Il Paone Spavonato

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Nel bar dell’aia a me vicina, è di moda favellar la storia di un paone pomposetto e riformino che un dì, alletta na platea de babbei e un vecchino, faruglia d’esser l’unico modestino a cambiar il loro magro destino e s’appollaia, a tutta fretta col su magico gigliettto e qualche croco furbetto, sul ramo più alto della stanza del comandino. Isso sul rametto, paventa a tutti una cuccagna, s’ acconcia piume e piumette a la su greppia, a tutta cresta te inizia a beccà, sgufagnà, proclamà; a girà per boschi a sfanfaronà che grulli tacchini covaccia e gallycedronus ingaggia. A gufi e civette perplessi da tanta baldanza, sputacchia che meio de lui non ci sta e se devono rassegnà a sta a guardà. Nell’aia belante slaida una sequela de cose da riformà per meglio tutti campà. Ai galli zucchera stantie polpettine per fargliele ingozzà senza falli cantà. Alle galline smuove l’aria per falle fetà qua e la portentosi ovetti da distribuì ai giovin capretti in attesa de potesse sfamà. Ai suini trogola una sbobba da cileccargli la voglia de grufolar ne la su stanza parlottina. Tronfo de gloria, sgrilla la coda compra un super aereo viaggia. Ovunque s’assede se paoneggia, becca, ciancia, sfotte e comanda. In tutte l’aie paulula da re senza capì che solo i farlocchi incanta e più la su rota luccichina ciancia più va a finì che ve inciampa. Qualche astuto galloppayo l’avverte de non esagerà, de frenà la su boria, ma il paone ormai cecagno de vanagloria li mette in minoranza e va ancor più agirà e rigirà, a mostrà le su piume al vento. Anzi, convinto d’esser addivenuto er sovrano assoluto dell’aia te va pure a escogità de sbarazzasse de regole e regolette, fornisse de nove acconcie ai su megalomani progetti blaterando che servono a sfrondà i rami parlottai e fa sfollà tutti quei grassi musicai che v’assostano addurmì. Per meglio inchiappettà il popolo dell’aia e fasse incoronà re de tutte l’aie del contado, il gonfiopaonetto a tutti le decanta, le decanta tanto le su riforme da intontir oltre i ciuchi anche i cavalli scaltri. Solo alcuni pulcini, che giran giran per l’aia senza trovà il mangime e alcuni cigni, che sanno nuotar zitti ma pescà veloci, non se lasciano irretì e te vannò a intui che la fregola del paone a cambià le regole dell’aia mira a altra direzione. Il paone s’è tanto supergasato d’esser irresistibile che nell’essere informato che pulcini e cigni nun so fessi irretiti, ce fa una risata e sparpaglia voce che so un’accozzaglia del guazzo, tutti diranno si alla su riforma con gran gioia e loro se dovranno sbobbà la su vittoria. Porino … se sapesse ….che…. na schiera de cacciatori imbelli schiamazza a gai fagianelli, galli e tacchinelli di spennargli la coda che con vanto paonazza, strappargli quella cresta da fanfare e fallo fuggì dall’aia, altro che sfotte e inghirlandasse, se addoeva infilà il giubbino antiproiettile, mettese a corre a perdifiato e pregà d’arrivà in cima al colle a fasse ospità nell’uccelliera  dal capo fattoria….Stando al favellar… è con quel suo dir che se tira la sfiga e se firma la su condanna,  perché il popolo dell’aia, al sentirsi definire un’accozzaglia, già arcistufo della sua aria da paon ditta-re, corre in massa a diglie che le su riforme se le po’ tenè, e se nun glie va bene se po’ pure andà a eremità per boschi. Fatto sta che insiste e insiste che da reuccio pavone si trova spavonato e finisce sul selciato da un no esagerato, esternato da un paese a dir poco esasperato. Al no dell’aia alla su proposta, li per li s’annichila, assai sconcertato fa du lacrimucce e un paulo balbettino poi dal su bosco s’è spoltrona e vola a tutto fiato in sul colle presidiato a di me ne vado. Il poncello così se pensa de salvà almen la cresta. Invece il porino è finito congelato nel frigo smammarino del capo fattoria assai accigliato che canocchialando, dal su bel colle quirilino, ha osservato una schiera di fagiani e meleagris gallopayo che dai rami del parla tu che sfotto anch’io, affamati dalla sicumera paonfanzista, canticchiavano d’aver acquisito con un no inaspettato e un si deflagrato col su parterre rabberciato, paontwittino tvbombardino buggarintrona, il legittimo diritto di spennarlo e divorarlo senza un minimo di afflitto e di travaglio d’apparir ghiottoni spudorati di un paon supermontato con un ego smisurato. Il paone mezzo spennato, messo al fresco dal fattore pe’ tentà de salvà la su situazione,  invece che mettese a riflette in do ho sbagliato se ribada so io er meglio del contado, so io che ordino e tramo, so io che cambitutto in meglio, so io che in frigo ce mando chi me vol fa sbobbà. Poro pavoncello, se vede che  con la botta  ie smontato el cervello. Altrimenti…s’ attaceva.  Si nun s’è stontato ormai deve assapè che ..…daie che te daie a crogiolasse d’esser re immortale; ruota che te riruota le su penne a destra e manca; sventaglia e risventaglia l’ocellata variopinta in su la piazza merkatara con bulloarroganza; vola e te risvolacchia a mostrà la supremazia di leadership con ruota pernacchia a un unione cecchina, paventa stalking rendiconto sforabilancia, sferra pugno terremoto migranti, e…con manovra t’incastro e t’avanza, deve assapè che la su novella se l’è male raccontata e con un si trobato s’è fatto frittata . …Che,in una notte ne buia ne chiara, isso sul tronetto ghigino l’imponderabile il suo asso calava…e la spennatura ci stava. Se favella tanto in su le piazze le su disgrazie, ma niuno ce vede de che scandalizzasse de na vendetta oltranzista del drappello uccellatore contro il povero paone strafottente. Iè accusato d’aver alimentato i sazi predatori e lasciato a panza vuota i millenium osservatori, aver gonfiato a dismisura le su quotazioni spifferaiando ch’era l’unico paone sul mercato, adatto a rottamazzare le ruote ai tacchini vecchiarini, all’oche starnazzanti e ai galli chicchirichini, stazionati nell’aia da ciuchi sprovvedini, pecore capre anatre mute e grassi suini. Insomma, com‘è come non iè,  il fatto ie che il pavo cristatus con tutta la su vanità, in una notte stellata con gufi e civette in ansia, è finito ruotato da un si mancato, messo nel frigidairo a clima comandato a sfrollare il su verso immodesto de io so diverso, senza tergiverso cambio verso a tutto il piazzame e mentre l’alba spunta e il guazzabuglio piazzame brinda, al megapaone spennacciato l’iperbole de la su bella favola fracella su tutte l’aie del contado e il botto è così grosso che attraversa l’oceano. Porino… la su caduta.. niuno soccorre. Tutti lo spennano. Solo il fattore ha un po’ di pietarina. Non capisce tutta la storia, vede solo danneggiata la su boria e pensa di frollarlo un po’ prima di buttarlo allo sbaraglio del popolo della su aia. Il capo fattoria pensa de  salvaie almeno qualche penna , però non sa che… che il paone, iè tanto grullarino, e nel frigo sta ideà  non ci sto fattor mio,  il re so io, anche a te un bel frittolo so cucinar io. Porino, nun arriva a capì de bassà la cresta, quello, è di poche parole ma assai scaltro d’occhio e di cervello.  Intuìto l’intrigo rimugino del paone, il capo fattore fra se se dice, a si, mo paone te fo vede io, in che pasta sto impastato io, e preso il matterello apre il frigidario, sbrina il porino, lo ciuffa per le zampette e gli assesta un colpo da maestro al pennacchio, e in un balenio il paone è spavonato dal fattore capo e in bel cappon da brodo trasformato, messo in pentola e a fuoco lento lento lento li lasciato. La notizia del paone ammollato se sparpaglia subito nell’aia e tutti se mettono a congettà che di lui sarà. Il fattore essendo un equo aristocratico, non vol passà da avaro che se pappa da solo un paone, te ben pensa de chiamasse a la su mensa a spartì la sorte del paone con tutti i capetti dell’aia. Quelli assai in gaudio per la spennacciata manco un secondo ci pensano, facendo finta de non vedè, pecore ciuchi e galli su cortigiani che per l’aia fantasticano e se rodicchiano l’animo pel bel paoncello ammollo, fra il giubilo dei tacchini e pure dei suini, frottano subito al colle assedè a la mensa con gran supponenza e voglia de dì. Ognuno a su modo e con su verso infatti se mette a sbrodà e risbrodà a intingolà il becco sporco in ogni piattino, a ingozzasse e scarnificà il povero paone e senza un minimo de creanza pure a esultar senza ritegno palleggiando le su piume nel salottino azzurro del convivio. Il fattor li ascolta e li guarda, se frena da di quel che pensa della poca creanza ma a sentirli strugolare bevaracciare sfregiettà oltremisura se scoccia assai così ripreso il su bel matterello a uno a uno giù dal colle li voltola fino all’aia. Poi, abbugliato assai dal comportamento de su commensali fa serrà la porta e se ritira a pensà. Pensa e ripensa di chi se po’ fidà, de chi mette a capo senza scontentà l’aia, de chi meio è istriuto per conferi e rappresenta la su fattoria…pensa che te ripensa, a il paone, a la su corte, a tutta la situazione dell’aia, conviene de non potesse fidà a lasciar l’aia a sbrodolà su un pavone iperbolico, manco se po’ permette de perde tempo con tutto quel che c’è in ballo alla fattoria, e men che meno se po’ fasse coionà in giro d’esse privo de abilità o peggio fasse fregà dallo spennacciato che ammollato sta a tramà come smollasse dal pentolaio. Pensa che te ripensa al fattore gli appare chiaro de fa sentì che je il capo de tutta l’aia e che niuno lo comanda o gli impone qualcosina che non esca dalla sua testolina. Tuttavia sa che nun ha tanto da pescà. Decide allor de nominà er meno peggio. Ce son quattro che ie sembrano adattini, ma nun sa prevedè il futuro, accusi pensa è  meio  se affido  alla sorte, può essere che c’azzecco. Prende 4 foglietti ce scrive i 4 nomi, li mette nel taschino e tira su il fogliettino. Ahio, il nome nun è proprio er meglio, troppo gentile ma se pel destino è quello, quello nomina e nun ce torna a pensà anche perché deve da un segno che niuno se po ficcà nella capuozza de comandà da re, d’autoproclamasse er meglio, de insedià le regole tanto pe fasse bello e apparir salvator dell’aia, oscurà il su prestigio de capo.  Così fa sapè il nome a tutta l’aia con tal cipiglio che manco un beo se sente.  Con il su nome, il fattore nun sbaraglia i capetti e i sottocapetti dicerini, a quelli nun sa che in seguito ce pensa il gentilino che in serbo ha nel taschino un sapere che a niuno  mostra, t’assesterà un bel colpino da  zittà tutti gli abitanti dell’aia,  compreso il paocino. Porino… al pavon reuccio iè vorrà un po’ pe’ tornà a beccà.  Intanto mentre nell’aia regna il silenzio e tutti s’accorrono a trovasse un alternativa che li salvi dallo spennamento paonino, na corte sministra na legge che niuno po’ dictatare, niuno soffocare, niuno avere il superpotere de fregolasse e sministrà il mangime  senza tenè conto del parere popolino.

