SAN GIOVANNI BATTISTA

36 Michelangelo Merisi da Caravaggio, san giovanni battista giovane 1602

Giovanni Battista, il battezzatore, è una delle personalità più importanti del cristianesimo in quanto la sua vita già dal grembo materno si intreccia con quella di GesùA iniziare dalla sua venuta annunciata dall’arcangelo Gabriele, lo stesso angelo che sei mesi dopo annunciò quella di Gesù alla vergine Maria, per proseguire con Giovanni che fu il primo dichiarare, più volte, di riconoscere Gesù come il Messia annunciato e, nel giorno del suo battesimo nelle acque del giordano, lo additò, ai suoi seguaci, come “l’agnello di dio che toglie i peccati del mondo” sottolineando il proprio rapporto di dipendenza affermando: “Egli deve crescere e io invece diminuire “lIlum oportet crescere, me autem minui” –vang. di giov.- In base alle narrazioni evangeliche Giovanni, figlio di Zaccaria e Elisabetta cugina di Maria, fu generato eccezionalmente quando i genitori erano in tarda età. Definito nei vangeli “voce di uno che grida nel deserto” vox clamantic in deserto, Giovanni secondo Marco – vestito di pelle di cammello e cibandosi di locuste e miele selvatico, conduceva una vita di penitenza e preghiera nel deserto. Proprio nel deserto sembra abbia avuto contatti con gli esseni, comunità monastiche giudee che vivevano nel deserto aspettando il messia, che praticavano già il battesimo, ossia l’immersione in acqua come rito di purificazione. Mentre per alcuni vangeli apocrifi, fu in seguito alla morte della madre che si sarebbe recato nel deserto dove fu istruito dagli angeli e uomini sapienti alla futura missione di conversione attraverso il battesimo. Imprigionato per aver condannato pubblicamente la condotta scandalosa di Erode Antipa, fu decapitato intorno al 35 d. C. per compiacere Salomè, figlia di sua cognata e amantePer aver conosciuto direttamente Gesù e per averne annunciato  la messianicità divina Giovanni è ricordato come “il più grande dei profeti”. Venerato da tutte le Chiese cristiane e non solo, insieme a Gesù è presente anche nel corano come un dei massimi profeti che precedettero Maometto. Da Agostino, ne dà notizia già nel IV secolo, sappiamo che la celebrazione della nascita di Giovanni al 24 giugno nel cattolicesimo è antichissima, e i riti celebrativi erano considerati un momento di pienezza di vita, tra l’altro insieme alla vergine Maria è l’unico santo di cui si celebra oltre la nascita terrena anche il dies natalis, ossia la morte come nascita alla vita eterna.

Tante le iconografie rappresentative di Giovanni Battista, per inciso è il santo più raffigurato nell’arte di tutti i secoli ciò testimonia il grande interesse che in tutte le epoche ha suscitato.

29 Battista-Caravaggio-Toledo-Museo-della-Cattedrale

Nell’immaginario collettivo il 24 giugno è un giorno speciale. Si dice che il solstizio d’Estate rende  tutto  possibile. ma  solo San Giovanni Battista tutto rinnova, purifica e conferma .

Nella tradizione più accreditata il 24 giugno è un giorno speciale, molto luminoso, carico di quella energia cosmica che magicamente può trasmutare il negativo in positivo.  tantè che gli alchimisti dicono che ha il potere di mutare il piombo fuso in oro.  

