Quella sera

-WA0023

Danzava il mare quella sera. Non so se un tango, samba o valzer. So che si muoveva a ritmo scatenato e tutto l’intorno fissava quel suo danzare ammaliato. Nulla si muoveva ma tutto avvolgeva. Tutto dilavata i sensi tanto da farli vibrare all’unisono col silenzio. Non un silenzio muto. Una corale sinfonia di lemmi. Un sincrono di inespressi liberatati da quel mare sbrigliato. La musica fluiva, scendeva, roteava, inglobava, risaliva leggera, si perdeva nel luccichio dorato d’un sole rosso aggrovigliato sulle immobili conchiglie bianche il cui biancore affiorava tra quella spuma scatenata e l’una dopo l’altra a ritmo trascinava sulla rena ancor arroventata e restavan li aggraziate da sembrare luccicanti perle in attesa d’esser raccolte e aggregate.

Danzava il mare quella sera. Danzava mosso da quelle note che misteriosamente scivolavano dall’etere, penetravano gli abissi, risalivano e onda su onda in un luccichio policromo come sirene incantatrici libravan sull’acque un sincronizzato di magica armonia, talmente avvincente da eclissar in quei movimenti qualunque pensiero d’ira e melancolia. In un trionfo di luce, colori, sonorità e movimenti travolgenti quella sera il mare danzava e tutto dal profondo liberava. La mia anima sedotta e affascinata da quella atmosfera assecondava quei suoi movimenti ora lenti ora frenetici con un eccitazione da aver l’impressione d’esser catapultata in un universo di ribellione alla staticità animica per assorbire un energia stupefacente da tuffarsi gioiosa in nuove sfrenate emozioni.

Poi il vento si fermò, la luna prese a lampeggiare, la melodia a scemar, le nubi a costellar l’orizzonte, le acque a contorcersi in riflessi rosso-violacei, la sabbia come una dama schiva di nero si velò, il silenzio come un mantra di piombò calò e la magia di quella atmosfera corale sparì.

IMG-20210821

Danzava il mare quella sera o forse a distanza d’anni lo sciabordio dell’oceano in quella spiaggia deserta con te accanto a me pareva.

ByDif

 

Ottobre pitturaio

ottobre

Ottobre pitturaio ha un se di magico, di mistero catartico trainante che convoca i sensi al fruire uno spettacolo trascendente. Con la sua tavolozza intensa e vibrante di rossi, gialli, aranci, elabora infinite sfaccettature cromatiche che cambiano completamente l’impressione visiva al solito scenario. Mediante le sue pennellate campisce, borda, macchia, punteggia, delinea, accentua, sfuma. Apporta un tocco d’irresistibile attrazione ottica che pressa ad ammirare, a soffermarsi , a scoprire, forme, particolari, biodiversità, gradazioni, atmosfere, angolature di bagliori e penombre insolite. Trasporta occhio e animo in atmosfere affascinanti, dai respiri sinuosi, eccitanti e fantasmagorici, crea armonie concertistiche di toni e semitoni illimitati con brandelli concettuali imperiosi; focalizza immagini spaziali piane e poliedriche esaltanti; pigmenta intrecci di luce briosi e al contempo evanescenti nella dialettica interlocutoria della realtà contestuale. E’ il mese che costringe a incontrare a 360° la natura, a riflettere sullo specifico del suo insieme, a distinguere le sue meraviglie, a percepire le innumerevoli molteplicità, a relazionare con ogni singolarità e con l’oltre osservabile, soprattutto induce a riscontrare la potenza sopraffina del creato.

Non v’è che dire, Ottobre  è l’artista pitturaio che accende di bellezza ogni angolo. Con i rosa tinge le albe , con l’arancio fantastica il giorno, coi rossi e gialli riempe boschi e valli, con l’ocra e il porpora spennella i rami dei maestosi alberi. Di verdi intensi lacca le siepi ginepraie, coi violacei contorna il groviglio dell’ esule fogliame. Coi bruni acciglia le campagne, con l’azzurro profila gli orizzonti sinuosi, coi lapislazzuli ombreggia le chiome dei faggi. Con il porpora macchia l’oscura selva, con l’amaranto ghirigora i crepuscoli. Infaticabile decoratore con ariosi toni compone celestiali melodie visive, con sinfonie cromatiche espande l’humus nelle fantasie e accorpa i neri nelle solitarie vie. Ovunque pennella lascia l’impronta del suo estro comunicativo bizzarro e a volte anche un tantino ambiguo.

Se marzo è il leggiadro messaggero della rifioritura che frizza e risveglia la vitalità con policromie dai toni freschi e morbidi e al contempo carichi di premesse prepotenti. Ottobre il cui nome deriva dal latino October, -ottavo mese del calendario romano che iniziava con Marzo, decimo in quello attuale gregoriano, – è un mese che ha una radiazione di luce positiva che non passa inosservato. E’ l’inequivocabile mese ambasciatore della cognizione consapevole della dinamicità transitoria che declina la ricchezza nell’animo mite e al contempo eleva l’ardore intuitivo ad aprirsi al variegar degli elementi profani. Nel suo finir poi, concentra la sua policromia sui blu, violetti e indaco da emanar un effluvio di radiazioni da congiungere spirito e materia a una stagione di taciturna meditazione.

In conclusione, non so il perché ma da sempre in Ottobre pitturaio trovo quel qualcosa di profondo e stimolante per sensi e pensiero che mi energizza più della sfavillante estate. Le immagini istintive che immagazzino, guardando l’orizzonte in cui vivo, son di esuberante linguaggio espressivo che fuga la tristezza. Non so se il recepire è per affinità interiore, perché nella gamma di colori che girandola mi par di capir che anche una rugginosa foglia cadendo a terra sa che la sua storia non finisce lì.

