SANTO SACTORUM

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Ho una vera fobia per i sensi unici, ogni volta che ne imbrocco uno mi viene la pelle d’oca, subisco un effetto freudiano, lo associo a un grande budello che mi ingoia togliendomi la libertà di cambiare, un obbligo costrittivo ad andare nella stessa direzione di chi precede o segue senza scampo finché non trovo un buco, a destra o sinistra, per svoltare e liberarmi dall’incubo onirico di una traiettoria inversiva.

Ieri sera, nel seguire in streaming l’evento clou organizzato al pala Dozza di Bologna dal santo paladino della crociata della libera parlantina, protettore di tutti quelli che sono d’accordo con lui e portatore di rogna a quelli che pensano con la loro testa, cioè gli irriducibili “sovversivi” dell’informazione a senso unico, ho avuto le stesse sensazioni. Nonostante la mia innata repulsione, sopportavo gli effetti collaterali dei piatti serviti, dal santo eroe delle crociate dei talk show provvisoriamente oscurati, tutti a senso unico anti berlusca, seppure conditi con varie salsine, tipo sproloqui di qualche invitato dovuti a effetti allucinogeni o di devozione e ammirazione al gran maestro pedagogo della libertà, fin quando sulla scena non è spuntato un tale. Mi pare un  comico satirico, invitato dal santone semidio a pronunciare il suo oracolo anti oscuramento talk show e non ha trovato di meglio nel suo ristretto culetto di cervello di fare esempi strampalati, oltraggiosi per chiunque ma principalmente per le donne. Altro che pelle d’oca, mi è venuta l’orticaria. Nella pagliacciata benedetta dal santo sanctorum e applaudita da “pusillanimi piazzaioli” che applaudivano anche la cacata di una mosca pur di sembrare trendy e fedeli discepoli dei rituali del sadhana, nessuno ha ravvisato un che di volgare e disgustoso da fargli spendere due parole, dico due non mille, a salvaguardia della dignità femminile. Neanche uno ha percepito che l’esempio “lolito” mimato, prima di insultare il premier, violava figlie e compagne di vita. Considerarlo un professionista della satira è un insulto ai veri professionisti del settore. Nessuna causa per quanto giusta e nobile giustifica di andare “oltre”, utilizzare a propri fini spettacolari e con disprezzo la dignità umana. La sozzura è sozzura, rimane fetida, anche se ci spargi sopra ettolitri di profumo. Nulla mi scandalizza ed amo la libertà di parola e di pensiero più d’ogni altra cosa, non posso accettare per nessun motivo l’oltraggio all’essere umano, direi le stesse cose se al posto del corpo femminile avesse usufruito di quello maschile, è una questione che esula dal sesso d’appartenenza. Nessuno mi venga a dire che ciò che ieri sera un simile invitato ha detto serviva a rischiarare le menti sul problema dell’oscuramento temporaneo dei talk show, direi che se uno aveva dei dubbi, se era giusto o ingiusto sospenderli in periodo elettorale, li ha eliminati, un simile spettacolo non è auspicabile che entri nelle case mai. Se quel tale è otto anni che sta fuori dai canali che ci rimanga per sempre, nessuno perde niente. Lui ha centomila diritti di esprimersi ma nemmeno uno di fare similitudini allusorie utilizzando la dignità delle persone.

Oggi mi son presa la briga di leggere tutti i principali quotidiani non perché mi fosse venuta una voglia primaverile di lettura illuminata dai guru dell’informazione sulla kermesse, speravo tanto ma proprio tanto, di trovare almeno una riga di rigetto all’affronto alle donne.  Nisba de nisba, come al solito, ho potuto leggere contro la divinazione dell’invitato all’apoteosi del santo sanctorum. Il massimo che ho trovato sono stati “richiami sessuali anali”. Nessuno ha scritto che era satira trivia e grossolana, un’offesa nauseante all’individuo donna, nessuno ha avuto almeno il coraggio di scrivere l’imbarazzo che si leggeva sul volto delle due malcapitate giornaliste presenti.  Avrei dovuto saperlo che giammai, quando si tratta di donne, i “guru” dell’informazione hanno la sensibilità di cogliere il lato offensivo, alzano gli scudi, scrivono e riscrivono sulla donna trattata come oggetto di consumo, solo quando gli fa  comodo, solo per convenienza. Considerare la sua pantomima come espressione hard, mi è apparsa ancor più grave, significa che impera l’ipocrisia, la paura di essere tacciati da bacchettoni, il menefreghismo non solo verso la donna, un modo di sorvolare la questione per non contraddire un sistema dove la persona conta nulla, è uno share del 13% di qualche profeta. Un vero schifo, al confronto la mia fobia freudiana sul senso unico è uno zuccherino.

 

MULINELLA LA STONATA

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La tiepida e assolata giornata invogliò Mulinella la fanciulla stonata ad uscir di casa, inforcò la bicicletta bianca da poco comperata per pochi spiccioli in uno stock fallato del discount e pedalando beata si inoltrò nel cerreto lasciando che il sole le accarezzasse la pelle ingrigita dal lungo inverno e da notti insonni, rotolate tra lenzuola troppo ruvide e un materasso deformato dal battipanni che ogni mattina usava per scacciar gli acari, a suo parere causa d’ogni tormento notturno, si infilavano tra le ciglia con i loro aguzzi tentacolini per impedirle di chiudere gli occhioni grigi azzurri sempre stralunati. Neanche spellata avrebbe ammesso che a tormentarla non erano gli invisibili parassiti ma i ghiribizzi che gli frullavano davanti agli occhi simili ad una specie umana erculea che si contorceva e sudava tanto da gocciare come i cenci del bucato appena stesi o come il vicino Rossicino quando si azzuffava col Nerino. Mulinella pedalava e pedalava inebriata dalle sensazioni che la sfioravano senza soffermarsi con lo sguardo su nulla e con la testa inaridita, come se all’improvviso il cervello si fosse fuso e sole e vento si fossero alleati per farla andare e andare all’infinito senza bagaglio e senza meta. Andando, andando superò il cerreto e si trovò in un luogo inbrullito dal gelo che ai suoi occhi sembrò il paradiso e si disse: “devo aver pedalato assai assai per  anni.”  Poi sfiorò  i lunghi capelli, il viso le braccia,  si toccò e ritoccò, frugò ogni angolo del corpo ma non trovò nulla di diverso. 