A parte ciò, In tempi lontani i solstizi erano le porte per accedere a dimensioni ultraterrene e a loro guardia era posto Giano bifronte, colui che contemporaneamente vede nell’una e nell’altra dimensione passato e futuro. Nel corso del tempo, la tradizione pagana mescolandosi a quella cristiana, pur conservando l’antico valore di custodia delle porte- fra i due mondi, terreno e ultraterreno, ha sostituito Giano con i due Giovanni: il Battista nel solstizio estivo e l’Evangelista in quello invernale per cui le porte solstiziali di lithia, sole alla massima potenza, si aprono il 24 giugno, giorno della nascita liturgica di san Giovanni Battista. Non a caso però. Secondo un’antica credenza molto radicata, anche nei paesi anglosassoni e celtici, è il giorno in cui il sole si sposa con la luna, ossia il fuoco con l’acqua, e nelle antiche celebrazioni di S. Giovanni il fuoco e l’acqua, falò e rugiada, sono i simboli più acclarati. L‘acqua che non bagna, la famosa guazza o rugiada, perché purifica ed eleva dona sapienza e fortuna, ai saggi potere materiale e spirituale; il fuoco perché non brucia i raccolti, ma riscalda, rinvigorisce, illumina le tenebre, incenerisce le negatività, dona abbondanza futura purificando la terra attraverso i tanti falò accesi nelle campagne che eliminano le scorie dannose del passato recente. Nell’antichità i riti d’inizio estate erano considerati un momento di pienezza di vita, di rinnovamento delle energie, di tempo per liberarsi da paure, tristezze e dolori della vita. Con San Giovanni Battista il solstizio d’estate invece è tempo di purificazione e di rinnovamento del sé, cioè un rinnovato impegno a Dio e a noi stessi. In realtà sacro e profano si fondono e si confondono nelle tante credenze, ritualità, magie e superstizioni fiorite intorno al santo e al passaggio del sole dalla crescita alla decrescita, in tutto il mondo. Per i più il 24 giugno, da mezzanotte a mezzanotte è un giorno in cui tutto è possibile, l‘inverosimile può farsi realtà concreta e il verosimile può addivenire astrazione pura, come per esempio la leggenda che se si va in un bosco ricco di felci si può avere l’esclusivo piacere di veder sbocciare, su una felce, un bianchissimo fiore che schiudendosi inonda di una luce purissima capace di fugare ogni sorta di male e stregoneria e donare ricchezza fortuna. O quella dei serpenti che si riuniscono e si trasformano in una grande palla sibilante e contorcente e chiunque riesce a prenderla ottiene poteri magici. Tante le tradizioni e i riti in uso legati alle celebrazioni popolari in onore di san Giovanni e al solstizio che rappresenta il Sole in tutta la sua gloria, passione e assicurazione del successo del raccolto. Per maghi e stregoni di ogni tempo la notte che precede la festa, ieri del sole oggi di san Giovanni, è considerata magica per eccellenza con tantissime storie di streghe, sabba orgiastici, riti a sfondo più o meno demoniaci e truculenti. Inoltre, porta con molti rituali legati alle fate che hanno influenzato popoli e tradizioni ma anche la letteratura, basta pensare a Shakespeare e al suo ” Sogno di una notte di Mezz’estate”.

 Riti e usi più popolari legati al sole e al Santo :

– i falò:l’ accensione serve a dare luce allo spirito depresso, saltandoli si ha fortuna, danzandovi intorno si allontanano gli spiriti malvagi; il “bagno” con la guazza come atto di purificazione e rinnovamento che richiama il battesimo hanno il posto d’onore. “ lingue di fuoco s’innalzano dal piccolo falò a rischiarar la notte fugando le ombre malefiche c’oscuran l’avanzar del  benigno dì ”

– l’acqua:  ” quando, il sole sposa la luna, il principio maschile feconda il femminile, l’elemento fuoco si allea all’elemento acqua, tutto il cosmo irradia energia annullando ogni maltempo”  allegoricamente richiama il battesimo nell’acque del Giordano.   Ha virtù lenitrici, eccezionali nei disturbi dovuti a infiammazioni e sfoghi cutanei come il fuoco di S. Antonio. Inoltre si conserva a scopo beneaugurante per la salute. – “ L’aqua de’ San Giuagne te proteije d’ognie malannje

 Si dice che un bagno ridona energia al fisico e alla mente, allontana pesantezza e affaticamento dovuti allo stress del quotidiano – Elimina le impurità della pelle, rimuove i malesseri di testa e stomaco dovuti a cause nervose o imprecisate. –  Protegge da invidie e gelosie di avversari e concorrenti fino al prossimo solstizio. – riporta alla condanna del    Santo dovuta alla perfidia di Salomèa – S. Giovanni fu mozzata la testa-