Comunque sia ciò che mi trasmette questo mese è una magia sofisticata di sensazioni che conciliano le giornate e emotivamente trasportano il sentire riflessivo oltre l’ordinario.

 

policromie ottobrine

Certo, quel che sopra intendo dir , meglio di me lo sa significar Ada Negri:

Trasparente luce

d’ottobre, al cui tepor nulla matura

perché già tutto maturò: chiarezza

che della terra fa cosa di cielo.”

foglie g. con piuma

E guardando la luce dorata del mattino che inonda il mio giardino, auguro a tutti colorate giornate di questo finir ottobrino.

By dif

Una domenica sul… Monte

monte tabor

Già su quel pulmino, in compagnia di volti sconosciuti che si inerpicava, ebbi la sensazione che lo scenario di quel Monte aveva qualcosa di differente da renderlo affascinante e in quel salire a brivido sui tornanti c’era qualcosa in più del recarsi a visitare un luogo turistico.

Oltrepassata la “porta del vento” che con le sue pietre grige, sembra dir son qui a testimoniar la storia, sotto un cielo turchino, metto piede su una radura sassosa, contornata da alberi con a ovest una vista magnifica sulla pianura lussureggiante di campi verdi, delineati da forme variabili, incredibilmente perfette, dal rotondo al quadrato, illuminati da un sole splendente. A est, mura dirute scorrono in un lungo viale di cipressi e pini. A ruota del gruppo multietnico l’imbrocco e mi incammino per il mio giro di visita e conoscenza a luogo e monumenti. A fine viale, la natura s’apre a una incredibile prospettiva di fiori e verde. Varco un cancello. M’accoglie un giardino dalla vista e dai profumi attraenti con cactus giganteschi da sembrar quasi finti da quanto sono particolari, cascate di boungaville, di bianchi gelsomini, olivi, pini, querce d’un verde intenso, una varietà di colori che iridano l’occhio e dirigono i pensieri all’astratto solitario. Sorpresa dallo spettacolo mi incammino per giungere alla cima del Monte, punto focale del mio essere li. Mentre attraverso quella rigogliosa oasi con sole che macchia le foglie, delinea percorsi, tinge di rosa le vesti mi par che… Che le mie le scalda, le ribolle tanto che cerco un posto in ombra per refrigerarle. Trovo un angolo, mi siedo a ridosso di un muretto da cui sporge un cespuglio al culmine di una fioritura di un intenso fucsia e vermiglio da espandere un senso di chiarore all’animo esitante e scrutatore, finito in quel bollore per un impulso errante assetato di incontrare, conoscere, trovare, nutrirsi di bellezza e al contempo svuotarsi di quella consumata. Rimesto nella sacca-zaino in cerca del ventaglio ma il riverbero d’un raggio mi colpisce in fronte, mi blocca la mano, mi sfoca il pensiero, rende senza tempo lo sguardo e..e percepisco. Intuisco che il bollore delle vesti che mi ha arenato sotto quel cespuglio non è altri che un ribollir intimo. Poi, come per malia, quel riflesso ne snocciola il senso, l’origine, e in tutta la sua crudità svela la mia viaggiante pena. L’impatto è forte, tento di sollevarmi per disfarmi da calore e vista. Inutile. La cognizione mi sovrasta. Si accende e riarde sotto le vesti da scuotermi la terra arida a vulcano da farmi schizzare oltre quell’oasi sul Monte per depositarmi alla foce  di un fiume lunghissimo per esplicitarmi il suo gorgare diramante fino all’estuario. Ravviso egoismo e un tantino di terrore. Formarsi l’inquetudine. Presentarsi all’ego con passo smorzato. Infilarsi nei ribelli turbamenti intimi. Insediarsi col suo fluire nervoso negli incofessi desideri di rifiuto. Mettersi in azione dirompente la stabilità interiore nel momento ostinato di un no al Monte egotico.

Fu un giorno garbuglio.

Presa dal panico feci del tutto per abortire il Monte dal mio quotidiano temporale.

Anche se v’ero salita tante volte, anche se migliaia di altre avevo detto lo accetto, salgo. La verità nel profondo era altra. Ogni volta vi ero salita non per accettazione ma per aspettativa che il pendio si trasformasse in pianura. Purtroppo ogni volta era sempre Monte e assai arduo da scalare. Così, quel giorno, lo rifiutai a priori alla mia oggettività. Con cocciutaggine dissi: non lo voglio più nella mia vita come una condizione di eventi perfettibili e quindi di sofferenza trasfigurante atti e pensieri. Semmai che si presenta e debba inerpicarmi voglio, pretendo, sia un Monte temporaneo e per ogni salita indietro ambisco cose come soldi, contentezza, certezza di costruire senza subire crolli. Soprattutto rivendico  un diritto di gratificazione a profitto dei miei figli. Insomma ogni arrampicata obbligatami dalle circostanze, leggera o ostica, deve darmi la contropartita certa  che giammai i miei figli saliranno a un Monte. All’opposto mio, nella vita avranno tutto. La felicità in ogni sua accezione.

Che asineria il mio rifiuto e che utopia il mio esigere!

Anelavo, volevo.. ? Beh, ho avuto… abbondanza di stress fisico e mentale!

Difatto, rifiutarmi patteggiando un corrispettivo non ha eliminato i Monti da rampicarsi. Solo peggiorato le condizioni nell’affrontarli .