Se racconta che da quel dì chi voleva capì capì, chi era tonto o cercava de fa er furbò andò a fondo, e ne l’aia più nessun da re comandò e manco ci pensò. E il paone…il paone pare che continuò…. al bar  dell’aia ie dicono che continua con la su sicumera…e quello manco fritto se ripiana la boria…però se narra che la su storia non fu più da favola ma da favoletta, perchè la su rota nessuno più incantò  e a poco a poco la su corte se inquattò o se cambiò nome pe non fasse riconosce, solo qualche barbagianni resistette a nun scappà, mica per fedeltà, nun sapeva dove e con chi andà. Porino me te faie pena…però se teneva il becco chiuso…e gonfiato meno la su la ruota da potè vedè avanti e retro …non sarebbe inciampato…quel di, con ruota e cresta, se sarebbe salvato e….e a sentir i decanti davvero poteva addiventà un superpaone da rispettà e in tutte l’aie trovà er modo de fasse osannà come campione …invece…invece t’è  finì ammollato per la su boria e  il su stesso paupolato.

Per non dilungà il favellar me zitto.

Morale della novella? Questa si che è bella!

paone che troppo palula la su gloria se secca il becco e se spiuma la rota”

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by dif

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SI. NO. NON SO. Uffa…

si no

 

A dare credito a quanto da mesi e mesi sgranocchiato da bocche e boccacce domani è il giorno fatidico che o smollerà una tale sberla all’Italia da lasciarla tramortita per l’eternità o le metterà le ali per volare alto, che dico altissimo da dominare l’Europa e il mondo fin quando il mondo esisterà.