-“le   lacrime di S. Giovanni ” chiamate guazza. Ossia  la rugiada che si forma nella notte. esporsi alla guazza si dice che purifica liberando corpo e spirito da scorie negative accumulate nelle lunghe notti invernali, soprattutto rimuove i malesseri di testa e stomaco dovuti a cause nervose o imprecisate. – 

fiori e erbe:cogliere le “erbe” tra le tante usanze forse è la più popolare, in quanto le erbe e i fiori erano e sono il simbolo del potere guaritore del Sole  che, a Litha, raggiunge il suo apice e comincia la seconda parte della sua iperbole ovvero la discesa. Cogliere le erbe significa anche “raccogliere la Luce e conservarla per affrontare l’oscurità che si appresta a tornare. Ma quali sono le “erbe” e come vanno raccolte? Per le quali non c’è limite, ovviamente quelle che hanno potere curativo per gli erboristi, magico per quelli che credono nei poteri soprannaturali. Nella cultura contadina e popolare le erbe sono le preferite seppur variano da territorio a territorio. Per il come invece tradizionalmente la raccolta è importante e va fatta con abiti, utensili e gesti precisi. Tanto per dire: le erbe vanno colte con la mano sinistra, anche se nel canto scozzese per la Raccolta Sacra tratto dai Carmina Gadelica, con il quale i Druidi accompagnavano il rito, le indicazioni sono differenti, ovvero raccoglierle con la destra e riporle per conservarle con la sinistra. I contenitori, sia durante la raccolta, sia nell’essiccazione e conservazione, assolutamente non metallici, vimini e terracotta sono i preferibili, ma vanno bene anche sporte di tessuto. Mai recidere le erbe e i fiori con forbici o mezzi simili ma con le mani o un coltello di legno. Al momento della raccolta indossare una tunica, o un abito largo, in cotone o fibre naturali in colori chiari, meglio se bianca verde o arancio. Per precisare, la raccolta era ed è sacra, in quanto per i credenti rappresenta un momento di grande comunione con Dio e per i laici erboristi esperti un grande connubio tra la natura e l’uomo quindi foglie o pezzetti delle erbe, non vanno mai lasciati a terra ma raccolti e posti in un sacchetto di stoffa. Tra l’altro a detta di alcuni il sacchetto acquisterà un grande potere magico-divinatorio e se posto sotto il cuscino rivela in sogno avvenimenti terreni e ultraterreni – anche nella cultura celtica, la «messe magica» costituiva il riflesso di quanto avveniva nel macrocosmo, sul piano spirituale e quanto sarebbe avvenuto nel microcosmo sul piano materiale.

fiori e erbe: per ottenere l’ acqua profumata di san Giovanni a scopo beneaugurante per la salute. – “ L’aqua de’ San Giuagne te proteije d’ognie malannje. ” ha virtù lenitrici, eccezionali nei disturbi dovuti a infiammazioni e sfoghi cutanei come il fuoco di S. Antonio, leviga e toglie impurità dalla pelle  ma che in Spagna e altre parti le giovani donne utilizzano per  divinare e scoprire il ha virtù lenitrici, eccezionali nei disturbi dovuti a infiammazioni  il futuro amore.

– per decorare con foglie di betulla, finocchietto selvatico, iperico e lillà bianco le porte delle case per proteggere da malattie .

-per rinnovare saldare i vincoli d’amore. Legare a mazzetto 5 erbe: rose, iperico, verbena, ruta e trifoglio.

– le noci immature:per fare il nocino, il nocello, e il liquore detto schiara cervello”, sia come simbolo: da tenere in casa per rafforzare la fede in quanto la forma ovale del mallo indica spiritualità, e sia per richiamare il valore dell’uovo filosofico in cui si maturerà la pietra.

atakama 2

buona giornata di fede divina  e luce terrena

bydif

 

 

 

Una domenica sul… Monte

monte tabor

Già su quel pulmino, in compagnia di volti sconosciuti che si inerpicava, ebbi la sensazione che lo scenario di quel Monte aveva qualcosa di differente da renderlo affascinante e in quel salire a brivido sui tornanti c’era qualcosa in più del recarsi a visitare un luogo turistico.