Invero quel rifiuto ha instaurato un meccanismo intimo di irrequietezza persistente che a mano a mano che constatavo il non ottenimento ambito, cresceva, cresceva e poi sprofondava nell’ interiore da rendere sempre più difficile mantenere il controllo da impedire di diventare insopportabile compagna di ogni parametro della realtà. La conseguenza del categorico rifiuto era logica ma sopraffatta dall’ego cieco non avevo saputo discernerla. D’altronde come potevo se mi ero ficcata in testa il tarlo fisso che a un certo punto della vita volevo essere una privilegiata, anzi una specialissima. Se, consideravo un diritto divino che la vita mi premiasse. Anche perchè ero straconvinta che quel Qualcuno di soprannaturale in cui credevo, se non prima almeno poi, doveva intervenire. Per meglio dire dall’Alto della sua giustizia doveva calare a tutti i costi la mano benigna della ricompensa sotto forma di beni materiali, guadagnati accettando il Monte e soffrendo ogni genere di traversia nell’ arrampicata?

Nel mentre quel riverbero frondava obliquamente i giganteschi cactus e mi dipanava l’origine dell’ inquetudine incessante che da anni trapanava l’intimo, e bruciava le carni, sento un frescore. sfiorarmi e quel bollore che mi ha arenata in quell’angolo sparisce. Riprendo il percorso del mio giro. Tra un mare di aromi, un multicolore variegar di forme fiorite, di verde, cocci, ruderi, oltrechè un accogliente ristoro con dei giovani sorridenti, un via vai di gente, di scatti fotografici, arrivo al punto alto, alla spianata del monte. Alla Basilica.

L’impatto visivo è notevole. L’architettura, di robusto vagheggio gotico, con le due torri campanarie protese verso l’Alto, si staglia nel cielo di un azzurro trasparente, come a chiudere all’occhio ogni visuale che disloca l’attenzione verso il basso per inquadrarla su un panorama ascendente indemarcabile. Ma ancor più significativo lo è quello dell’ingresso. La magnificenza policroma, le pietre pregiate, i marmi, le finestre, gli alabastri, le capriate, le figurazioni, il pavimento che a tre quarti della navata, con una ventina di gradini, sprofonda in una cripta che nasconde i resti di preesistenti fabbricati e in fondo culmina l’incanto nello sfoggio di un presbiterio, con uno splendore di mosaici di fattura italiana, d’insistente luccichio da ammaliar occhi e anima e parer inoltrarsi nel cielo. Affascinata dallo sfolgorio di bianco, blu, oro che riempe le curve pareti, mi siedo sulla panca sinistra del presbiterio. In silenzio miro e rimiro le tessere mosaicali e cerco di carpire ogni dettaglio delle immagini per fissarle nella mente. Quel guardare, nel suo insieme, mi estasia e come Matteo mi vien da esclamare : “è bello stare qui” .

Tanto bello da perdermi ogni cognizione del tempo e del contesto.

Nel mentre sto imbambolata con l’occhio fisso, su uno dei mosaici un brusio di un folto gruppo di visitatori s’approccia all’orecchio. Intuisco che l’atmosfera cambia e sta per iniziare la messa ma il mio muto imbambolamento non cambia. Un rincorrere di impressioni fortissime estrania la mente e tiene l’occhio inchiodato sui mosaici da non riuscire a seguire attivamente la messa che officia don Carlo.

A un tratto una dolcissima soave melodia si diffonde, cheta, avvolge, trasporta in uno scenario di luce. Tanta luce. Amore. Tanto amore. Mi par avvertire un respiro immenso. Forse è il fiato unisono della folla, penso. Riconcentro lo sguardo su tutta quella magnificenza artistica che mi circonda e.. E poi, che strana sensazione provo guardando i mosaici innanzi a me. È come se qualcuno dalle spalle mi sfila un sacco pesante!

Con una fugace riflessione mi dico: m’è parso che qualcuno mi ha tolto un carico.

Boh, non so capacitarmi dell’impressione ma mi sento alleggerita.

Ne incredula ne convinta seguito a guardare e poi domando: cosa c’era dentro, nel sacco, di così pesante? Anche se, a volte, mi dibattevo per togliermi qualcosa di fastidioso che mi piombava su un punto morto, rendendo il sorriso da spontaneo a greve in ogni gesto della vita, a essere sincera non mi pareva di avere un carico sulle spalle! Però.. devono essere state tante le cose che avevo infilato nel sacco se quando Qualcuno me l’ha sfilato ho provato un senso enorme di sollievo. Una leggerezza da sentirmi libellula e una beatitudine che mi trasportava oltre le pareti, fin in cima a una cascata d’acqua cristallina che depurava d’ogni scoria umana!

Perplessa dalla sensazione mi alieno dall’ insieme della folla.

Mille domande si affollano nell’intimo pensiero.

Non so darmi una logica.

Attonito lo sguardo fugge lontano. In silenzio guardo, non prego, o forse si. So che guardo, guardo e mi alleggerisco, guardo e mi libero. Una luce radiosa penetra dalla vetrata m’invade d’un ardore come da lunghissimo tempo non provavo.

Ohohoh.. Sono libera, libera, libera.

Libera da che? Non lo so ancora!

Strano.

Mentalmente ripeto un ritornello: i pesi si sono alzati, qualcuno li ha sollevati, finito il passato, si apre il futuro. Aria di Cristo ho respirato, pace e gioia mi ha toccato. Aria di misericordia fraterna mi ha circondato, il cammino è avviato, dove condurrà non ho da saperlo, oggi basta crederlo. Confido, spero, credo e spero che …che il tempo poi… non sia spietato con me! Guardo ..non prego..o forse si…

Una mano mi scuote. Una voce mi chiama. Passi mi tronano ma non mi distacco. Arriva don Carlo, perentorio mi intima di uscire e riaggregarmi al gruppo. Controvoglia mi alzo e lo seguo. Una luce accecante mi onublia la vista. A orecchio seguo il gruppo. Ripercorro il viale di pini e cipressi fino alla radura. Come un automa salgo sul pulmino che riporta a valle. A poco a poco riacquisto cognizione visiva. Rioltrepasso la porta del vento, un radioso chiarore m’invade d’un ardore come da lunghissimo tempo non provavo. In un attimo mi par chiaro il perché da un po’ camminavo con passo angoscioso, da un po, come impedito da una pigrizia cronica, insolita per me,il sorriso spento e atrofico non affiorava più sulle mie labbra. Ballenzolando su quei tornanti scoscesi guardo lo spettacolo naturale di quella terra che mi sfila fuggevole come il vento con predisposizione nuova, come a carpire una comunicazione, un linguaggio,un espressione da portarmi in aggiunta al momento vissuto e mi si apre un oltre di sensazioni extra luogo che non so descrivere. 