Scese dalla bicicletta bianca fallata, si sdraiò  in mezzo alla stradicciola  sbalordendo  un tordo in siesta sul  ramo di un  pioppo, guardò in alto raggiante d’essere arrivata nel giardino delle delizie senza sfacchinare e senza perdere l’aspetto suo. Con i suoi occhioni stralunati scrutò per vedere chi c’era lassù, vide una nuvoletta grigia che tentava d’oscurare tutto, le parve il facciotto d’un tale cassinista  appiccicato all’angolo del paese che la braccava con  telefonate, dispacci e preghierine  blaterando  che l’aspettava  al centro. Chissà se della piazza o della rotonda.  Stonata com’era non aveva afferrato. Intanto una cornacchia ballonzova sguaiata nel cielo d’un azzurro simile alla bandiera di Pupette. Ogni giorno la sventola per un cavallerizzo amico suo, un  poveretto che bazzica tra Roma e Milano,  stracotto da spioni sciamani, abachicchi fricchettoni,  fattucchieri infiltrati nei capezzoli d’una mamma santona che per stupettare  si son venduti pure la nonna. A  Mulinella sembrò che la  cornacchiona svolacchiante somigliava a un tale stogattato che aveva visto in un fumetto a casa della Nocciolina coperto da segnacci,  le parve che tra gli unghioni teneva  il povero Rossicino spelacchiato dal forzuto Nerino e gli  crocidava che lo teneva stretto  cosi  insieme potevano ingozzarsi  l’adone di Pupette buttando i resti  nel fosso del castello in cima al colle e tanto che c’erano potevano incolpare  l’ospite che vi soggiornava perchè cricchiava stonato. Il Rossicino  intontito dal garbuglio  degli sproloqui dell’ingorda annuiva, però non capiva  perché s’era bardata con  una sciarpa viola, uguale alla stola  quaresimale di don Ugetto e non con quella rossa. Poveruomo pensò la Mulinella  deliquiava se non capiva che l’insolente se l’era messa per aumentare la iella al cavallerizzo. Il tanto crocidare  bilioso della cornacchiosa divenne per Mulinella un tormento peggiore dell’insonnia cronica da farle  girare la capa. Tentò di scacciare l’uccellaccia fischiando, per ripicca quella scese rapida  e la beccò sulla cosciotta, dal dolore Mulinella  urlò con tutto il fiato. Urlò così forte che fece sussultare la terra, sparire la nuvoletta, impietrire la cornacchia e il Rossicino mezzo strozzato,  accorrere tutti gli abitanti appresso che stavano spaparacchiati davanti alla tv a lustrarsi gli occhi con gli albergati della D’urso o di Giletti. Infatti,  corsero fuori  infastiditi, avrebbero perso gli insulti, i rinfacci i bisticci  gonfiati ad arte. Al contrario i conservatori  furono contenti di avere una scusa per squagliarsela, erano spappolati dallo zapping,  giravano come palline i canali illudendosi di trovare un  programma  stile collegio per rilassarsi  giacché erano inibiti litigi furiosi, pareri contrari, idee strane, tutto era pacioso e idilliaco e non faceva saltare  i peli dell’inguine. Invece i  dimoranti ibridi del paesucolo, intenti a sognare  mete esotiche, non sentirono l’urlo scassa timpani e continuarono a dormirsela alla grande. Anche i  paurosi rimasero appiccicati alla tv fregandosene degli affari altrui. Così solo i destrini e sinistrini stanziali del paese ancora scossi  dall’urlo selvaggio arrivarono sfiatati e mezzo vestiti  dove era partito l’urlo. Sulle prime, vedendo la  Mulinella  immobile in mezzo all’agro del Verdusso reso pantanoso dalla neve sciolta, si ammutolirono pensando al peggio e si  fecero il segno della croce in segno di rispetto, la poveretta era di certo andata nel regno dei più cadendo  dalla bicicletta,   sapevano che era fallata e solo una brocca  poteva comprarla. Poi avvicinandosi la videro contorcersi e arzigogolare con le mani sui capelli, tentava di togliersi una tacchetta sfuggita alla cornacchia impietrita, allora si rinfrancarono  e  l’assalirono di domande. Mulinella frastornata da tutte ste attenzioni insolite girò qua e la i suoi occhioni grigio azzurri,  li guardò e li riguardò e poi disse: “che bello paisà essere tutti insieme in paradiso”  Si guardarono muti come pesci, poi il piccoletto bruschino esplose: “ma quale paradiso e paradiso, questo è l’agro del Verdusso, sei proprio la solita stonata imballata !!!! Tutti capirono che avevan corso per una delle solite fole visionarie della Mulinella, le aveva da quando il suo bacarozzo era scappato con la bianchetta, inviperiti lasciarono la poverina e la sua bicicletta a terra, pronunciando un sacco di spropositi tornarono a imbottirsi di ciarlanerie davanti alla tv.