Oltrepassata la “porta del vento” che con le sue pietre grige, sembra dir son qui a testimoniar la storia, sotto un cielo turchino, metto piede su una radura sassosa, contornata da alberi con a ovest una vista magnifica sulla pianura lussureggiante di campi verdi, delineati da forme variabili, incredibilmente perfette, dal rotondo al quadrato, illuminati da un sole splendente. A est, mura dirute scorrono in un lungo viale di cipressi e pini. A ruota del gruppo multietnico l’imbrocco e mi incammino per il mio giro di visita e conoscenza a luogo e monumenti. A fine viale, la natura s’apre a una incredibile prospettiva di fiori e verde. Varco un cancello. M’accoglie un giardino dalla vista e dai profumi attraenti con cactus giganteschi da sembrar quasi finti da quanto sono particolari, cascate di boungaville, di bianchi gelsomini, olivi, pini, querce d’un verde intenso, una varietà di colori che iridano l’occhio e dirigono i pensieri all’astratto solitario. Sorpresa dallo spettacolo mi incammino per giungere alla cima del Monte, punto focale del mio essere li. Mentre attraverso quella rigogliosa oasi con sole che macchia le foglie, delinea percorsi, tinge di rosa le vesti mi par che… Che le mie le scalda, le ribolle tanto che cerco un posto in ombra per refrigerarle. Trovo un angolo, mi siedo a ridosso di un muretto da cui sporge un cespuglio al culmine di una fioritura di un intenso fucsia e vermiglio da espandere un senso di chiarore all’animo esitante e scrutatore, finito in quel bollore per un impulso errante assetato di incontrare, conoscere, trovare, nutrirsi di bellezza e al contempo svuotarsi di quella consumata. Rimesto nella sacca-zaino in cerca del ventaglio ma il riverbero d’un raggio mi colpisce in fronte, mi blocca la mano, mi sfoca il pensiero, rende senza tempo lo sguardo e..e percepisco. Intuisco che il bollore delle vesti che mi ha arenato sotto quel cespuglio non è altri che un ribollir intimo. Poi, come per malia, quel riflesso ne snocciola il senso, l’origine, e in tutta la sua crudità svela la mia viaggiante pena. L’impatto è forte, tento di sollevarmi per disfarmi da calore e vista. Inutile. La cognizione mi sovrasta. Si accende e riarde sotto le vesti da scuotermi la terra arida a vulcano da farmi schizzare oltre quell’oasi sul Monte per depositarmi alla foce  di un fiume lunghissimo per esplicitarmi il suo gorgare diramante fino all’estuario. Ravviso egoismo e un tantino di terrore. Formarsi l’inquetudine. Presentarsi all’ego con passo smorzato. Infilarsi nei ribelli turbamenti intimi. Insediarsi col suo fluire nervoso negli incofessi desideri di rifiuto. Mettersi in azione dirompente la stabilità interiore nel momento ostinato di un no al Monte egotico.

Fu un giorno garbuglio.

Presa dal panico feci del tutto per abortire il Monte dal mio quotidiano temporale.

Anche se v’ero salita tante volte, anche se migliaia di altre avevo detto lo accetto, salgo. La verità nel profondo era altra. Ogni volta vi ero salita non per accettazione ma per aspettativa che il pendio si trasformasse in pianura. Purtroppo ogni volta era sempre Monte e assai arduo da scalare. Così, quel giorno, lo rifiutai a priori alla mia oggettività. Con cocciutaggine dissi: non lo voglio più nella mia vita come una condizione di eventi perfettibili e quindi di sofferenza trasfigurante atti e pensieri. Semmai che si presenta e debba inerpicarmi voglio, pretendo, sia un Monte temporaneo e per ogni salita indietro ambisco cose come soldi, contentezza, certezza di costruire senza subire crolli. Soprattutto rivendico  un diritto di gratificazione a profitto dei miei figli. Insomma ogni arrampicata obbligatami dalle circostanze, leggera o ostica, deve darmi la contropartita certa  che giammai i miei figli saliranno a un Monte. All’opposto mio, nella vita avranno tutto. La felicità in ogni sua accezione.

Che asineria il mio rifiuto e che utopia il mio esigere!

Anelavo, volevo.. ? Beh, ho avuto… abbondanza di stress fisico e mentale!

Difatto, rifiutarmi patteggiando un corrispettivo non ha eliminato i Monti da rampicarsi. Solo peggiorato le condizioni nell’affrontarli .