Cavolaccio dei cavolacci un autentico dilemma mefitico per la coscienza! E io, domani che faccio ?

Vabbè tutto per tirarmi a crocettare a pro o contro ma farmi mangiare il cervello per ingrassare panze traboccanti di ciccia molliccia di aut aut strafottenti, farmi verme per gonfiare di strapotere insulsi vermiciattoli, tarlarmi la rispettabilità dell’intendere e del volere per esaudire i desideri di voraci termiti o lasciar a plasmatori di folle belanti gestire la mia libertà di opzione quella di facoltà di selezione. Uhm mi pare troppo! Allora..che faccio ? Creditizio quella bombarda di parole, parolacce e nauseabondi tour imbocca e rimpinza trippe da far cagare un si o un no e la colata di vieni vieni a mangiar gli zuccherini e non startene a casa a mielarti sul divano o le giudizio mega balle, le metto nel cassetto e le rimando ai diavoletti sputacchiani di opzioni ingabbia coscienza spiriti creduloni? Letto e riletto, le ragioni irragionevoli, per dire si, no cambio la mia bella costituzione, non ho trovato la soluzione! Anzi, il non so, che prima non era in mia considerazione, mi è apparso un gigante ferma porta da sbattermi davanti alla televisione!

Però..però rinnegar le mie ragioni .. rinunciar a un libero diritto d’esprimer un opinione..tradir la mia civica educazione…uhm. Che conto poi a me stessa se imbratto la mia indipendenza votereccia ? Che so marionetta di mega galattici ballisti. Pecora citrulla da accodarsi a cani lupi per andar all’ovile. Antiquaria scassata che compra dai frottolai carabattole e gli svendei capolavori. Che non so ragionar col mio intelletto e decidere in autonomia se crocettare si, no o starmene a casa a leggere un bel libro costumato di cultura. No. No! Non posso rinunciar a un libero diritto d’esprimer un opinione per quattro cialtra paroloni fuoriusciti da crani sbruffoni o rimestati e impiattati da sguatteri vestiti da chef stellati e nemmeno per vituperai di profezie apocalittiche scassi l’Italia se non metti la crocetta sul si!

Non posso proprio. Non abdico uno stile di vita. Lo so che la coerenza in certi luoghi non è una moda praticata e in certe bocche troppo adulterata da poterla vantare come codice d’onore di una logica spassionata, ciononostante ho deciso, me ne frego. Non mi va proprio di rinnegare un credo per farmi robottino operativo d’altrui pensiero.Tuttavia, ancor meno mi va di stare al passo colle subsidenze psicologiche e decidere si o no per far esultare questo e quello. Domani, metterò la mia crocetta in base a convinzioni scaturite nel soppesare vantaggi e non della referendaria consultazione. Sarà si, sarà no? Qui non dirò! Di certo non darò un calcione alle mie razionali deduzioni.Tanto non ho da tirarmi dietro un partito ne attirar e scambiar favori. Eppoi urterei il sancito principio di segretezza che fa rimaner libero da pastoie . In più, da attrice secondaria, esibire il si e il no sarebbe ininfluente al convincere e sterile alla recita. Appurato che non sono attrice da non so, quel che posso dire uscirò a metterci la faccia o sul si o sul no. Comunque non da sprovveduta o emotiva evacuatrice di mal di pancia neh.. con quel che ha combinato in Inghilterra e in America..me ne guardo bene. Senza i mal di pancia Trump se ne starebbe nella sua miliardaria tower e non a formattare un governo di strapoteri che prima o poi affosseranno le pance con tutti i suoi ammennicoli; Cameron avrebbe ancora lo scettro di primo ministro di GB e la May non starebbe a negoziare con L’UE il post brexit che emarginerà il regno facendo annaspare le pance in un mare di spiagnucolai. Per cui.. un si e un no viscerali. Escluso! Ritrovarmi inzaccherata di m…. non sarebbe piacevole a vista e olfatto. Anzi tanto spiacevole che prima di aggregarmi al “cast” nazional popolare, ho studiato a fondo da pronunciare un persuaso assenso-dissento. In questo poi… v‘era da studiare parecchio per non farsi incorporare in una baraonda di teatranti assai fuori palla da snocciolar su e giù una migliaccata di galattiche narrazioni, fuori luogo e fuori tempo, da stramortir anche l’uditore più paziente. Dire che è stato una autentico recitio arraffonato è dire niente con quei protagonisti mitraglia volgarissimi gerghi, guarniti da acrobazie e effetti scenici da rincitrullire assai assai i fan acclarati, figurarsi i restii. Vi dirò…A quanto mormora la platea qui accanto sembra che alcuni son pronti a rinculare e farsi risarcire il biglietto di adesione. Se è vero…lunedì al botteghino,,,si vedranno stelle sbriciolarsi e smodati pianeti e satelliti orbitar su e giù da grovigliar l’assetto del creato e pure quello ancor manco figliato. Non mi tange. Domani, fatta la mia parte con ragionata deduzione smollo il sipario su una lunga commedia incannicciata di insopportabili fanfaluche da fuorviare l’ intelletto del più esperto ascoltatore. Dopodiché, a cuore pacifico, senza contar pecore fino all’alba farò una bella dormita e nulla mi importerà chi dall’urna uscirà vincitore. Sarà il si o il no. Sarà il risultato di una somma di decisioni e se non combacia con la mia non la considererò una sconfitta, ma democrazia che si rispetta.

Invero la vittoria dell’uno o dell’altro, tanto sia quella presunta che toglie il “teatro” Italia dai pasticci o lo capofitti nelle cloache degli abissi, non susciterà rammarichi ne a me ne a chi, dilemma o non dilemma, si sarà  espresso. Saranno I non so, gli indifferenti, i delegatari cronici a dolersene assai. Solo loro saranno i responsabili dell’una o dell’altra asserzione e solo loro i colpevoli se l’Italia si ritroverà tramortita da un epica sberla o metterà le ali per volare alto, che dico altissimo, da lasciar i dubbiosi a bocca aperta.

Nel concludere, aggiungo un cinguettio.. par che per taluna profezia e alcune edottanalisi chiunque pomperà la prosopopea del successo non farà altro che gonfiare aria fritta. Entrambe le decisioni frutteranno un risultato referendario destinato a far selezione, mutare il cast di produzione.

