariscenza de garbugli e scontenti. Ma, sotto il sole l’olivo magico se perse de vigore, grigio e appassito non faceva più un figurone. Rovinata l’attrattiva della su bella coroncina la gente al su passo si voltò a guardà altra vetrina. Il populino se annò a frescurare un po ai monti un po al mare. Li su villani se smisero de zappare e se ripresero a fare i fatti loro lasciando sotto il sole la garrula fanciulla lor regina a boccheggiare.
Li per li, garrula come era de carattere, alla fanciulla le parve naturale che tutti i suoi paesani se prendessero na pausa per rifiatare. Dopo un tantino se affastidì a non vedè più attorno nessuno o quasi e cominciò a berciare che nun era accussì che appotea regnare a lor favore. Però ormai ognun de la su corte se fregava de seguì le su strade e tantomeno stasse a servilla e riverirla senza avè un benefit da ricavacce na vita abbellita da grazie. Quelli, che nun eran de la su parte, se presero a bersagliare de sassate il su tronetto per faielo crollare. La garrula, un po meno garrula nel sorrisino, capita l’antifona, andò nel suo giardino, se insabbiò il non più magico olivo, poi corse alla su villa in la collina a smaltisse l’ira verso l’ingrato populino. Per un po’ meditabonda se stette a passeggià tra le su verdi comodità. Passeggia qua, passeggia la, se mise a guardà se tra querce tigli e ginestre c’era qualcosa da rimirà che la potesse risollevà. Guarda che te riguarda scorse un bel praticello di papaveri e margherite, stupita per si tanta bellezza amena, lo contemplò ammirata, le parve una agiatezza offerta dal destino, si rinfrancò, al volo le natiche vi posò, giuliva s’addormentò.
Intanto che ella, tra papaveri, margherite e verde erbetta con un bel sonno se ristorava, il magico olivo se languiva nella sabbia del giardino. Passò una fatina esitante lo guardò oltre se ne andò. Passò un baldo cavaliere irriverente di lui non si curò. Passò un capitano navigato e strafottente gli diede un calcio e manco lo guardò. Passò uno gnometto lo raccolse e rianimò alla su bella lo donò, quella se lo baciò e de botto ricca diventò e tutti gli gnomi ai su piedi se postò.
E la garrula? La garrula al su risveglio briosa e rinfrescata se pensò che nun ce stava a esse na regina ignorata, ma de avè tante virtù da sciorinà aggregà e fa ingrassà de bene tutti li paesani da esse da lor amata e rispettata. Tuttavia, per tornare in auge e recuperà la su autorità forse era meglio cambiasse un po’ il look, apparì più semplicina. Andò da no hair stylist de fama, ie colorò de blu la bella bionda chioma che al su dir le dava un tono fashion da elevalla de dignità sovrana. Se recò da no stilist de abbiglio, se la guardò e rigirò, a suo occhio sentenziò che per esse al top un outfit casual era il non plusultra de sciccheria per daie un tono de donna progredita e populina. La garrula che ce teneva assai alla su immagine de eleganza da distinguo se storse un po la boccuccia e se elecubrò: vabbè cambià immagine, ma mette degli straccetti nun me pare un look de finezza da regina. Bensì era tanta la voia de riprendese la scena ne le piazze che se persuase a rinnovà l’abbiglio a mo de donna un po sciattina.
Annuovo de aspetto e de pensiero la garrula se sentì pronta a lascià la su villa in collina, scende giù, tornà a farsi ammirar e squaqquerare la su sapienza ne la piazza. Al suo arrivo non trovò quasi nessuno e quei pochi che c’eran la guardaron interrogativi, ie figurava strana e tutta azzurra ne la chioma assai ortodossa a travaglià la lor causa. La garrula se rimase maluccio, manco accapiva la lor indifferenza ma non se fece vedè amareggiata, anzi se sperticò in sorrisi e strette de mani, se apprestò a fasse i selfi da riempì per settimane li social giornali. Convinta de avè lo talento per ricompattà i su villani attorno al su trono, conquistà quelli tiepidini, ammalià chi al contrario la pensasse, se cominciò a rigirar in su le piazze per acculturalli de tutte le su grazie.
Ma persa la magia dell’olivo il populino ascoltava, farò qui farò la e se andava. Ascoltava, io qui io la se andava, più non l’ acclamava. Anzi se affastidiva de la su boria e del su stasse al potere a propinà na massa de le su ragioni senza accettà de fasse dì che nun era accussì il lor pensiero. Daie oggi, daie domani più la garrula se faceva vedè e se parlava più er populetto se scostava. Cosicchè la garrula fanciulla se capì che la su impresa da regina indiscussa s’era sbollita. Per no affossà il su trono e subì lo smacco de perde il su vantaggio non le restava altro che riamicarsi tutti li cavalieri che aveva messo in cantina. Stasse a sorbì zittina, zittina quel che ognuno aveva da di. Sorride a questo e quello anche se en cor suo lo voleva mannà a ficullo. Sopportà chi accriticava le su mosse nelle piazze senza fiataie. Insomma ie toccava indietreggià ne su garruli, passà no po de prestigio ai vecchi capitani, medaglià li cavalieri, da la mano ai musoni, contentasse de rimanè regina e fasse servì e riverì da soliti citrulli e da quegli che pur de stasse belli grassi a corte se fregano de tutti e plaudono a tutti .
Come fu, come non fu, dopo qualche tempo, la garrula fanciulla de tanta meraviglia de bravura, de sapienza, de bellezza da encanto da esse incoronata regina, se flosciò all’occhio del populino. La su favola finì che ie toccò adattasse a convive coi villani come na influencer snob qualunquina. E per il suo populino tutto tornò come prima.
Morale della storia? Ogni corona ha le sue spine!
bydif