Invero quel rifiuto ha instaurato un meccanismo intimo di irrequietezza persistente che a mano a mano che constatavo il non ottenimento ambito, cresceva, cresceva e poi sprofondava nell’ interiore da rendere sempre più difficile mantenere il controllo da impedire di diventare insopportabile compagna di ogni parametro della realtà. La conseguenza del categorico rifiuto era logica ma sopraffatta dall’ego cieco non avevo saputo discernerla. D’altronde come potevo se mi ero ficcata in testa il tarlo fisso che a un certo punto della vita volevo essere una privilegiata, anzi una specialissima. Se, consideravo un diritto divino che la vita mi premiasse. Anche perchè ero straconvinta che quel Qualcuno di soprannaturale in cui credevo, se non prima almeno poi, doveva intervenire. Per meglio dire dall’Alto della sua giustizia doveva calare a tutti i costi la mano benigna della ricompensa sotto forma di beni materiali, guadagnati accettando il Monte e soffrendo ogni genere di traversia nell’ arrampicata?

Nel mentre quel riverbero frondava obliquamente i giganteschi cactus e mi dipanava l’origine dell’ inquetudine incessante che da anni trapanava l’intimo, e bruciava le carni, sento un frescore. sfiorarmi e quel bollore che mi ha arenata in quell’angolo sparisce. Riprendo il percorso del mio giro. Tra un mare di aromi, un multicolore variegar di forme fiorite, di verde, cocci, ruderi, oltrechè un accogliente ristoro con dei giovani sorridenti, un via vai di gente, di scatti fotografici, arrivo al punto alto, alla spianata del monte. Alla Basilica.

L’impatto visivo è notevole. L’architettura, di robusto vagheggio gotico, con le due torri campanarie protese verso l’Alto, si staglia nel cielo di un azzurro trasparente, come a chiudere all’occhio ogni visuale che disloca l’attenzione verso il basso per inquadrarla su un panorama ascendente indemarcabile. Ma ancor più significativo lo è quello dell’ingresso. La magnificenza policroma, le pietre pregiate, i marmi, le finestre, gli alabastri, le capriate, le figurazioni, il pavimento che a tre quarti della navata, con una ventina di gradini, sprofonda in una cripta che nasconde i resti di preesistenti fabbricati e in fondo culmina l’incanto nello sfoggio di un presbiterio, con uno splendore di mosaici di fattura italiana, d’insistente luccichio da ammaliar occhi e anima e parer inoltrarsi nel cielo. Affascinata dallo sfolgorio di bianco, blu, oro che riempe le curve pareti, mi siedo sulla panca sinistra del presbiterio. In silenzio miro e rimiro le tessere mosaicali e cerco di carpire ogni dettaglio delle immagini per fissarle nella mente. Quel guardare, nel suo insieme, mi estasia e come Matteo mi vien da esclamare : “è bello stare qui” .

Tanto bello da perdermi ogni cognizione del tempo e del contesto.

Nel mentre sto imbambolata con l’occhio fisso, su uno dei mosaici un brusio di un folto gruppo di visitatori s’approccia all’orecchio. Intuisco che l’atmosfera cambia e sta per iniziare la messa ma il mio muto imbambolamento non cambia. Un rincorrere di impressioni fortissime estrania la mente e tiene l’occhio inchiodato sui mosaici da non riuscire a seguire attivamente la messa che officia don Carlo.

A un tratto una dolcissima soave melodia si diffonde, cheta, avvolge, trasporta in uno scenario di luce. Tanta luce. Amore. Tanto amore. Mi par avvertire un respiro immenso. Forse è il fiato unisono della folla, penso. Riconcentro lo sguardo su tutta quella magnificenza artistica che mi circonda e.. E poi, che strana sensazione provo guardando i mosaici innanzi a me. È come se qualcuno dalle spalle mi sfila un sacco pesante!

Con una fugace riflessione mi dico: m’è parso che qualcuno mi ha tolto un carico.

Boh, non so capacitarmi dell’impressione ma mi sento alleggerita.