Uffa…sta a vedè che dopo tanta fatica per discerner, dal canestro di insulti, scempiaggini, supermegaballe e spregevoli fole, i pro per crocettare il  si o il no con ragione,  me devo sorbì  un tiro mancino…noooo, nun ce voglio crede…me farebbe schizza  na rabbia da incendià il cielo. 

bydif

Inganno

 

vero falsoLa realtà non ha una logica univoca, muta da percezione a percezione, da criterio a criterio. Talora è visione così soggettiva da gabbare il senso effettivo e trasformare l’inganno ottico in comoda verità. Certo, la realtà adulterata è meno aspra e più gradevole da alloggiare ma scardina i confini tra obiettività e illusione facendo perdere l’orientamento all’evidenza con il rischio che alla fine la sovverte e… e nel ribaltamento può essere che….

La Montagna Balla Al Sole

Il Cielo Smarrisce Nel Fiore

La Luna Allaga Il Mare

Il Buio Froda La Luce

L’ombra Inghiotte La Strada

La Verità Si Tuffa Nella Nebbia

L’ozio Trastulla Il Vizio

Il Senno Abbraccia Il Capriccio

L’imbecillità Veste Il Sapere

La Giustizia Sposa Il Potere

L’ Onore Gratifica La Corruzione

L’ingordigia Dirige La Fame

La Guerra Si Traveste Da Pace

La Democrazia Nutre L’arroganza

La Miseria Soccorre La Banca

La Società Stringe Indifferenza

Il Denaro Compra Apparenza

Il Cinismo Domina L’esistenza

Il Cuore Mitraglia L’amore

L’operaio Premia Il Padrone

Il Parassita Tracanna L’errore

L’imbroglio Frega La Convinzione

L’unione Spaccia Emarginazione

L’occhio Valora L’interpretazione

L’ Informazione Sposta Visione

L’occasione Cavalca il Bidone

La Dignità Monta Il Barcone

Il Cacciatore Si Fonde Nel Fango

La Lealtà Fugge Nel Capanno

Il Coraggio Sublima La Fuga

La Cosca Infernale Avanza

L’egoismo Suicida La Speranza

La Morte Inneggia Alla Vita

L’oratore Gli Cambia Filosofia

La Paura Arruola La Follia

L’assente Spare Nell’evidente

L’evidente Mistura L’inesistente

La Truffa È Pratica Ricorrente

L’assurdo Insacca L’innocente

L’idiota Si Immola Per Niente

Il Presente Cassa Il Seguente

L’orecchio Sussurra Al Sordo

Al Mondo Si Quadra In Tondo

La Vista Cattura L’inganno

La Gente Lo Mira E Rimira

Conclude È Solo Percezione

Il Vero È Mera Interpretazione

Muta Da Opinione A Opinione

bydif

Auguro a chi passa un ottima settimana di  lavoro e relax  e… 

….e di non scordare che:

” per essere ingannati basta ospitare chi inganna”  

 

 

 

Caro Paolo

borsellino

Caro Paolo

Dopo 24 anni nella nostra terra bellissima quasi o nulla è cambiato. Disgraziata era e disgraziata resta.  La mafia continua i suoi sporchi affari su tutto il territorio. Come si suol dire impera prospera dalle Alpi alle Piramidi. Ha cambiato faccia, abito e maniere ma non la sostanza. Ha camicie immacolate,  abiti firmati, scarpe su misura, modi raffinati. E’ acculturata, parla un corretto italiano  e un inglese anglosassone. Ha residenze in tutto il mondo arredate con lusso discreto, quello dell’alta borghesia non quello pacchiano dei rubinetti color oro.  Non gira con  la lupara e le pistole ma con autista in limosine, con manager valigette, pc  e smartphone di ultima generazione . Frequenta i migliori  salotti culturali, disquisisce su temi di filosofia, letteratura,  politica, teatro, musica. Gira il mondo in bisness class. Frequenta i ristoranti stellati e  brinda con vini e champagne pregiati. La mafia Paolo  per agire indisturbata in ogni dove e a tutti i livelli  si è fatta camaleontica, resa  più invisibile. Ha messo da parte la volgarità e si è circondata di eleganza, classe e distinzione, per essere più spietata ha frequentato corsi di alta finanza, stage economici e imprenditoriali, sottoposta a tirocini fulltime di lingue e comportamento.   Insomma Paolo per quanti sforzi han fatto i magistrati onesti come Te e le forze dell’ordine la mafia non è sparita anzi… Anzi si è estesa e rafforzata tanto che in un modo o nell’altro oggi comanda  in tutti i gagli  del potere finanziario, economico, commerciale e  imprenditoriale, direi che si è quotata in borsa e gioca coi destini del prossimo. Si è talmente arricchita da avere capitali solidi e liquidi da comprare chiunque ovunque. In questi 24 anni si è infiltrata e impossessata del potere che conta, quello che investe, manovra indisturbato,, guida a suo piacere  interessi pubblici e privati.  Mi rincresce dirtelo ma la strada distruggi mafia è ancora lunga, irta di trabocchetti.  Per eliminarla, come hai detto Tu: ” Nella lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. ” P. Borsellino.

Il profumo  di pulito Paolo ancor non si avverte, a prevalere è il puzzo. Un ammorbante puzzo che gira, gira  contamina e intossica. I bacilli mafiosi Paolo lo sai, sono  virulenti.

Per estirparli ci vorrebbe che tutti strappassero l’infestante  gramigna che li alimenta. Ci vorrebbe che tutti  si ribellassero alla sporcizia morale, all’omertà, all’indifferenza complice. Ci vorrebbe di scardinare i loro portoni, martellare ogni stanza con un no mafia di tutte  le giovani generazioni. Un no incessante,  determinato di cervello, cuore e azione. Purtroppo quei pochi giovani coraggiosi  che tentano sono risucchiati dal sistema infetto.  I più strangolati  dalla disoccupazione, da un futuro precario, dalla mancanza di ideali freschi e puliti, dall’assenza di speranza  sono assuefatti  all’inerzia omertosa: Altri strangolati dal ricatto della miseria  sono nelle loro maglie illusorie e da  manovali burattini.eseguono il lavoro sporco, quello plebeo dei pesci piccoli. Così mentre loro  finiscono come sardine, a volte in modo tragico  altre in scatolette di cemento,  gli squali veri, i pesci grossi  famelici e crudeli, camuffati in  eleganti abiti firmati  continuano a nuotare indisturbati  e ogni tanto vanno a spiaggiarsi al sole in splendide località riservatissime.