Non so, cosa sia avvenuto sul Monte, luogo di silenzio, ascolto, preghiera e contemplazione. Luogo spirituale, meta di continuo pellegrinaggio. So che tornata mi ha schiodato il c.. dal divano. La paura di affrontare il monte è scomparsa. Anzi, se si presenta mi par un pendio su cui inoltrarsi è camminare tra rose e fiori, tanto  piacevole da arrivare in cima senza fiatone e con una sensazione di vittoria, di completezza intima ineguagliabile da farmi gustare la vista panoramica che mi si presenta comunque sia.

Effetto montagna trasfigurazione? Boh, Mistero!

Buona domenica a tutti e… se vi capita o decidete di passarla inerpicandovi su un monte osservate bene il panorama per cogliere l’ oltre campo visivo. E’ meraviglioso!

bydif

la porta del v

.. Ci son tornata per scoprirlo. Solitaria il Monte mi ha accolto. In silenzio ho meditato. Forse l’importanza del luogo mi ha mutato ma  forse no..Forse ho pregato ma anche no…forse ho ringraziato ma anche no…ma di certo ora  so…Nel mondo sei invitata a essere il riflesso di ciò che vivi sul monte..Perchè? Se ben ascolti e guardi  Lui sul Tabor c’è.  Eccome se c’è!

Amica mia

africa 2

VORREI

AMICA MIA

NON PARTIRE

VORREI

AVVINGHIARMI ALLA TUA MALIA

UBRIACARMI DEL CALORE CHE T’AVVAMPA

SPOGLIARMI

SVOLAZZARE SINUOSA

RAMPICARE LA CORRENTE RITROSA

VORREI

TUFFARMI

NELL’ACQUE SPIROSE

AVVOLGERMI

NEL VENTO SALIENTE DALLE CAVITA’ VITROSE

ALEGGIATO

IN VERDI SCIACQUII

DA UN OCEANO INDIANO FATATO

VORREI

NON SPRECARE ATTIMI PREZIOSI

EMPIRE L’ANIMA MIA DI SUONI IMPETUOSI

SOPORIRE

I VAPORI VOLUTTUOSI DELL’ ATALANTINO

IN CIMA ALLO SPERONE PALADINO

GRIDARE ALL’ECO

TRASLOCA IL MULINO

DEL CUORE

NEL REGNO FORASTIO DEL DESIO

VORREI

ROTANDO LO SGUARDO

ABBRACCIARE LA FORESTA LUSSURIOSA

VALICARE

I CANCELLI DELL’ORDINARIO

INEBRIARMI

DÌ VITA ANTICA MISTERIOSA

PELLE FUMIGATA DA SOLI COCENTI

SUDORI ARDENTI SPALMATI IN DIAMANTI

PIOGGE VELIERE

SERRATE TRA ROSACEE SCOGLIERE

VORREI

ESPLORARE LE VISCERE VULCANE

INCONTRARE L’IGNOTO UMANDIO

LASCIARTI SENZA ADDIO

VORREI

CIRCUNNAVIGARE IL MARE CHE T’ABBIGLIA

CARPIRE L ’ENERGIA DI TERRA AMICA

CHIUSA

IN SUOLO OCARINO DÌ FATICA

SFERZATA DA RUGGITO D’ONORATO CRINIERO

BARRITO TONANTE MORZO D’ AVVENTURIERO

SFIORATA

DA PETALI DI FRONDE NERE

BAMBINI BALZELLANTI SU GRANI STRANIERI

SCROSCIATI DA INSODATI SENTIERI

QUAL FIORI SINGOLARI D’ABBAGLI SENSUALI

GIUNTI DA PARADISI ANCESTRALI

VORREI AMICA MIA

ANDARE LONTANO SENZA MALINCONIA

CAVALCANDO I TRAMONTI INFERINI

ARCHETIPI FUOCHI USURPATI A DEI ALATI

INFIAMMATI DA CIELI SCATENATI

VORREI

IN TUA COMPAGNIA

SALTARE NEI PRATI SCONFINATI

SAZIARE I DESERTI DESOLATI

PIANTARE UN FIORE NUOVO D’ARMONIA

LASCIARE UN PIZZICO D’ANIMA MIA

VORREI

PORTAR CON ME LA TUA MAGIA

CULLARLA OGNI MATTINA

DESTARLA

SUL PETTO ANSANTE D’AMORE E MERAVIGLIA

BLOCCARLA NEL PUGNO

SCOLPIRLA NELL’OCCHIO

RITROVARLA

NEI CASSETTI DELLA MEMORIA FRESCA DÌ SAPORE

SCORRAZZARLA IN OGNI DOVE

FIN QUANDO

EVAPORANDO IN STELLA

RICADRO’

LUCCICANDO SU LINFA DI FOGLIA

SDEBITANDO’ IL FAVORE CON VIRTU’ DI CIGLIA

AD AMICA PRODIGA CHE M’EMPI’ DI GIOIA

e.r

africa

Grazie Lucy!