Ne incredula ne convinta seguito a guardare e poi domando: cosa c’era dentro, nel sacco, di così pesante? Anche se, a volte, mi dibattevo per togliermi qualcosa di fastidioso che mi piombava su un punto morto, rendendo il sorriso da spontaneo a greve in ogni gesto della vita, a essere sincera non mi pareva di avere un carico sulle spalle! Però.. devono essere state tante le cose che avevo infilato nel sacco se quando Qualcuno me l’ha sfilato ho provato un senso enorme di sollievo. Una leggerezza da sentirmi libellula e una beatitudine che mi trasportava oltre le pareti, fin in cima a una cascata d’acqua cristallina che depurava d’ogni scoria umana!

Perplessa dalla sensazione mi alieno dall’ insieme della folla.

Mille domande si affollano nell’intimo pensiero.

Non so darmi una logica.

Attonito lo sguardo fugge lontano. In silenzio guardo, non prego, o forse si. So che guardo, guardo e mi alleggerisco, guardo e mi libero. Una luce radiosa penetra dalla vetrata m’invade d’un ardore come da lunghissimo tempo non provavo.

Ohohoh.. Sono libera, libera, libera.

Libera da che? Non lo so ancora!

Strano.

Mentalmente ripeto un ritornello: i pesi si sono alzati, qualcuno li ha sollevati, finito il passato, si apre il futuro. Aria di Cristo ho respirato, pace e gioia mi ha toccato. Aria di misericordia fraterna mi ha circondato, il cammino è avviato, dove condurrà non ho da saperlo, oggi basta crederlo. Confido, spero, credo e spero che …che il tempo poi… non sia spietato con me! Guardo ..non prego..o forse si…

Una mano mi scuote. Una voce mi chiama. Passi mi tronano ma non mi distacco. Arriva don Carlo, perentorio mi intima di uscire e riaggregarmi al gruppo. Controvoglia mi alzo e lo seguo. Una luce accecante mi onublia la vista. A orecchio seguo il gruppo. Ripercorro il viale di pini e cipressi fino alla radura. Come un automa salgo sul pulmino che riporta a valle. A poco a poco riacquisto cognizione visiva. Rioltrepasso la porta del vento, un radioso chiarore m’invade d’un ardore come da lunghissimo tempo non provavo. In un attimo mi par chiaro il perché da un po’ camminavo con passo angoscioso, da un po, come impedito da una pigrizia cronica, insolita per me,il sorriso spento e atrofico non affiorava più sulle mie labbra. Ballenzolando su quei tornanti scoscesi guardo lo spettacolo naturale di quella terra che mi sfila fuggevole come il vento con predisposizione nuova, come a carpire una comunicazione, un linguaggio,un espressione da portarmi in aggiunta al momento vissuto e mi si apre un oltre di sensazioni extra luogo che non so descrivere. 

Non so, cosa sia avvenuto sul Monte, luogo di silenzio, ascolto, preghiera e contemplazione. Luogo spirituale, meta di continuo pellegrinaggio. So che tornata mi ha schiodato il c.. dal divano. La paura di affrontare il monte è scomparsa. Anzi, se si presenta mi par un pendio su cui inoltrarsi è camminare tra rose e fiori, tanto  piacevole da arrivare in cima senza fiatone e con una sensazione di vittoria, di completezza intima ineguagliabile da farmi gustare la vista panoramica che mi si presenta comunque sia.

Effetto montagna trasfigurazione? Boh, Mistero!

Buona domenica a tutti e… se vi capita o decidete di passarla inerpicandovi su un monte osservate bene il panorama per cogliere l’ oltre campo visivo. E’ meraviglioso!

bydif

la porta del v

.. Ci son tornata per scoprirlo. Solitaria il Monte mi ha accolto. In silenzio ho meditato. Forse l’importanza del luogo mi ha mutato ma  forse no..Forse ho pregato ma anche no…forse ho ringraziato ma anche no…ma di certo ora  so…Nel mondo sei invitata a essere il riflesso di ciò che vivi sul monte..Perchè? Se ben ascolti e guardi  Lui sul Tabor c’è.  Eccome se c’è!

Di “vomitevole” e cinico c’è solo l’idiozia di tornaconto!

aaa

In questi giorni, la presa di posizione del ministro dell’interno Salvini di chiudere i porti per inibire l’approdo a navi cariche di migranti con la conseguenza del blocco di Aquarius e del suo carico umano, 629 disperati, bambini, donne, uomini strappati al mare e alla morte, infuria in ogni dove e da ogni bocca fuoriesce ogni sorta di critica e di insulto contro di Lui e l’Italia. Chiaramente  la sua decisione, un po’ “muscolare” pare chiara a chi ha onestà intellettuale, vomitevole e cinica agli idioti di tornaconto.