Ogni giorno con grandi sforzi vien fuori un aggancio mafioso ma il giorno dopo un altro aggancio  occultamente viene concluso. Sembra una girandola impazzita che nessuno sa fermare Paolo. Io non dispero, gli uomini  giusti pure  ma al momento… solo chi ha memoria e non dimentica…

Caro Paolo, Il tuo ricordo è vivo in me e in tanti. Beh, in altrettanti come da lassù saprai è fittizio e dura meno d’un cerino. Però, almeno io, lo sai  che non posso scordarmi quel lontano luglio del 1992. In un giorno caldo e assolato  si è portato via il mio papà, in un altro ancor più caldo, infocato, il  tritolo si è portato via Te. Due uomini, dallo sguardo profondo, sincero, tenaci nell’essere sempre se stessi e nel lottare per i propri ideali. Uomini d’onore nel dire e nel fare, giusti, onesti valorosi. Quel 1992 si è portato via il mio eroe e l’Eroe di Tutti.

Scusa se mi son permessa un tono tanto amichevole, ma per me sei un amico, un grandissimo amico che mi ha e continua a insegnarmi tanto.

Con rispetto e tanta gratitudine di aver dato la vita da indomito combattente della giustizia ti ringrazio Paolo.

Grazie da tutti quelli che non scordano

Dif

 

 

Lupi solitari? No. Sputi di carogne!

Non chiamateli lupi solitari ma sputi di carogne.

strage nizza

L’immagine è eloquente,questo un lupo non lo fa. Ha un comportamento più fiero.

Smettiamola di definirli  lupi solitari, chiamiamoli per quello che sono: sputi di carogne.

Si, chi massacra, stermina figli, padri, madri, sogni speranze, uccide con ferocia premeditata per astio incomprensibile, mette fine alla vita libera di chiunque per esaltazione di una dottrina o di un qualunque altro cavillo mentale partorito a tavolino, non può essere altro che sputo di carogna. Chiamarli lupi è un privilegio che non meritano. È fare un torto grave agli umani e agli animali. I lupi in branco o in gruppo sono tutt’altra cosa. Seppur selvatici hanno molto più rispetto dell’esistenza terrena. Primo non agiscono da marionette imbonite, secondo non attaccano indiscriminatamente per furia omicida ma solo per necessità legata alla sopravvivenza propria o del branco, terzo aggrediscono per difendersi e solo se provocati, rarissimamente sfiorano i bambini, comunque se accade sempre per circostanze accidentali. Solo gli sputi di carogne invece riescono a farlo con fredda intenzionalità. Perché? Perché gli sputi non hanno alcun criterio di discernimento e nessunissima umana qualità. Sono sputi. Sputi fetidi. Beoti rigetti di carogne imbonitrici. Carogne ipocrite che gozzovigliano e si ingozzano di pretesti, poi senza ritegno a destra e a manca scatarrano assurdità e fanno mucchi di sputi. Sputi inzuppati di idioti lordumi della loro vogliosa avidità che ammorbano, appestano, generano microbi killer. Invisibili malvagi bacilli killer liberi di circolare, liberi di infettare, liberi di sterminare. Gli sputi di carogne sono difficili da individuare. Organizzare un vaccino, un antibiotico, un qualsiasi rimedio che contrasti e neutralizzi le loro ignominiose azioni stragiste attualmente è molto complesso. Ogni terreno è fertile per incrementare i loro corrotti batteri. Sono germi sparpagliati che anche nelle fogne nere riescono a galleggiare e sviluppare quei microbi contagiosi che si compiacciono nello sguazzare nel sangue, di banchettare sulle vite altrui. Che trovano diletto nel seminare panico, scioccare, devastare, schiavizzare diritti e libertà individuali e collettive. Ormai le cantilene di inorridimento mondiale, gli autoappelli al coraggio, i “ non ci abbatteranno” “non ci ruberanno democrazia” “non impediranno la normalità” “ non ci rinchiuderemo nelle nostre case ma continueremo a uscire, ad affollare piazze, strade, bar, stadi, ristoranti “ sono inflessioni di rassicurazione che non rassicurano nemmeno le mosche. Inutile dirlo, questi sputi di carogne sadicamente stanno appestando l’aria in ogni dove. Forse più nell’occidente. D’altronde sono sputi killer di carogne ben bene infarciti di lerce logiche immolatrici, di valori eroici, di paradisi eterni, vergini a iosa e ogni sorta di delizie. Idiozie espettorate che incantano idioti, i loro idioti sputacchi killer assoggettati dove capita per uccidere, appropriarsi di vite altrui senza pietà. Purtroppo gli sputi non hanno un anima umana, sono muco salivoso espulso da bocche fetide. Se ti arriva in faccia fa orrore, ti procura una repulsa, se poi non te lo aspetti è uno sfregio umiliante che ti segna per sempre il modo di vivere la realtà comune. Le carogne li chiamano soldati. Pfff…i soldati affrontano il “nemico” e si battono con onore. Gli sputi di carogne come i vigliacchi infettano  nell’ombra e massacrano al buio.

Basta guardare anche queste foto per comprendere che sono sputi e non possiamo chiamarli lupi solitari ma sputi, sputi pestilenziali di carogne  miasmatiche.

nizza stragenice

Comunque non rassegnamioci. Continuamo la ricerca, tutti insieme, prima o poi un vaccino antisputo di carogna  lo troviamo.

By dif

 

le foto le ho prese dal web.

Buon anniversario da Repubblica mia Italia!

2 giugno

Sei nata nel “46, siamo nel 2016, oh, però, già settanta anni hai. Cavoli, non credevo.. li porti così bene Repubblica che sembri una fanciullina !

Eh si, la mia, la nostra, Repubblica libera e democratica anche se oggi festeggia i 70 anni è ancor una giovinetta, dunque ancor bisognosa di attenzioni e occhio accorto, pronto a scattare per difenderla da qualsivoglia malintenzione. Nata con un referendum istituzionale prima di avere la luce è costata tantissimo. Lunghi anni di attesa e tanto sangue sparso. Oggi, omaggiamola con orgoglio e noi donne non scordiamo che 70 anni fa, per la prima volta ammesse a esprimere una scelta, abbiamo contribuito al suo primo vagito. Perciò vigiliamo e non lasciamocela stravolgere da qualche furbastro neanche se strilla che l’Italia repubblicana necessita di  chirurgia estetica, d’un ritocchino, ossia  cambiare alcune cosette per apparire al mondo più bella, efficiente e desiderabile. Son tutte balle mirate a toglierle le genuine caratteristiche e non qualche naturale rughetta. Non so a voi, ma a me piace così. Anche con i suoi difetti è una Repubblica bellissima e mi fa sentire una donna libera. Eppoi perché alterare la sua piacevolezza. Forse che i valori repubblicani che esprime son troppo democratici e non fanno comodo a qualcuno o magari a qualcun altro che ha preferenze diciamo… uhm.. uhm personalistiche e di concetto immodificabile e neppure criticabile? Vattelappesca qual’è può essere il pensiero di chi la vorrebbe rimodellare, ogni giorno cambia verso e pure ispirazione! L’importante comunque è che chiunque scorrazza con piedi, testa, lingua, bisturi o penna nel suooriginario territorio”non si scordi mai che è una Repubblica nata per volontà popolare e tale deve rimanere per garantire quelle autonomie di vita e pensiero scritte nella sua Costituzione. Soprattutto è indispensabile che chi l’ama e crede alla sua importanza come espressione di sovranità popolare  abbia sempre presente a se e ai prossimi che come nel 1946 è venuta al mondo per un soffio, con un soffio di qualche astuto manipolatore di consensi popolari può morire, magari poi si rinascere ma..ma col rischio d’esser nube tirannica piuttosto tossica alla libertà in ogni senso.