dif

L’autunno

autunno

L’autunno avanza e con il suo policromo inoltrarsi offre uno spettacolo della natura ricco di sfumati tinteggi che passando dal rosso vivo, all’arancio, al giallo, all’ocra ai bruni si spengono in ossidi grigio-ruggine che attirano la vista e allo stesso tempo, almeno a me, insediano una variegatura di sensazioni emotive nell’anima, però non di malinconia ma di meditazione sulla vita, i suoi cicli, le metamorfosi, le chance. Occhieggiando all’intorno, mi par quasi che quel fogliame pigmentato col suo frullo in aria, quel suo accatastarsi pittoresco a macchia, quel suo cci ciac che suona sotto i piedi, sinfonizza più una celebrazione d’inizio di vita piuttosto che di fine di esistenza. È come se nello scenario che m’attornia affiori un che di eccitante, una coralità della natura di esulto e non di mesto avvizzo. A tal punto che ogni foglia arrugginita, sia che giace accartocciata o mulinella al vento sferzante, mi par esprima una briosa contentezza; che ogni albero spoglio una energia carica di fermenti e non di annichiliti desoli; il cielo fulgore e non spento grigiore; la nebbia visibilità e non oblio; le montagne movimento e non rigida staticità; in definitiva assorbo un che nel tutto di rosea metamorfosi che oltrepassa la logica del processo di declino. Intuisco che questa percezione sensoria che ho dell’autunno è po’ inusuale tanto più se considero che sono “figlia” dell’estate, stagione di vero animato rigoglio e solarità. Però la sensazione concettuale che l’autunno mi instaura col suo taciturno linguaggio di saccheggio è di accadimento positivo, di elargizione di auspicate nuove opportunità esistenziali e non di desertica espoliazione di curriculum vitae! Il che, ammetto, mi elabora anche un pensiero alquanto interrogativo dei percorsi esistenziali delle diverse “nature” nel creato. In effetti, vagabondare tra i vialetti del parco stracolmi di “creature” spopolate dal vento dai rami di alberi maestosi e piccoli cespugli mi scatena un subbuglio di meditazioni, in parte di umana invidia per un fato che alla natura concede di scambiarlo e all’uomo no, in parte per introspettiva ricerca di risposte a quesiti che mi affollano coscio e inconscio. Frequentemente in questo periodo mi ritrovo seduta nel parco a fissare i confini fra cielo e terra, come se in quel fissio ci fosse da captare una risposta risolutiva ai tanti sfuggenti perché, oppure istigata dai sensi ispeziono accuratamente l’intorno per capire se a quella progressiva sottrazione di vitalità in natura c’è ribellione o rassegnazione. A volte, l’occhio mi si immobilizza su un punto, come se li ci fosse da escavare, escavare per far uscire dal terreno la luce dell’ intelletto che schiara i rompicapo intimi sulla sorte spartita dal creato alle varie essenze. Il più delle volte però avverto una necessità di uscire per camminare in quella natura, tanto abbondante di sfumature policrome quanto disinteressata al frugare nella sua bellezza, per inspirare e assorbire tutti i suoi sinfonici effluvi,  perdermi in ore di silenziosi meditii che scorrono come attimi fuggevoli di spensierata leggerezza che esiliano gravami e riaccordano umori. Fatto è che immergermi senza reticenze in tutto quel tripudio di colori e aromi  poi, nel rientrare nel tran tran, mi fa sentire in uno stato di grazia come se in quella marea spumeggiante oro e ambra invece che camminare avessi fatto un bagno catartico.

Per concludere, non so il perché da sempre nell’autunno trovo un qualcosa di profondo e stimolante per sensi e pensiero e un atmosfera che mi energizza più della fiorita primavera e più della sfavillante estate. Se l’immagine istintiva che immagazzino è di esuberante vivezza e mai cupezza, forse è per affinità interiore o …forse perché mi par che una foglia cadendo a terra sa che non finisce li. Quel macero che subisce non è desolazione determinante è la possibilità eterna per ricontattare il destino. Mentre l’umana foglia… L’umana foglia non ha la stessa chance di duplicare la sua sorte, almeno non l’ha certa. É il mistero della sua esistenza che tanto, ma proprio tanto su questa terra vorrebbe tradurre in concretezza invece…. Invece se potrà tradurlo in realtà… potrà dopo. Quando il gelido vento spirerà e…e la sua foglia mulinando… mulinando…o si dissolve o…o si riclona!

Comunque sia intanto mi accomuno al pensiero di Soren Kierkegaard:

”preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda al cielo. In primavera alla terra. “

E guardando il cielo che in questo momento è sgombro di nubi  auguro tranquille e riconcilianti giornate autunnali!