 

 

 

 

NOI NON VOGLIAMO MIMOSE

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Noi donne non vogliamo la mimosa

Se all’indomani ci schiacci e bistratti

Non vogliamo la mimosa

Se come pupattole di pezza ci tratti

Non ci interessa oggi essere celebrate

Di rose e mimosa circondate

E domani sbeffeggiate e stuprate

Imbavagliate e compresse in ruoli laterali

Noi donne non vogliamo la mimosa

Farcita di doppiezza selezionata

Abbiamo lottato per ottenere una parità

Non ci basta un fiore donato

Sulla porta di un supermercato

Per sentirci accettate e inglobate

Equamente valutate nella società

Vogliamo il confronto d’identità plurale

Non un giorno da celebrare con un mazzetto di mimosa

Una serata in compagnia in pizzeria o in discoteca

A imbottire le mutande d’un bel lucido palestrato.

Che ci invoglia a scatenar le nostre inibizioni.

Non viviamo di ossessioni ma di realtà quotidiane.

Siamo impresarie familiari, operatrici volontarie.

Scienziate lavoratrici valorose a tempo pieno

Gli anelli di congiunzione della catena globale

Non un monopolio di mediocri assurdità

Noi l’8 marzo non vogliamo la mimosa

Ripudiamo d’esser sfruttate da bisness calzati.

Comandati e approntati con mazzetti profumati.

Mistificatori di lotte per minimi diritti

Non ci serve una mimosa per esser motivate.

Sentirci donne legittimate e appropriate

Ci serve ottenere dignità

Non subire l’ingiuria d’una diversità

Esser trattate come marmellate da spalmare.

Su fragranti fette biscottate

Masticate e assaporare al mattino

Ed evacuate a mezzogiorno

Come stronzate parafrasate

Da ottusi ciabattoni dell’informazione

Smemorati d’una valorosa storia nostra

Combattuta per protesta di condizione ingiusta.

Non vogliamo un rametto di mimosa

Vogliamo il diritto di avere un figlio quando ci pare.

Amministrare la femminilità senza limitazioni.

Essere ascoltate e valutate per il nostro fare.

Circolare in libertà in ogni occasione

Essere donne senza uniformi e pantaloni

Acquisire pari condizioni umane

Detestiamo ottenere un posto nella collettività.

Sfilando in passerella con le nostre beltà.

Rifarci labbra tette e culi per avere visibilità.

Essere succulenti contorni di tavole allestite

Come concessioni pianificate d’imparzialità

Negative d’un corretto diritto equiparato

Sfruttate da un sistema ambiguo e correlato

Represse e accantonate come pupe scervellate.

Noi siamo l’ossatura della nazione, la linfa dell’economia.

Il sangue che scorre sugli asfalti ogni sabato sera.

Sui muri, sui tetti, nei campi, nei cantieri, tra le ciminiere

Non vogliamo oggi la mimosa

E domani subire l’ingiuria d’una quota rosa.

Sottostare al potere di maschia volontà

Non possiamo inebriarci con olezzi

Rallegrarci la vista con dei muscoli

Non siamo semplicione da trastullo

Siamo guerriere piene di entusiasmo

Temprate da secoli di asprezza e disparità.

Degne d’entrare in ogni competizione

Sappiamo quando e come agire

Senza calpestare i diritti avversari

Non vogliamo la mimosa oggi

E domani essere guardate come aliene

Noi vogliamo l’opportunità di essere donne.

Senza emulare l’uomo per essere gradite

Siamo un universo di energia pratica

L’altra faccia di una stessa medaglia

Capace di lottare e soffrire senza aggredire

Non vogliamo oggi la mimosa

E domani subire l’onta della denigrazione

Vogliamo una mimosa tutti i giorni

Una mimosa che afferma i nostri diritti

Rifiutiamo un giorno di balzelli profumati.

Non ci interessa d’esser celebrate

Con feste, sorrisi e giornate chiacchierate

Mazzetti di rose e mimose donate

Ci risultan più fetide e indigeste delle bastonate.

Se l’indomani perchè donne siam discriminate

Non vogliamo oggi la mimosa

E domani subire l’ affronto d’una diversità.

Esser ricattate, maltrattate e scaricate

classificate femmine visionarie e arriviste

Che rivendicano un diritto approssimato

Non vogliamo una mimosa inflazionata

Distribuita come una bibita gasata

Noi donne ci sentiamo usurpate

Di un simbolo marchiato sulla nostra pelle

Da ave madri consociate delle nostre madri

A memoria di conquista ardua e valorosa

L’8 marzo non vogliamo una qualsiasi mimosa

Vogliamo la mimosa della specie egualitaria

Quella che all’indomani resta fresca e odorosa

Non oltraggia, non violenta non isola

noi donne.

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AUGURI A TUTTE LE DONNE CHE LOTTANO NEL MONDO PER LIBERARSI DI SCHIAVITU’ SELETTIVE

VETRINA

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Ultimamente, con la scusa che avevamo bisogno di un break , io e mia sorella  ci siamo concesse  un breve viaggetto, mentre giravamo per una delle  vie principali della città, già sfolgorante di luci e di invitanti acquisti prenatalizi, più che soffermarci sulle bellezze architettoniche  ci siamo sbizzarrite ad osservare il via vai della gente. Si recepiva che il loro andare era voglia di vedere le  novità, di scovare qualcosa di allettante  da acquistare.

Infatti, quasi tutti dopo aver sostato qualche po’ a guardare gli articoli esposti nelle vetrine, sbirciando i prezzi, peraltro impresa difficilissima,  entravano nei negozi e ne  uscivano  con colorati e griffati sacchetti di carta con l’aria felice e soddisfatta. Guardando qua e la ci siamo accorte che  davanti ad un negozio c’era la fila, pensando che fosse dovuto ai prezzi vantaggiosi abbiam convenuto d’approfittare. Arrivate davanti alla vetrina con qualche sbracciata, era tanto invitante che abbiam cercato i prezzi,oh, non c’era un prezzo visibile, se non con la lente d’ingrandimento. Perplesse siamo entrate, guarda qua, vedi la, palpa e controlla, mia sorella poi abituata a stare tra vetrini e microscopi è una pignola terribile,  sbalordite ci siamo rese conto che erano tutti “tarocchi”si,  griffe famose taroccate, vendute  a più non posso, il bello è che la gente “straniera” come noi sapeva, c’era venuta di proposito. Non ci siamo comprate nulla, nessuna delle due avrebbe avuto il coraggio di indossare o regalare un oggetto  falso.  Uscite dal negozio ridendo abbiam continuato a scrutare per vedere se c’era l’ombra di qualche negozietto dove trovare almeno un oggetto tipico da riportare come trofeo, neanche l’ombra, l’unica cosa tipica, in quella strada, erano solo i luoghi di ristoro.