Ma oggi è giorno di festa. per Te e per tutti noi italiani. Anzi un giorno altamente simbolico da celebrare con grande considerazione. Quindi, tengo lontano le sensazioni di venti turbolenti e  grido: Buon anniversario da Repubblica mia Italia! E …Spegni le candeline sulla torta con la veemenza allegra della giovinetta e la saggia  erudizione  acquisita crescendo… Settantanni sono un niente..quindi …occhio a chi mangia la torta!

Buonissima giornata di  festa repubblicana !

Bydif

frecce

1 Maggio. Ieri una festa, oggi tutta un’altra cosa!

1maggio

 

Ieri, la festa dei lavoratori  dell’1 maggio era una festa. Oggi’ Oggi è tutta un’altra cosa. Perchè? Perchè il lavoro è un sogno e di conseguenza ha perso sicuramente quel fascino festaiolo di partecipazione familiare e di ritrovo comunitario per una causa o un’idea! Nessuno va più in piazza col fazzoletto rosso legato al collo come se fosse un trofeo da mostrare con orgoglio o un simbolo d’identificazione del mondo operaio.  Si direbbe che per le famiglie è un’occasione per un week end da tintarella. Infatti, son più quelli che la festeggiano in luoghi di mare che in raduni in piazza. D’altra parte nelle piazze di paesi e città si respira un’atmosfera d’indifferenza verso il valore contenuto in questa celebrazione, probabilmente dovuta in parte al cambiamento di costume e in parte a un diverso modo di dialogare sui contenuti espressi dal lavoro come conquista di diritti ed evoluzione sociale. Oggi, infatti, tutti i giorni si è subissati da prediche e predicozzi sull’essere flessibili negli orari e disponibili a considerare l’occupazione, un transito mediato dalle esigenze tra offerta e domanda. Il lavoro non è più un bene sacrosanto da difendere e mantenere, un diritto ottenuto in conformità di abilità specifiche, acquisite attraverso studi e formazione professionale o semplicemente conquistato per un progetto di vita futura .  E’ un optional. Un miraggio. Sembra diventato una specie di contorno del vivere,  non il fulcro che permette di campare onestamente, formarsi una famiglia, crescere dei figli, avere un tot per pagare affitti e ammennicoli vari. Oggi…Se il lavoro l’hai bene, . é una fortuna e mangi. E se non l’hai? Ti arrangi. Se non ti arrangi… ti suicidi. Tanto nessuno piange per uno sfigato disoccupato.  Gli stessi sindacati non hanno più il potere delegante delle masse ne  la stessa incidenza nel difendere lavoro e lavoratori. Un tempo invece..

Un tempo era qualcosa in più di un concertone e qualche melassa ipocrita. Era la vera celebrazione del lavoro e dell’importanza del lavoratore nell’equilibrio comunitario.   Infatti, del 1 Maggio in memoria giovane conservo bei ricordi legati alla famiglia, alla gente e all’atmosfera seppur  fricchereccia che durante la giornata si respirava ovunque. Ricordi che il tempo non ha scalfito perchè la festa dell’1 maggio era veramente una festa di partecipazione e di allegria del popolo operaio o di quanti credevano nel valore fondato sull’equo diritto di avere un’occupazione che garantisse una vita dignitosa a se e a quanti si aveva sotto la propria responsabilità, figli, mogli, genitori ecc. Allora la gente, col vestito buono delle feste, un immancabile fazzoletto rosso legato al collo, cestini con panini, bandiere e tanto entusiasmo si ritrovava in piazza, dove, verso le 10 del mattino, sul palco allestito per l’occasione, si alternavano a parlare personalità legate al mondo sindacale e politico. Veramente questa parte mi piaceva poco perché mio padre voleva che si ascoltasse in religioso silenzio parola per parola, ma ciò che veniva enfaticamente sciorinato sotto un sole cocente, con la gente che mentre il vestito festaiolo gli si inzuppava dal sudore ascoltava a bocca spalancata come se l’oratore di turno fosse un oracolo vivente, a me e sorella sembravano inutili predicozzi che ritardavano i momenti spensierati. Perciò vivevamo quelle 2 orette sbuffando e implorando il santo protettore che i relatori la facessero corta. Anche mia madre sbuffava, perchè vi partecipava per amore di mio padre ma da donna del fare più che del dire a stare impalata s’infastidiva, le sembrava sprecare tempo. Eppoi non le interessava per niente la politica. Anzi era tanto timorata di Dio, che partecipare alla “festa dei rossi” le appariva un tradimento, non a Dio ma a don Sestilio, il parroco, che ogni domenica tuonava e lanciava strali ai professatori di comunismo operaio, a dire il vero poco misericordiosi e tolleranti, oggi papa Francesco li troverebbe se non abominevoli condannabili da ogni punto di vista. C’è da tener presente che la festa del 1 maggio allora era considerata un po’ come il simbolo di fomentazione di sinistri individui per avversare chiesa e clero, tantè che in fondo alla navata principale della parrocchia, in modo che tutti entrando potevano leggerli, era facile vedere appesi in bella mostra elenchi di scomunicati. Cioè liste di coloro che osteggiavano i sacramenti, perchè preti e robe connesse alla fede cristiana erano come il fumo negli occhi. Di ciò, mi torna alla memoria il volto di qualche mio compagno di scuola e di quanto era rosso di vergogna e si sentiva come un verme quando o padre o madre erano in quegli elenchi. Devo dire che con la solita cattiveria dell’innocenza ragazzina venivano un po’ guardati come dei diversi. addirittura considerati una specie di rinnegati da espellere dal gruppo. Anche perchè spesso padri e madri di opposte fazioni vietavano ai propri figli di mescolarsi nel gioco. Gli uni e gli altri temevano “cattive influenze”. Per nostra fortuna noi sorelle abbiamo avuto due genitori aperti. per niente ancorati a meschinerie faziose, non ci hanno mai detto di non frequentare questo o quello e pur essendo fra loro politicamente di pareri discordanti l’uno ha sempre rispettato l’altro e trovato un punto d’incontro nell’educarci libere, senza mai imporci il loro credo o le loro opinioni. Certo, allora avevamo un’età in cui era lecito non comprendere appieno tutto e considerare la politica una cosa da grandi e se c’erano attriti che se la sbrigassero fra loro. Per cui, alla festa del 1 maggio, essere disinteressate alla parte oratoria era normale, in fondo a noi interessava la parte godereccia, avere i dolcetti, i palloncini che erano in bella mostra, ridere e scherzare con gli altri ragazzini, partecipare ai cori festosi e alle danze che chiudevano al meglio le celebrazioni.. A ben ricordare anche per mia madre era il momento più bello della giornata, le piaceva tantissimo ballare ma essendo una donna avvenente mio padre, da gelosissimo, difficilmente ce la portava. Comunque era un giorno di grande spensieratezza e tutti si tornava a casa a notte fonda felici, i grandi  ricaricati di speranze vere e di energie pronte per far fronte alle durezze e ai sacrifici imposti da lavoro, orari, obblighi padronali.. Forse è per questo che per me  quella del primo maggio oltre che un ricordo dì infanzia di buoni sapori e odori,  di gente con delle facce zigrinate, le mani rudi e callose, piena di vigore e ottimismo, orgogliosa di avere un’occupazione onesta che solennizzava con tutto l’ardore dato dalla cosciente consapevolezza che il lavoro era  il pilastro del progresso delle famiglie, della democrazia e della società, resta una festa importante. Una festa  da tramandare ai figli come monito per non dimenticare le lotte sostenute dai tanti lavoratori del passato per vedersi riconosciuti benefici, minimi ma pur sempre migliorativi. Oggi  considerando che  in gran parte vanificati o addirittura ripudiati con la scusa del tempo che cambia,  ancor più.