by dif

Vento di libertà

Van-Gogh-Vincent-Il-vento

Quando un nuovo anno si affaccia nella mia vita non faccio mai propositi o mi butto a capofitto nel guardaroba per tirar fuori l’abito dei sogni. Tanto o non lo trovo o se lo trovo ormai è  fuori moda o, ristretto dal tempo, non ci sto dentro. Mi metto in ascolto e aspetto. Cosa aspetto?  Le sensazioni che porta. Si, perchè provo sempre delle sensazioni che poi mi accorgo essere il filo conduttore di quello che particolarmente avvertirò a livello inconscio, che poi a quello coscio indirizzeranno i miei pensieri per dare input alle azioni consapevoli o ai miei slanci vagabondi. Al suo primo spuntar del sole, quest’anno mi ha sommerso con una grande impressione di libertà e di conseguenza so che dovrò, ancor più di sempre, agire attenendomi a questo processo evolutivo. Il difficile sarà adeguarmi rimodernando velocemente il mio istinto conservatore per concedere alla mia mente quegli spazi di indipendenza liberi da qualsiasi ancoraggio al passato, completamente aperti alla recezione sensoriale raziocinante che valica schemi e condizionamenti. Ancora non so se supererò in sincronia con quanto l’anno ha manifestato e neppure se riuscirò completamente a sradicare quelle mie resistenze ataviche, che so di avere e mi porto dentro per tanti diversi motivi, che mi impediscono una completa facoltà di scelta nell’esternare sentimenti, decisioni, azioni. Tuttavia, so che nel 2016 non potrò esonerare dal mio quotidiano procedere il senso percettivo di libertà. Non potrò perché un vento audace spira forte e in qualche modo il dire, il fare, il sentire lo seguiranno e quando sarò recalcitrante aumenterà la sua forza, mi spingerà, mi nerberà, mi catapulterà e ruoterà finché non l’avrò assecondato. Come dire, tanto e forte soffierà per esiliare la parte subordinata involontariamente o non al giudizio, alle regole, alla opinione altrui o alla formazione. Perché lo farà? Per farmi raggiungere quello stato di grazia in cui nulla preclude a occhi, pensiero, azione di manifestarsi con pienezza interiore e esteriore. Ovviamente la sensazione ricevuta non è quella del libertinaggio anarchico e sterile, piuttosto di spintone necessario a farmi saltare ciò che di solito non voglio ne esporre ne utilizzare. Per quale motivo non voglio? A volte per eccesso di remore educative, altre per eccesso di responsabilità di un ruolo in cui la credibilità personale è punto essenziale di riferimento, altre per non suggestionare negativamente chi vuoi bene e ti vuole bene. Altre ancora credo per vigliaccheria formale. Mi auguro di riuscirci con perfetta armonia. Soprattutto di poter tradurre in parole e immagini questo vento spaziante siti liberatori di sovrastrutture autocreate per inutili illusioni d’appartenenza a una realtà conformata e arbitraria, modellatrice di modi e stili artificiosi, fagociatrice di convincimenti, ispirazioni, disposizioni naturali. Fin ora ci ho provato ma sono stati sprazzi discontinui. Nella realtà vicissitudinaria sono sempre rimasti parziali modi di agire e interagire. Anche quando mi sembrava di essere integralmente in sintonia col senso pieno dell’espressione spontanea in realtà c’era una riserva che non dava sfogo all’intenzione di partenza, e nemmeno a quella di raccontare un accaduto, specie insolito. Anzi questo è il punto dolente che il vento dell’anno vuole spazzare. Perché? Beh…Per quanto un vissuto fosse una concretezza certa qualcosa sempre mi inibiva nell’accettarlo in modo da riferirlo come esperienza straordinaria, estrinsecazione di una extra sensibilità connaturata. Se il vento di quest’anno mi libererà da tante piccole resistenze, o come diceva Kant a distaccarmi dalla“ “amorevole tutela” del potere, sia esso manifestamente violento oppure celato e paternalistico, sarà come acquisire una purezza interiore scevra da qualsivoglia esitazione efinalmente riuscirò a valermi del mio intelletto e a manifestare la mia essenza a 360°.

Al momento, il vento di libertà, con le sue sferzate  mi fa assimilare cosa mi è utile per passare dalla teoria alla pratica.  

vento

bydif

 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis”

………………

L’immagine del dipinto in alto: “Vento ” di Vincent  Van Gogh

A Maria Di Fatima

Un viaggio, lungo o corto che sia, mi lascia sempre in memoria un associazione a qualcosa che ha colpito i miei sensi come  un profumo, un volto e…. da renderlo unico, tuttavia c’è un tipo di  viaggio  che per emozioni, sensazioni, coinvolgimento e .. supera tutti gli altri. E’ il viaggio pellegrino.  Mi diventa  un momento di vita che, volente o nolente, si radica in  modo profondo in ogni fibra e mi si ripresenta negli attimi più impensabili come se non fosse un ricordo passato  ma un presente che vivo. Talvolta mi inonda gli occhi di immagini, le orecchie di suoni, il naso di odori in modo così straordinario che mi par di essere in un tempo sospeso in cui tutto è fermo in modo che posso recepire anche il più microscopico dettaglio di luoghi, persone, vissuto. Anche oggi, senza un apparente perché sono rivolata in mezzo alla devota folla di Fatima. Le sensazioni sono forti. Non sono passati 12 anni. La piccola immagine di Maria in una scia di profumi indescrivibili passa silenziosa nella grande piazza, io la vedo così:

Sei luminosa Maria 

Avvolta nel candore Divino

Avanzi leggiadra

Come goccia di rugiada

Rotolata da brezza mattutina

A ristoro di gente pellegrina

Semini odor di ginestra

Stirpata da mano maldestra

Intento d’ornamento doviziale

A piedi di Regina ancestrale 

Sei radiosa Maria 

Fasciata da luma ancellare

Sfili su trabiccolo cruciale

Remato da ressa fedele

Osannante la novella

Del passaggio d’una Stella

A stagnanti anime pigre 

Sei maestosa Maria 

La corona gemmata

Ti rende fulgida Sposa

Sfavilla bagliori intermittenti

Su aggreghi spirtali

In cerca di lenimenti morali

A memoria di apparizione

Ciancano arsi da fumi acri

Orando a tutto fiato

Salva ogni animo malato 

Sei tenera Maria

Lo sguardo misterioso

Tremula a baglior venerale

su fronti ricciose votive

A tuo cuore immacolato

Umani testimoni d’onore

Di tuo offerto splendore

Giunti d’ogni dove

A implorar condono de lor falli 

Sei dolce Maria 

Avvolta di grazia ispirata

Con gioiosa comunanza

Sorridi a coacervi festosi

file rumorose di fardelli

Biascicanti desideri d’induzioni

A memoria di apparizione

Su antico suolo lusitano 

Sei generosa Maria

Avvolta nel manto virginale

Dell’eterna mitezza trascente

Porti speranza mutante

Ogni oppressione esiziale

processione

 by dif

 