Nel tornare a casa ci è venuto spontaneo fare qualche considerazione sociologica, qualche parallelo costrittivo imposto dalla vita,  tipo: un lavoro che  obbliga alla visibilità esterna ci rende merce. Di conseguenza ci costringe a vestirci, lustrarci, impacchettarci per farci apprezzare, a infilarci  dentro una bella lattina con tanto di etichettatura distinguibile da lontano se vogliamo che qualcuno  ci considera. Dobbiamo scotolarci e confezionarci secondo le tendenze. Si, dobbiamo essere “ trend “ nel gestire, nel sorridere e nel comunicare per essere ascoltate, non essere scavalcate, messe nel retrobottega. Dobbiamo  renderci involucri esteriori perfetti e appetibili per esistere. Non importa se siamo un cliché, un barattolo vuoto, una scatola senza contenuto, un pacchetto  di cartaccia, ciò che conta è essere commercialmente ratificate, approvate, riconosciute  degne di stare sullo scaffale della vetrina, spiaccicate  in mezzo a tanta altra merce che regola  il sistema.

Basta apparire un contenitore convincente per convincere che il contenuto vale.!!! 

Tutto questo sforzo, ovviamente costa sofferenza, fatica ed energie, grava spirito, mente e corpo,  accumula tanta rabbia repressa che può triturare e ingoiare mentre ci si adatta. Ci trasforma nello stereotipo efficiente privo di ariosa giocosità e libertà al pari degli oggetti taroccati,  in mostra dietro  lustri cristalli. Ormai  si apprezza la  vetrina, che sia rappresentata da uno stupido trono, una casa artificiosa, un siparietto domenicale dove qualunque baggianata dici diventi eroe, ti strapagano per mezz’ora di mutismo, fai quattro salti in “padella”  e voilà sei un mito, un immagine sacra da portare in processione da una rivista ad un’altra, da una discoteca a un calendario. E il resto? Il resto non conta…..

Ogni tanto qualcuno scoppia, non resiste più e allora grida:

Vita, vita, vita

dove m’hai sbalzata?

In vetrina

mi sento schiacciata

Apri

maledetta

la porta barrata

Fammi uscire

nel reame incantato

Dove

io possa giocare

beata

Abbandonarmi

all’abbraccio assolato

Altalenar

sulla falce  lunata

Vagabondar

fra grattacieli e piedi

Dormire

vinghiata  al marciapiede

Destarmi

ammaccata da pedata

Vita, vita, vita

sii generosa

Spalanca la porta

vetrosa

Lascia ch’io vada

leggera

Danzi e volteggi

rotoli sudata

tra i fili

ingarbugliati della strada

Vita, vita, vita

in  vetrina  mi sento stretta

Rompi i vetri

maledetta!

by dif

 

BASTA VIOLENZA ALLE DONNE

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Domani, 25 è la Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza sulle donne.

Quasi ogni giorno, i mezzi d’informazione riferiscono fatti cruenti a danno di donne, giovani e meno giovani per motivazioni insensate come nel caso di Hiina sgozzata dal padre padrone, o Lorena soffocata, bruciata e gettata in un pozzo da tre coetanei. – Per questo  l’ANFORA della staffetta  è partita da Niscemi per concludersi a Brescia..Riflettendo bene è pressoché un bollettino di guerra.

 Infatti, i casi che approdano alla ribalta sono quelli eclatanti, di violenze tragiche quali assassinio, lesioni gravissime, stupri di gruppo, non contemplano i misfatti che si consumano fra le pareti domestiche, nei luoghi di lavoro, nei rapporti interpersonali, nella vita sociale e comunitaria sulle donne. Tante, troppe, una su tre dicono le statistiche, sono le donne picchiate, perseguitate, oppresse, oltraggiate, vendute, schiavizzate, discriminate, ricattate, utilizzate malversamente, uccise, violate fisicamente, moralmente, psicologicamente solo perché nate donne. Non esiste parte del mondo, più o meno democraticamente avanzata, nella quale le donne usufruiscono di leggi e regole di diritto paritario e di tutela. In tutte le culture coesiste un fattore discriminante che ingloba aspetti dispregiativi verso la donna, talora la si considera inferiore, uno strumento sessuale riproduttivo insignificante da tenere lontana dall’interazione attiva nelle scelte centrali della vita collettiva, talaltra un elemento di disturbo al predominio dell’orgoglio virile tanto da subire mutilazioni e sfregi legati alla sua natura femminea, altre ancora viene sottoposta a consuetudini tramandate da culti pseudo religiosi o principi barbari e anacronistici radicati nel territorio e mantenuti per viltà e comodo. Veramente sconcertante. Imbarazzante per chiunque abbia un minimo di concretezza l’andazzo che traspira da tante opinioni sulle donne, da tanti gesti compiuti a loro danno quotidianamente, denota una mancanza di volontà di combattere il fenomeno della brutalità verso le donne, insensibilità e indifferenza al problema degli abusi, disonestà intellettuale verso un conflitto sottile e perverso che nega, ritarda, ostacola i diritti, prima di tutto umani e poi di non violenza da parte di un padre, un marito, un governo, un datore di lavoro, di chicchessia si autodefinisca umano evoluto.