lav

Buon 1 maggio a tutti i lavoratori e tanti auguri fortunosi a chi il lavoro purtroppo lo può solo sognare.

by dif.

ahi ahi temo d’esser stata prolissa come gli oratori del passato fanciullesco!

Per la storia:

La festa dell’1 maggio è celebrata in quasi tutto il mondo a ricordo di battaglie operaie sostenute per ottenere un minimo diritto legislativo che fissasse un orario lavorativo giornaliero dignitoso quantificato in otto ore. Le sue origini risalgono a una manifestazione del 5 settembre 1882 a New York organizzata dei cavalieri del lavoro e ripetuta nel 1884 dove fu deciso che l’evento avesse una cadenza annuale, tuttavia a determinare la data rievocativa dell’1 maggio furono i gravi incidenti accaduti a Chicago e conosciuti come rivolta di Haymarket quando vi furono numerosi morti provocati dalla polizia che sparò sui dimostranti per disperderli. In Europa la festa fu formalizzata dai delegati socialisti a Parigi nel 1889 durante l’internazionale. In Italia fu adottata nel 1991, sospesa durante il periodo fascista e ristabilita nel 1945 dopo i due conflitti mondiali. Nel 1947 purtroppo la sua ricorrenza in Sicilia fu macchiata dal bandito Giuliano che non si sa ancora bene per quale motivo o per ordine di chi sparò su un corteo di lavoratori che sfilava in località Portella della Ginestra causando morti e feriti. Dal 1991 le confederazioni sindacali per celebrare la festività organizzano a Roma un concerto maratona cui partecipano artisti e gruppi famosi che richiamano una folla enorme.

Il valore del ricordo

liberazione

L’altro giorno, passando in piazza con mio nipote, mi ha chiesto come mai era tutta agghindata di bandierine italiane. Ho risposto che era per le celebrazioni della liberazione dell’Italia che ricorre il 25 Aprile. Mi ha guardato come fossi un ufo e dopo qualche minuto ha domandato:  cos’è la liberazione?. Ho risposto: Dovresti saperlo. A scuola devono avertelo spiegato. No, ha risposto, mai. (come ???) Mi è venuto un brivido di rabbia e un sapore amaro in bocca. Non è un ragazzino superficiale, è bravo, studioso e per nulla bugiardo per cui ho dedotto una triste verità, quella che nella “buona scuola” (buona…? puiff..ho seri dubbi..) c’è una inammissibile lacuna formativa storica che non solo  annulla il valore di tante vite ma depriva la memoria del passato indispensabile a costruire il libero futuro in consapevolezza   Naturalmente gli ho spiegato il motivo e l’importanza di questa celebrazione cercando di trasmettergli il valore del ricordo, come simbolo di gratitudine e  che la libertà che oggi ( ancora ) godiamo non è una cosa ovvia e scontata ma è una continua conquista collettiva, e necessita di essere “curata” giorno dopo giorno, anche da lui per mantenerla sana. Soprattutto che tutte quelle bandiere  libere e festose che infiocchettavano la piazza avevano un costo salatissimo. Un costo di sangue, lacrime, enormi sofferenze di bambini, donne, uomini italiani e stranieri. Naturalmente dopo essere stato un attimo in silenzio, mi ha fatto un mucchio di domande, anche piuttosto inaspettate e profonde per un ragazzino; per sintesi non starò qui a riportarle, tuttavia vi dirò che hanno fatto bene alla mia memoria. Inoltre, senza ombra di dubbio ho afferrato che parole come guerra, dittatura, deportazione, resistenza, democrazia, libertà ecc. vanno dette ai ragazzi e bisogna spiegarle senza timore e pregiudizi . I ragazzi, non solo sanno ascoltare, sanno anche rielaborare e trarre conclusioni dell’importanza di guardare alla libertà di movimento e pensiero come un bene irrinunciabile. In più domani sarebbero preparati ad affrontare consapevolmente i rischi di regimi totalitari, le trappole del potere autoritario, riconoscere i falsi miraggi egalitari, i pericoli di valori ideologici rivoluzionari tirannici e antidemocratici. Il che non mi pare poco, specialmente in tempi in cui soffiano venti assai, assai furiosi e alquanto allarmanti.

                                              Felice giornata.di memoria e libertà.

By dif

Un pomeriggio libero.

f. rossi

C’è silenzio in questo pomeriggio.