Profumo di Natale

luci natale

Basta fare un giretto in piazza per respirare un che di fresco che stappa il naso e decongestiona i sensi. Eh si, tra le tante ricorrenze annuali, solo il Natale porta in se quel senso di magico-mistico-che coinvolge e rianima pure i mortaccini! Strade e vetrine con le loro luminarie, le merci scintillanti, nastri e alberelli sparsi anche all’occhio più distratto o al passante più frettoloso parlano di un qualcosa che obbliga a dare una sbirciatina e a rallentare il passo. A ben respirare, l’aria sembra molto diversa, più frizzantina e meno greve, ci si sente euforici e speranzosi, maggiormente aperti agli altri. Tutto appare più colorato, vivo, come se qualcuno vi abbia immesso una polverina trasformandola in un vicks vaporubus di profumi inebrianti che insperatamente riaprono i canali dell’entusiasmo.Tutto ti coinvolge e ti trasporta in un mondo di aspettativa dove nulla e nessuno ti lascia indifferente. Dove lo ieri, con i suoi innumerevoli problemi quotidiani di tasse, tassette e cianciulle dai nomi impossibili, scompare. Dove il vicino, fastidioso e impiccione, ti appare come un benevolo amico che ti porge aiuto. Dove il potere che ti spiaccica la ragione e ingabbia nella miseria nera, con le sue mille promesse predatorie, ti pare un generoso mecenate. Dove l’odio xenofobo per il diverso diventa diritto umano, dove chiunque trova spazio per realizzare un sogno. Mi piace respirare questo mix di essenze strane. fare su e giù sotto i portici, è come fare un pieno di buon umore che ti conduce su una scia luminosa di gioiosa armonia. L’occhio, con i passi della fantasia, percorre strade vecchie e nuove, si focalizza sui valori che hanno dato e danno un senso al Natale: percepisce che sono immutabili nel tempo e nel cuore. E’ un ripetersi di una magia in cui ogni passo pare un suono che risveglia dal letargo animino; ogni bisbiglio un concerto di voci amiche dissepolte dal muro del distacco; ogni sguardo incrociato una complicità di emozioni senza barriere; ogni sorriso un amalgama di umanità; ogni gesto un aspirare la tenerezza dei tuoi amati; ogni respiro un ritrovare il Santo Bambino in se per reincarnarlo nei profumi del creato. Un giretto in piazza in questo periodo è veramente un elisir che riapre le porte olfattive, da ovunque ti arrivano ventate di odori di buono che vanno giù giù per risalire su su fresche e fragranti come le focaccine, appena sfornate, che traboccano dalla vetrina della fornaia. Nessun profumo per quanto costoso eguaglia quello del Natale.

ciambelline

 Un saluto profumato

dif

NELLA VALLE D’ERZEGOVINA

In questi giorni si è festeggiato il trentennale delle apparizioni di Medjugorie, tanti i pellegrini accorsi da ogni parte del mondo, tante le emozioni, tante le sensazioni,  tante le cose recepite girando nei luoghi dele apparizioni….

verg1.jpg

MADRE SANTA

Sfrondata E Silenziosa Ti Fisso In Questa Statua

Ispirata Da Notti Insonni Ad Artista Immanifesto

Per Cogliere Quell’alone Di Mistero E Grazia

Che Perviene Alle Genti D’ogni Razza

L’ Induce A Venire In Queste Valli d’Erzegovina.

Senza Sapere Se Il Cammino Ch’ Intraprende

E’ Per Fede Provata O Incredulità Sospesa

Stordita Da Frastuoni Apparentati Con Gli Assiomi.

MADRE SANTA

Intraviso Negli Occhi Diamantati Lo Spasmo

Per Figli Dissoluti Senza Ritorno

Sotto Lo Smalto Incolore Leggo La Trepidazione

Per Figli Malati Di Pudore Privi Di Coraggio

Farfalle Dall’ L’ali Mozzate

Pirottando Granellati Fra Arse Dune

Mulinati Da Venti Inospitali Del Loro Deserto

MADRE SANTA

Negli Occhi Sterminati Passano File Di Bambini.

Abusati, Schiacciati, Umiliati Da Spiriti Torti E Lordi.

Ondati Da Luce Stellata Balzellano Fra Anime Sterili

Destinate A Carezzar Figli Abbandonati

Ripudi Di Madri Insane E Fratricide.

MADRE SANTA

Nell’iridio Luminoso S’agitano Ammassi Informi.

Maciulli Traviati Da Guerre Scellerate

C’aspettan D’esser Rigenerati.

In Pagine Di Storia Sull’errar Umano E Sulla Gloria.

In Secoli Trascenti La Pietà.

MADRE SANTA

Negli Occhi Martirizzati C’è Il Figlio Adorato

Finì Crocifisso Ma Ci Ha Salvato,

Ti Scruta Con Immenso Amore Asciuga Lacrime

Rota Spicchi Di Sole Accecante

Rovescia Splendore A Marea Inneggiante

S’appella All’ Amor Di Genitrice Quisente Perdono E Favore Da

CRISTO SALVATORE.

Che Mani Carezzarono Soavemente Squarciato

Da Uomini Senza Onore E Senza Nome.

MADRE SANTA

Sotto Quel Manto Cilestrino Che L’artista Posò

Con Mano Esitante Per Non Sciupar L’incanto

Il Petto Si Solleva Effonde Uno Spiro Sfianto

Per Sorte Di Figli Abiuri Allettati Da Vacuo Brusio

Spettro Informe Rapente Anime In Eterno

MADRE SANTA

Cascate D’acqua Tersa Sgorgano Da Piedi Gnudi

Spruzza Arcobaleni Su Fiumi Imploranti

Li Bevera Ristora Guazza E Depura D’ Affanni

MADRE SANTA

Nel Battito Del Ciglio S’intravede L’’infinito

Solleva Veli Buianti Cieli Azzurrini

Stracolmi d’Angeli E Cherubini

Arpeggiano Con L’ali Note Foreste Al Sentire

Allietano Cortei D’anime Bianche

Eletti Foderati Di Luce Radiale Passan Fra Aiuole

Carichi Di Gemme Perlate

Empiono Canestri Di Speranze A Virgulti Acerbi

Frutti Abbondanti Maturati Da Preghiere.