Va anche detto che la donna in primis deve ribellarsi, non soggiacere a compiacenze familiari per paura di ritorsioni e ricatti economici, deve denunciare le violenze senza aspettare augurandosi che le cose cambiano, non può solo appoggiarsi e sperare che le varie iniziative di organizzazioni internazionali femminili riescono a risolvere il suo problema. Per estirpare il malcostume dei maltrattamenti è necessario l’impegno di tutti, comprendere che il seme negativo germina nell’educazione dei figli maschi, perciò deve farsi portatrice di idee antiviolente, inculcare da subito in loro il valore e il rispetto verso la madre, la futura compagna, la figlia.

Purtroppo, c’è da riconoscere che è difficile per qualsiasi donna demolire i pregiudizi che allignano nei suoi confronti, spesso quando denuncia è sottoposta a una pressione morale giudicante inquisitoria e dubitativa vale a dire, la strisciante convinzione, “se la nefandezza è stata compiuta, tu donna, in qualche modo l’hai provocata, con la condotta allusiva, il modo di vestire e così via. “ Esempio lampante è lo stupro degli otto ragazzi di Montalto di Castro, su una ragazzina tredicenne, rimessi in libertà perché “ bravi ragazzi”, Cancelleranno tutto con due anni di lavori utili. E che dire poi sui commenti dei paesani, circolati nelle varie interviste ? Da brividi, peggio, da rimanere di stucco perché al coro 

maschile dubbioso sulla moralità della fanciulla, hanno fatto eco alcune mamme. Mi è stato e mi è difficilissimo, come madre, comprendere un atteggiamento così lucidamente cinico, non ci riuscirò mai più di tutto rimuginando: se fosse accaduto a una loro figlia avrebbero reagito con lo stesso spietato cinismo ? Le statistiche quindi sulla violenza alle donne, fra le pareti domestiche, non sono una fola ma un dato oggettivo specchio della realtà.

La giornata, mondiale della NON VIOLENZA SULLE DONNE fu stabilita ufficialmente nel dicembre 1999, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per sensibilizzare i governi, le organizzazioni internazionali e quelle operanti sul territorio di tutti i paesi del mondo a impegnarsi concretamente per porre fine, alla discriminazione d’ogni genere perpetuata sulle donne.

Invero, c’è da ricordare che furono le donne, nel luglio 1981 a Bogotà, Columbia, nel primo ECUENTRO FEMINISTA DE LATINOAMERICA EL CARIBE a gridare no alla profanazione e alla negazione dei diritti alle donne, pertanto la presa di posizione verso i diritti umani al genere femminile e la data celebrativa scelta dall’ONU non è casuale, è rievocativa dell’assassinio incivile, per modalità e logica, delle tre eroiche sorelle domenicane Mirabal. Le sorelle, Minerva, Patria e Maria Teresa Mirabal, soprannominate le “farfalle” furono assassinate il 25 novembre 1960 per ordine del dittatore Trujillo in quanto ispiratrici del “movimento democratico del 14 giugno”, movimento che rappresentava una forte voce dissidente al suo potere. La loro brutale morte però non fu invana, scosse le coscienze della popolazione e impressionò a tal punto l’opinione pubblica mondiale che in breve tempo il dittatore fu epurato (con un colpo di fucile) e conseguentemente anche il suo malgoverno politico- finanziario. Nel 1995 Julia Alvarez ha pubblicato “IL TEMPO DELLE FARFALLE “ un libro dedicato alle sorelle che poi ha ispirato a M. Barroso il film: “ In the Time of the Butterfilies”

Son passati dieci anni, da quando è stata istituita la giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, non mi sembra che nel mondo le politiche di tanti governi hanno mutato le convinzioni assurde riconoscendo i diritti umani delle donne, variato gli atteggiamenti ostracisti, incrementato le prospettive di eguaglianza, giustizia, parità economica e sociale,. Neppure ho constatato che alla violenza sulle donne sia stata riservata una attenzione particolare di condanna, utile a migliorare i pregiudizi sociali, culturali ed educativi che stanno alla base di tanti comportamenti individuali violenti se non in forma sporadica, e incompleta. Nel frattempo, il genere umano ha elaborato congegni in grado di approdare su Marte o duplicare il fatidico big ben della vita ma è stato incapace di elaborare semplici progetti di politiche socio-economico-culturali per eliminare dalla forma mentis generale che una donna non è diversa dal suo opposto per cui di qualsiasi età e appartenenza etnica e religiosa deve godere di rispetto e libertà di scelta, degli stessi diritti indiscutibili e chiunque li viola deve essere condannato sotto ogni punto di vista.

Personalmente non credo che una giornata celebrativa rimuova i pregiudizi millenari verso le donne, o apra le “menti” ai governanti per affrontare radicalmente il problema della violenza femminea o come dicono alcuni femminicida, chi non ha subito una violenza, specie sessuale, non è in grado di comprendere le ferite invisibili che provoca, che nulla e nessuno riuscirà a cancellare lo schifo, la bestialità, il terrore, lo squarcio nell’animo, cagionato dall’oltraggio e dall’intrusione, che le resterà un marchio infuocato nel corpo e nello spirito corrosivo, in più dovrà tollerare gli sguardi dispregiativi e coloro che 

sottovalutando il “crimine” lo reputeranno lavabile alla prima fontanella d’acqua fresca.

Il guaio è …. le fontanelle non esistono più.

Un argomento sul quale ci sarebbero un’infinità di cose da dire, riflessioni e considerazioni da fare, milioni di testimonianze e prove documentali  da far emergere. Per concludere in breve, metto il mio bigliettino nell’ Anfora simbolo del “basta” violenza sulle donne”  prendendo a prestito le parole  del poeta Kahlil Gibran:

Chi prova pietà per la donna, la disprezza.