Perché chiara a chi ha onestà intellettuale? 

Perchè apertamente è una decisione di provocazione volta a “smuovere le acque da quel Mediterraneo” in cui bambini, donne, uomini, dopo aver subito ogni sorta di nefandezza da soggetti criminosi, si avventurano in cerca di opportunità migliori da quelle dei propri contesti di origini e in cui, data la totale precarietà dei mezzi sui quali salgono carichi di speranza, da anni, senza il soccorso della marina, dei volontari, di uomini e donne italiani, sono destinati a sprofondare.

Perché “vomitevole e cinica agli idioti ?

Perché è storia inequivocabile. L’Italia all’emergenza umana risponde con generosità e senso altruistico sempre e gli altri paesi mai o quasi!

Perché di”vomitevole” e cinico c’è solo l’idiozia di tornaconto?

Perché basta dare uno sguardo ai comportamenti dell’Europa e dei vari leader della unione. Di vomitevole e cinico cè l’ipocrisia, la presunzione di superiorità etica, le risatine passate con l’affondo della Libia, il caos provocato, l’egoismo nazionalistico, l’impassibilità altruistica, i fili spinati, la chiusura dei porti, delle frontiere, i respingimenti forzosi, gli spari, le azioni di ricatto morale all’Italia, gli sberleffi a un popolo che mai ha girato l’occhio dall’altra parte e si è sottratto a porgere una mano, assistere, aiutare un essere in difficoltà! Di vomitevole e cinico cè il disconoscimento ipocrita dell’accoglienza migratoria sul suolo italiano. È narrazione innegabile che emerge dall’accoglienza di anni e anni nei tanti porti italiani, di anni e anni di carico morale e materiale di tanti disperati, di anni e anni di solitudine, assenza di solidarietà, rifiuto di ascolto, totale menefreghismo e indifferenza alle difficoltà, ai sacrifici dell’Italia e degli italiani da parte degli altri paesi comunitari. Di vomitevole e cinico cè l’assoluta mancanza di rispetto a un nazione, al suo popolo, soprattutto alla negazione del senso di responsabilità assunto a rischio e senza risparmio di energie, tempo, risorse per carpire alla furia del mare vite e vite di poveri esseri in cerca di alternative a guerre, fame, soprusi, di ore, giorni di angoscie e lacrime nell’allineare bare di quando purtroppo è stato impossibile.

Perché, l’Italia ha dimostrato coi fatti, in anni e anni, di non sottrarsi al disimpegno umanitario, di mettere al centro la persona e non il profitto economico o sciovinista, e nessuno ha il diritto di farle la morale o puntare il dito d’accusa di violazione a un qualche regolamento internazionale se per una volta simbolicamente attraverso un suo ministro richiama l’attenzione a un dramma umano epocale per altro se dagli stessi avocato in modo brutale e tenendo ben chiusi i loro porti!

Ovviamente va detto senza se e senza ma che nessuna politica, interna e esterna, senza umanità, attenzione ai deboli, ai bisognosi di aiuto, solidarietà nelle difficoltà a chiunque è una buona politica, e di sicuro non esiste ragione per cui va appoggiata o giustificata, tuttavia va anche detto che l’umanità non può avere il volto dell’opportunismo a tempo e tantomeno rivendicata come obbligo in “casa” d’altri e misconosciuta nella propria.

Eh si, di “vomitevole”, “irresponsabile”, nel blocco dell’Aquarius , o “cacciata “ come l’ha definita Macron, c’è che è troppo facile gridare: umanità, umanità e poi accollare agli altri l’obbligo di praticarla!

In questa storia, una volta tanto balzata alla ribalta per 629 esseri umani bloccati a bordo dell’Aquarius per un no all’approdo e non per scarico di bare di migranti però a rifletterci, mi vien naturale un pensiero di Sant’ Antonio :La natura ha posto davanti alla lingua come due porte, cioè i denti e le labbra, per indicare che la parola non deve uscire se non con grande cautela” .

bydif