Seduta sul tronco d’un vecchio albero, guardo il cielo. Le macchie di azzurro intenso, fra le chiome degli olivi, sembrano oblò da cui poter carpire la visione di un scenario sconosciuto da fissare nella mente. All’intorno, un silenzio avvolgente crea una atmosfera senza tempo ma non irreale. Piuttosto di estraniamento da quel tic tac che ti scandisce e condiziona, t’incalza continuamente al fare senza sosta. Un profumo particolare, energico sale alle narici, prepotentemente invade ogni fibra, scuote e poi, come balsamo magico, sgombra dal cervello qualsiasi cosa lo molesta. Fisso lo sguardo su le merlature delle mura antiche. Le cupole, l’oro, i cipressi, i sassi, i fiori, le stradine, la piazza dei bus in sosta, i soldati in gruppo m’apparono tutti statici. Poltriscono nell’afa pomeridiana come in migliaia di altre città sparse nel mondo in attesa di brezza che li mobiliti. Nessun pensiero mi si affolla. Non prego. Muto lo sguardo vaga per comprendere come in un posto tanto carico di tensioni ataviche tutto si mostri così pacato, flemmatico, distaccato. Perché non avverto divisioni, discordie, rivendicazioni, turbamenti? Eppure dovrei percepirle. Invece è come se una forza millenaria mi ricordasse che i secoli, gli anni qui non circolano come nel resto del pianeta. Qui tutto defluisce senza angustiare e pressare. Qui tutto è predisposto per ascoltare, aspirare, immagazzinare senza preconcetti. Silenzio e placidezza mi distraggono l’occhio. Una lieve brezza mi accarezza. Un fiore rosso porpora mi sfiora. Quassù,la vista è magnifica. Ho avuto fortuna. Inoltrarmi tra cactus, palme e rosmarino posto migliore di questo non potevo trovare per gustarmi questo pomeriggio libero. Tutto sembra magico e perfino il tronco su cui son seduta assomiglia a un morbido divano. É proprio vero che basta aprire gli occhi al mondo per trasfigurare l’intorno! Intanto, una silenziosità trascendente impregna l’aria e rende ogni cosa coinvolgente, voluttuosamente morbida come una coperta di cachemire. Che sensazione! Un brivido sprofonda, risale, divide e mi esplora l’anima. In quest’angolino di terra, popolato da olivi, fiori, arbusti e aromatiche il silenzio arcano e al tempo stesso vocifero scollega dal guardare sentire e recepire consueto; invita esclusivamente a stare in propria compagnia e a dialogare con quel tu che zittisci, trascuri, deformi, modelli sui frastorni dei mille extra richiami fuggevoli. Il tutto diventa impercettibile, privo di ordinarie esigenze vincolate ai sensi, al conveniente, al moto. Resto immobile. Ascolto. A poco a poco avverto un grattio, sembra carta vetrata che scrosta, liscia e polverizza da un vecchio legno indurimenti e magagne. Un batter d’ali, si associa al grattio, assomiglia a uno spruzzo antiparassitario che volatilizza infestanti desideri e aspirazioni promossi da una società apparentata con l’emergere ed esclusivamente aggregante a valori merciferi, discriminatori dell’essere.  Aspiro. Un sentore di essenze riposanti virginea l’inutile fastidioso di azioni e pensieri. É bello questo immobilismo fisico e mentale. Nessun rumore umano mi perviene a disincantarmi. Ascolto. Ascolto il silenzio. Immobile ascolto fuori e dentro l’ armonia sinfonica del silenzio. É entusiasmante. Più vivo e palpitante di una folla al mercato. Accordi di note sconosciute riempono le stanze intime di vibrazioni che soppiantano il silenzio con una esplosiva concertazione. Una concertazione in cui musicalità mai credute possibili inondano e fanno straripare qualsiasi argine edificato a scudo. Suoni, acusticamente mai voluti afferrare per non andare oltre il proprio mediocre recinto, rimbombano massacrando lo scontato congetturale melodico dell’ego. Una subbugliante gamma sonora, spiazza le frequenze ricettorie e trasforma all’inverosimile i ritmi assimilativi. Tutto il se diventa una trasparente partitura che decontestualizza l’impersonale uditivo. L’intimo si fa spartito concertale di un luogo strabiliante per alloggiare raffinatezze sonore. Rifisso lo sguardo sulla collina, sui tetti, le cupole dorate, le strade, gli alberi, i sassi, i fiori, i colori che sbucano dai recinti dei giardini privati. Tutto è vivo e palpitante; ha un anima. In ogni cosa, anche nella polvere, sento un respiro che contagia, avverto un passo lieve che catalizza, colgo echi di parole avvincenti. Nulla più poltrisce. Come è avvenuto? Non so spiegarlo. È avvenuto. D’altronde non è un luogo insignificante. Tanti sono i motivi che portano ad approdarvi e altrettanti quelli che inducono a evitarlo. Alla fine capisco. Qui tutto ha un direzione, un accezione, un apprendere senza veli. Quando ci capiti, sia per caso che per volere, instauri un rapporto tanto intenso e inusitato col magistrale concertatore che esatura pesi e orpelli rendendoti vibrante uditore e interprete dell’ascolto. Oh, oh, com’è.. Uno scoppio mi fiocina le orecchie. Un fuoco divampa. Sirene bucano l’aria. Sono tante. Militari ovunque macchiano il panorama togliendogli la magia statica. L’ovattato silenzio si dissolve. Confusi suoni di voci rimbalzano. Non saprei dire da dove.  Come pietroni stupore e grida rotolano giù dalla collina, invadono l’angolino eremo pomeridiano nel quale estasiata da ore sosto. Alzo lo sguardo. L’azzurro è sparito. Cielo e terra somigliano a brace ardente. Non è brace. É sangue. Arrossa il silenzio. Tambura il cuore. Improvvisamente il cellulare squilla. La voce preoccupata di mio figlio mi giunge remota. Concitato mi chiede dove sono e come sto. Non comprendo la sua apprensione. Qui tutto ok  gli dico. Insiste e chiede se sono al sicuro. Certo che sono al sicuro, anzi al sicurissimo. Gli mando un bacio. Poco convinto della mia sicurezza mi saluta con  un sacco di raccomandazioni. Di che ha paura. Bah..mitraglie e uomini  tacciono. Tace anche il silenzio di quest’angolo. La normalità ringhiotte case, strade, animosità umane, dissidenze etniche, politiche e ideologiche.

In questo pomeriggio libero, itinerando oltreil recinto,  tra i profumi e il  tepore d’un sole imprterrito tanto ha parlato, tanto ho ascoltato.  Rimarrà impresso?   Rimarrà.  Il rosso è un colore tenace. Il mitra un oratore persuasivo. Il filo spinato un pluralista efficiente!

PA200467

bay dif

Ops…dimenticavo d’esser  o… ero in un triangolo di terra secolarmente accidentata da

 muri e fili strappa pelle, interessi contrapposti, rivendicazioni territoriali, credo antagonisti.