Chi le attribuisce la colpa dei mali della società, la opprime.

Chi crede che la bontà di lei dipenda solo dalla propria bontà e che la sua

malvagità dipenda solo dalla propria , è uno spudorato.

Ma colui che accetta la donna come Dio l’ha fatta, le rende giustizia.

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LE INVISIBILI VISIBILI

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Martedì, la mia amica Lu con tono perentorio mi ha detto: “muovi le chiappe e vieni tre giorni  a rinfrescarti al mare”  Stanca del caldo e dell’afa ho accettato l’invito e l’ho raggiunta. Siamo amiche bensì abbiamo idee e gusti diversi perciò sapevo che sicuramente  mi sarei  ritrovata fra gente che ama esserci e non passa  inosservata. Infatti, quando siamo scese al mare nel vedere una sfilza di costolette dorate, con  accanto salsicciotti lustri d’olio,  sdraiati in morbidi letti per abbrustolirsi, sotto gazebo con drappeggi, tavolini con su enormi piatti di frutta,  beveraggi colorati e quant’altro servisse a migliorare le ore di parcheggio balneare,  ho avuto una sensazione di disagio, mi sembrava d’esser fra alcove di convegni amorosi invece  che sul  litorale per prendere il sole tra una sguazzata e l’altra.  Naturalmente Lu mi ha presentato a un sacco di persone ma ero così frastornata che ho stretto tante mani e afferrato pochi nomi, tuttavia fra sorrisi e occhialoni non ho potuto fare a meno di avvertire  un serpeggio di noia spossante   A fine  vacanza , scorrendo fatti e persone mi è parso d’aver passato tre giorni al museo delle cere. Quei corpi belli e sodi, schierati in prima fila e sventolati a richiamo  di subappalti  per mastri ceraioli non diffondevano calore umano e vitalità espressiva, e, le conversazioni  sembravano manoscritti di cronistorie a soggetto unico. Quelle pupattole, oltre ad avere interessi limitati a migliorare i loro lati  B, A e G con botulino, acido ialuronico creme e cremette, ingrandire il loro conto in banca , rifornire il guardaroba e  l’agenda degli incontri, intrecci e viaggi, per farla breve risultavano   impalcature parlanti che se facevi tanto di smuovere un’assicella gli crollava tutto l’ambradan socio- economico che gli garantiva visibilità egocentrica,  schiere di amici.. e un modo di vivere  in prima fila, cioè da VIP

Così,  quando a casa mi è capitata fra le mani l’immagine di Madre Teresa,   mi è venuto spontaneo il confronto tra donne che senza il potere, gli amici, le feste, i drink, le barche, i club esclusivi e  l’ appartenenza ad un ceto  sociale elevato si sentono svotate, smarrite, perdono colore e grinta e donne ” invisibili” coraggiose e altruiste  che si prodigano, combattono e sacrificano la loro esistenza per alleviare le sofferenze dei dimenticati  dal cosiddetto: “ uomo civilizzato, evoluto, acculturato, democratico ” (??? -pensa un po’ se era cavernicolo…) Donne generose che prima pensano ai propri simili  costretti da sopraffazioni egoistiche  a vivere in condizioni umilianti e poi a loro,  vive e palpitanti,  animate da ideale di giustizia socio-politica  che non tollera lo strapotere e il profitto  che affama, spoglia,  deruba  e schiavizza.  Colme di amore e sensibilità solidale verso  poveri, deboli, malati, drogati, alcolizzati abbandonati al loro triste destino dall’ indifferenza di governi, collettività e peggio familiari con  spirito vocazionale teso a lottare ogni forma di  abuso, specie quello esercitato su bambini  da gente  viziosa, senza scrupoli, spesso dedita a  traffici che a definire illeciti  è  una bazzecola. Armate  di  impegno etico  per restituire agli emarginati  dignità  e diritti  sottratti loro da un sistema iniquo e antidemocratico,  hanno scelto deliberatamente  un sistema di  vita disagiato, spesso maturato da convinta fede a perseguire un modello di universalità fraterna che esclude qualsiasi forma di vessazione. Donne dagli obiettivi chiari e concreti che sfruttano le loro risorse intellettuali e fisiche per soccorrere chi è in difficoltà senza contropartita. Donne consapevoli, capaci di andare controcorrente, dimenticare se stesse per beneficio di altri,  sostenere battaglie umanitarie fra ostilità e persecuzioni d’ogni genere  con autentica passione. Disponibili  a morire col sorriso piuttosto che piegarsi alle leggi assurde dell’uomo,  abbandonare o rinnegare gli ideali  d’un servizio assoluto  al prossimo per salvare la pelle. Donne libere da pregiudizi, indomite e competenti, quasi sempre dai volti sereni e con gli occhi scintillanti, prive di subbugli interiori  di ambizioni mancate, invidie, angosce   e maschere d’ipocrisia che invece assillano e schiavizzano le altre. Se hai la fortuna di avvicinare una di queste donne, come mi  è capitato  tempo fa nel visitare l’orfanatrofio “ FAMIGLIA FERITA” in Bosnia Erzegovina, percepisci qualcosa d’insolito e indefinibile,  una sensazione di fierezza e soddisfazione profonda.  Se l’analizzi attraverso le condizioni in cui vivono e operano ti  sembra impossibile. Emanano un profumo di forza naturale ma non di trascendenza, piuttosto di smaliziata e concreta visione della realtà che stupisce. Avverti che agiscono con determinazione entusiasta, parlano della vita, della debolezza umana, degli obbrobri che seminano guerre ed individualismo  senza verdetti di condanna irreversibili, espongono con crudezza sintetica  fatti, conseguenze infami di sofferenza senza sdegni  o filosofie pitocche. Comprendi che sono tante gocce preziose,  anonime nel grande mare per l’occhio sbadato ma ben visibili  alla   fauna  che s’agita nell’acque profonde perché  ognuna di quelle gocce coopera alla sua sopravvivenza, è fonte indispensabile   per non rendere il mare   una pozzanghera fangosa. Donne che si caricano di pesi impropri  senza fronzoli e giri di parole, all’apparenza delicate e fragili ma nella sostanza rocce salde che non hanno bisogno di  ammennicoli costosi e schiere di amici sottraendo congrue fette dei  donativi per sentirsi realizzate,  gli basta  dignità, coraggio,  fede, ambizione a confortare, curare, istruire sfamare,  impedire degrado, prostituzione, illegalità. Talvolta si sente affermare che donne simili privilegiano valori astratti a scapito di quelli terreni, sono più interessate a convertire e far pregare il Dio in cui credono che  orientare al  progresso, niente  di più falso se si ode dire “ Nessuno viene messo alla porta o perde il diritto di restare in questa comunità  perché è maggiorenne se non ha almeno un diploma d’istruzione superiore, un lavoro  che gli garantisce una casa, l’indipendenza economica e morale, altrimenti sarebbe come buttarlo in pasto ai falemici del mondo. “ – Magari si sentisse da certe bocche !!!  