Cascano Su Pellegrini Stanchi Fluenti Da Vari Sentieri.

MADRE SANTA

Le Tue Mani Affusolate Bianche Cerate

Si Muovono Leggiadre Fra Misteri Ignoti

Districano Trapassati Nell’indifferenza

Sfiorano Fronti Di Figli Dolenti

Salmodianti Nenie Concitate E Cantilene Di Rosari

Quietanti Timore Fallace D’incongruenti Ideali

MADRE SANTA

Con Occhi Divoranti E Pensierosi Cerco Di Carpire

In Statua Modellata

Trasfusa Al Terreno Da Luminaria Rara

L’armonia Di Perfezione DIVINA

Per Ritrovar Quel Filo Emozional D’orante

Magnificar A Lode L’ Interminabile Bontà

C’ Accoglie Chiunque S’appressa A Invocar

Intercessione A DIO Redentore

Odo Inni Gioiosi E Canti Melodiosi

M’allaga La Commozione Lo Spiro Vibra E Freme

In Un Baleno Ria Fervore E Consonanza

Sferzata Da Burrasca Accessoria

MADRE SANTA

Negli Occhi Gocciolanti Di Stelle Si Dirama Perdono

Abbraccia Consola Placa L’umano

Innova L’affratellamento Coercio

Pacifica Senza Vincolo Antropico.

*

PASSERO’ A RINGRAZIARVI INTANTO  A TUTTI UNA LIETA SETTIMANA

dif

L’IMMAGINE DELLA VERITA’

specchio 1.jpg

La donna raggomitolata nel suo scialletto d’un colore imprecisato, stinto dagli anni e dai lavaggi, immobile come una cariatide prima mi guardò dal bordo della fontana, mentre frettolosa attraversavo la piazza immersa nei miei mille pensieri, poi con una voce imprecisata che sapeva di remoto e d’avvenire disse: ehi, senti tu, avvicinati, ho da farti una domanda. Sai dirmi dove trovo l’immagine della verità? Io l’ho cercata in uno specchio opaco, in vette inaccessibili, in un pozzo senza acqua e fondo, non l’ho trovata. nessuno l’ha riflessa.

Mentre stranita dalla richiesta cercavo una risposta, la donna con l’occhio fisso all’orizzonte con una mano agitò il suo scialletto, scoprì uno specchio che teneva  stretto con l’altra al petto, poi senza darmi il tempo di articolare un suono vocale iniziò a raccontare:

“Ho cercato l’immagine della verità in uno specchio; non l’ho vista riflessa, troppo grigio, opaco e appannato dal mio fiato.

Allora ho cercato la verità nei riflessi dell’acqua d’una sorgente; non l’ho vista riflessa, troppo limpida e chiara.

Sono andata al pozzo a cercarla, non l’ho vista riflessa, troppo profondo e nero.

Non mi sono arresa, a  rischio della vita son salita e salita fin la vetta più alta del pianeta; c’era la nebbia che offuscava la vista e la verità non l’ho vista.

Son scesa negli abissi; c’eran troppi pesci che guizzando scomposti balucavano i mie occhi e l’immagine della verità  si è dileguata nell’acqua fosca

Son tornata caparbiamente al pozzo; mi sono sporta oltre misura per vedere se almeno c’era una goccia che riflettesse l’immagine ideale della verità, inutile, era privo di acqua che potesse acchiappare un fil di luce per diradare la mia caligine.

Allora scartata ogni logica ho messo l’immagine della verità al di sopra di tutto e per trovarla ho frugato in ogni dove, prima seguendo vie piane, poi quelle contorte e strane, infine quelle caotiche piene di alterazione dove ho calpestato a mano a mano quello che accortamente avrei dovuto pestare.

Per trovare quell’immagine che mi aprisse i cancelli della verità ho scartato il divino per abbracciare il meschino. Ho buttato anni di vita per donarla a chi ci giocava. Mi sono fatta marionetta volontaria di chi non sapeva animarla, mi sono fatta ingannare, mutilare, deturpare da chi non aveva regole e rispetto umano. Ho lasciato che anima e corpo si abbandonassero senza riserve offrendo la possibilità a chi voleva di approfittarne. Non ho saputo custodire una molecola di me. Ho permesso di togliermi volontà, respiro. Ho permesso di farmi divorare, succhiare ogni fluido di linfa. Ho accettato senza condizioni che pioggia, grandine, fulmini e tuoni potessero colpirmi. Ho offerto in olocausto me stessa a chi voleva distruggermi, polverizzarmi.

Vedi, lo specchio che oggi è qui nelle mie mani è argenteo, brillante; il sole lo illumina, imporpora la cornice dorata e il mio volto che le sta di fronte mentre cerca di carpire l’insondabile verità dell’altro volto. Ma nessuna immagine, nessuna verità, nessun volto riflette. “

Sai dirmi tu il perché?

 

La guardo strabiliata.  Nessuna immagine può riflettere lo specchio. E’ nero come la pece.

 

All’improvviso il volto in cerca di verità perde consistenza, evapora come fosse in una buca piena di acido.

 

Non so se ho captato le rifrazioni interrogative della cariatide immobile vicina alla fontana, raggomitolata nel suo scialletto nero e lo specchio stretto al petto o quelle di uno spettro  distrutto da una ricerca vana. So che la verità è una cosa strana, un’immagine ideale che non si trova in nessuna strada e la donna dalla voce senza passato e avvenire s’è dissolta prima che potessi darle  la mia risposta.

 

 

colibri.jpg