Basta  un mese di condivisione della loro realtà per capire che la fede è il loro motore ma il rispetto della volontà altrui, il bramare che  tutti gli esseri vivano in pari dignità è il punto di arrivo. Donne speciali,  competenti e  per niente sempliciotte, più visibili delle visibili perchè dal loro comportamento la società può estrarre riflessioni utili e certi social politicanti che  il loro chiacchiericcio è vergognoso e inconcludente. Donne invisibili che purtroppo conquistano un trafiletto Ansa e  qualche ora di attenzione  sulle prime pagine solo quando finiscono massacrate e rapite, mentre le visibili ci son sempre per amorazzi,  spiaggiamenti con questo o quello purché influente, partecipazioni in  reclusori con  scimmiottamenti  della realtà e un sacco di robe vane,  una tantum per altruismo  sbandierata per settimane.  Però la vicinanza con donne visibili, se non fai parte del sistema  e della mentalità  che circola, dopo un po’  diventa una noia mortale, mentre lo stare accanto alle  invisibili  è stuzzicante perché ti arma  di coraggio  per sopportare le incongruenze   e  ti rifocilla  lo spirito spappolato dalla cruda realtà.

CRISTIANA E MUSULMANA

 

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Donna Musulmana non mi sento diversa da te

Se indosso un Crocifisso emblema di fede cristiana

Non mi faccio panegiri vedendoti avvolta nel burqa 

Ch’ impedisce di confrontarti a viso aperto con me

Farti  inondare dall’energia solare

Correre lasciandoti carezzare da frescura

Farti  ammirare in splendor di  natura

Vedo una donna simile a me

Di cultura e tradizioni secolari

C’han molto da insegnare

Non lasciamoci ingannare da sofismi  sacerdotali

Pastoie  di ideologie immateriali

Partoriamo i nostri figli con pari travagli

Li allattiamo con  l’ideale di vederli crescer sani

Prosperare dandosi da fare in libertà mentale

Subiamo gli stessi soprusi da padroni sopraffattori

Soverchiatori di generosa elargizione

Pronta ad  appagare ogni loro aspirazione

Nulla ci divide

Solo  un inezia di umane vanità

Infiammata  da questioni estranee a nostra  volontà

Lesiva a dignità di madri e  donne

Cristiane o Musulmane  che differenza fa?     

Calpestano  lo stesso globo

Si cibano degli stessi desideri

Finiscono in polvere eterna alimentando l’Infinito

Che

Non domanda su che parte di terra han transitato

Valuta solo l’operato, la lealtà, i diritti che han fissato.

Donna Musulmana non giudicarmi diversa da te.

Se sbandiero i miei seni, mi crogiolo al sole lasciandomi brunire

Approdo alle tue spiagge per assaporare il profumo marino

Mi carezzo all’onda  corallina

Al vento monsone         

Non vengo per offendere la vista e la  religione

Vengo a carpire lo sguardo fiero

Seguire la scia speziata

Assaporare l’emozione nella meraviglia  d’un bimbo

C’ama la sua terra e parla anche la mia lingua

Empirmi di storia, di  tradizione c’han fatto la mia

Non lasciamoci abbindolare da frenesie brutali

Da chi per  quattro soldi ci rende  schiave ignare

Da menti contorte con visioni apparenti contrarie

Donna Musulmana, sono Cristiana ma uguale a te

Veniamo dallo stesso ignoto assoggettate al fato

Con la stessa apprensione dell’andare zavorrando

Incontro al dolore e all’ esultanza  appaiate come gemelle

Gemelle   stellari di fede universale

Libere  di  meditare l’ideologia che gli pare

Spoglie di pregiudizi, storia e potere,

Malversa interpretazione di leggi e dettame

Mai esortati da nessun Creatore

Donna Musulmana non aver timore d’ una Croce Cristiana

Io, non ho sbigottimento per il chador paludale

Due legni incrociati  o un velo sono  convenzionali

Una forma di rispetto d’un Credo ideale praticato

Ch’io porto per non scordarmi un Cristo Salvatore

Che tu porti in onore d’un Allah  che  ti scampi  dall’orrore                         

Cosa possono far di male?  Nulla.  Solo aizzarci al terrore

Contenderci  il primato d’una Verità collegiale

D’usanze e credenze dottrinali improclamate

Dal  Padreterno

Solo da feticci imbevuti d’idolatria

Profittatori ipocriti della tua e

Della mia innocenza confessionale.

 

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E.P.F.

                                                         

Da: cielochiaro- 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                       

DI CHI E’ IL 25 APRILE?

Basta, è ora di farla finita!  Il 25 Aprile non è un giorno di vacanza per alcuni e di impegno per altri!

Tutti gli anni, intorno al 25 Aprile, si assiste ad una diatriba  di”memoria storica” sulla resistenza che fa rivoltare nella tomba chi con coraggio e determinazione combattè per liberare la sua terra da una oppressione interna ed esterna. Si rivoltano nella tomba tutti quegli uomini, donne, bambini, ragazzi, sacerdoti, medici, giornalisti, operai, che hanno dato spontaneamente la loro vita ribellandosi all’ingiustizia, alla persecuzione, allo stupro degli ideali di libertà e  di eguaglianza, trucidati da conterranei e invasori. Si rivoltano  nella tomba tutte le Marie, le Nine, le Terese, i Giovanni, gli Antonio, i Giuseppe, quel “popolo di ITALIANI “sconosciuto”  ai libri di storia ed ai politici che non prese la via delle armi per combattere  il nazi-fascismo, non perchè non avesse il coraggio ma perchè preferì agire sommessamente, aiutare la lotta di liberazione senza aggiungere violenza alla violenza, preferì con enorme sacrifici e anche paura di non farcela  salvare tante vite umane nascondendole, sfamandole, curandole, nei campanili, nei fienili e nelle soffitte, si inventò ogni sorta di nascondiglio per soccorrere chi era “ricercato” senza domandarsi se  era partigiano, staffetta, ebreo, inglese, soldato scappato dal suo esercito, dissidente, preferì combattere  la distinzione di  razza e credo politico armata dai valori di libertà, democrazia, amore verso un suo simile. Oggi chi si  arroga il diritto di sfilare per le vie delle città con fanfare e gonfaloni tronfio di essere il depositario dei valori della resistenza, è un accaparratore falso d’una nobile memoria di medaglie d’oro o semplici anonimi, un violentatore di sacrari e cimiteri dimenticati nei quali riposano tanti giovani, uomini, donne, morti senza avere in tasca una tessera politica ma solo la foto di una fidanzata, una moglie, una madre, un figlio, morti per onor patrio, per una causa umanitaria, di giustizia, una fede espressiva, un desiderio di pace e democrazia, ambizione d’ un futuro diverso. Chi si accaparra il diritto di sbandierare queste vite sacrificate come trofei di vittoria per sentirsi migliore inganna se stesso e tutti gli italiani che non dimenticano nel cuore anche se non vanno in piazza a farsi belli, che non hanno bisogno di finire sui giornali o circolare in tanti teatrini mattinieri e serali  per non dimenticare. Coltivano la memoria di chi ha “avversato” con ogni mezzo la sopraffazione e il sopruso tramandando gli ideali contro la guerra, l’ingiustizia, ogni fede politica discriminatoria di razza e idea, racconta l’olocausto, l’eroismo di vite umane che hanno saputo unirsi simbolicamente, valicato i ciechi recinti  per conquistare la libertà, senza cercare una rivendicazione di merito,  hanno agito in base ai loro criteri di persone ribelli ad ogni forma di violazione oppressiva e iniqua. Stop ai monopolizzatori!   Il 25 aprile è degli Italiani, di tutti gli italiani, dal nord al sud, da destra e sinistra basta!! Non vogliamo tramandare ai nostri figli, ai nostri nipoti che certi “combattenti” erano migliori di altri, che certe morti sono migliori di altre! Vogliamo inculcargli il rispetto delle idee, radicare principi contrari ad ogni forma di guerra, ogni forma di ostracismo etnico e politico, malversazione di pensiero, vogliamo toglierli dal disorientamento di voci rivendicative e negazioniste. E’ ora di dire grazie senza etichette di colori e simboli a Norma Barbolini, a Don Pasquino Borghi, A Umberto Ricci,  a Oriana Fallaci, a Giovanni Bidoli, ai martiri della repubblica di Montefiorino, a Ines Bedeschi,  alle Fiamme Verdi, a Nuto Revelli, alle Brigate Partigiane, ai sacerdoti di Partina, a Gina Borellini alla lista infinita di morti eterogenei per credo, cultura, nazionalità,  ai giovani studenti ed a tutti coloro che hanno offerto la loro vita in cambio della nostra libertà, che ci hanno donato con tanta sofferenza il nostro 25 aprile.

  Sono grata ai miei nonni,  ai miei genitori e in un certo qual modo ai miei insegnanti che hanno saputo tramandarmi tanta verità senza condizionarmi, senza ostilità verso chi ha idee diverse, va o non va in piazza, hanno preferito inculcarmi il rispetto umano, i principi d’autonomia espressiva, il concetto di conquista sociale onesta e inviolenta, scartando le loro convinzioni per non influenzarmi con modelli unilaterali, preconcetti assurdi che impediscono d’apprezzare e riconoscere “le vittime” di ide sballate ” dire grazie a chi non ha potuto festeggiare nessun 25 Aprile.

 

LE BELLISSIME !!

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Quest’anno il bagaglino, in barba alla recessione, ha messo in “tavola” un sacco di frutti saporiti così ognuno gusta quello che gli garba! Chi  ama la polpa succosa si prende  la bella melona ” Valeria”, chi gradisce la frutta secca schiaccia la bella noce ” Angela”, chi ama i frutti con la panna si mangia la fragolina “Justine”, chi ama i frutti solari si fa una bella spremuta con l’arancia sanguinella “Manila”,chi preferisce il frutto dal sapore di miele “acciuffa l’inossidabile “Pamela”, a chi piace il frutto col cacio sceglie la bianca pera ” Antonella”, chi invece si vuol godere il frutto sdraiato al sole grinfia l’uva gialla “Nina”, chi invece ama tutti i frutti si scodella una succulenta macedonia alla “Silvia”
Non c’è che dire una varietà eccellente!!!