LA CROCE SPODESTATA

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Noi Italiani siamo paradossali, togliamo il Crocifisso ai morti per paura che la sua vista offende qualche vivo!!!

 Possibile che non siamo più padroni di un simbolo?   Per quale motivo ci dobbiamo unificare ad un Credo? Dove finisce la libertà di professare una fede? A chi fa tanta paura una Croce su una lapide? Perchè dovremmo trasformare i cimiteri in asettici giardini? Mica ci andiamo in tour turistico, o ci passeggiamo con gli amici, ci andiamo ad onorare chi ci è stato caro. Nessuno si preoccupa se da vivi non godiamo degli stessi diritti, l’uguaglianza è fittizia, qualcuno muore di fame e qualcun altro per indigestione, lasciateci almeno la speranza che la paura assurda di qualche sciocco da morti, non usurpi i nostri diritti. Veramente c’è chi pensa che basta appiattire tutto per eliminare la discriminazione che esiste nel mondo?

Da sempre si è rispettata la volontà di chi non voleva una croce, perchè oggi si vuole rimuoverla? Sta scritto nel Vangelo: “Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome” Forse qualcuno leggendo i versetti del Vangelo di Marco si è messo in testa di applicarlo, o folleggia che è giusto e democratico togliere un diritto a tanti per concederlo a pochi!!

A volte per progredire è necessario varcare qualche frontiera ma spodestare le Croci ai morti mi sembra una bizzarria involutiva che rasenta la follia.

Se due ” LEGNETTI INCROCIATI”sono fulcro di particolare attenzioni, stimolano sfrenate fantasie e reazioni assurde per farli sparire, forse l’inconscio recepisce che quei due legnetti hanno una energia e una potenza superiore all’apparenza, racchiudono un messaggio CARISMATICO, quindi bisogna evitare che si diffonda. IMPOSSIBILE….BASTA OSSERVARE…..QUEI DUE LEGNETTI….FANNO PARTE DEll’ETERE…..COME FARANNO AD ABBATTERLO???

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foto di: eldar sc. a Medjugorie

 

LE TERRICOLE

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Non sopporto le formiche terricole perchè con il loro minuscolo granellino di sabbia che arraffano qua e la s’infilano in buchi che non ti sogneresti mai!!! Quando meno te lo aspetti ti ritrovi che ti han riempito tutti gli ingranaggi sensibili, specie quelli delle tende che hai messo per evitare sguardi indiscreti dei dirimpettai, ti ritrovi il telecomando che manovra il saliscendi una scatoletta esaurita, cambi le pile pensando di ridargli energia e invece dopo mille tentativi sei costretta a rivolgerti a un esperto che ti guarda come un ufo mentre stacca tutta la sabbietta che “quelle” hanno accumulato all’interno della centralina e nei condotti del telaio. Le terricole son terribili, per evitare guai ti costringono a stare sempre all’erta, a controllare che le file legionarie, più veloci d’una Ferrari ai tempi belli di Sciumi, non raggiungano l’obiettivo prima di te. E’ una impresa ardua stargli dietro per debellarle, mentre spezzi una cordata spiaccicandole con ogni mezzo quelle quatte, quatte son già ripartite all’attacco, han formato una fila interminabile che avanza inesorabile alle tue spalle, così ti ritrovi sfibrata e inviperita al punto di partenza, non riesci neppure a comprendere dove erano rintanate per mettere una di quelle trappole acchiappa formiche al gusto di miele e piretro che potrebbero risolvere il problema senza farti impazzire di rabbia. In questi giorni non so se per il caldo scoppiato precocemente, per noia, ripicca o motivi che sfuggono al mio umano intendimento sono accanite, han preso di mira un buchetto insignificante del telaio che mi sembrava di aver protetto rendendolo viscido con una spruzzata di olio antiruggine  ma quelle piccole e furbe terricole, non so come, son riuscite a fregarmi passando impettite sull’olio, anzi nel guardarle furibonda mi è sembrato mi facessero marameo. Le formiche terricole, “subfamily formicinae”  son tediose e pestifere come i pettegolezzi,  granellino dopo granellino seguendo la formica pilota costruiscono delle montagnette sferiche, delle vere iperboli di sabbia,  si infilano velocissime nei canaletti oscuri, li intasano costruendo i loro piccoli castelli di renella sicure che non le vedi e non le senti, ti accorgi del misfatto quando i meccanismi s’inceppano. Proprio come certi discorsetti renosi, all’apparenza innocui e facili da sgretolare ma in realtà veloci, persistenti e pericolosi perchè progettati con le tecniche della moderna ingegneria gossispiana che mira a edificare grattalingue resistenti ad ogni sorta di cataclisma, in sostanza un formicaio che da fuori sembra un guscetto inoffensivo ma se lo spacchi escon fuori una miriade di formichette con le loro parolette, si propagano a raggiera e in un battibaleno ti invadono e ti si appiccicano addosso a mo’ di sanguisughe che ti fanno rabbrividire dal disgusto, poi ci metti un sacco di tempo a ripulirti. Come le terricole le ciarle non sai dove crescono, come si sviluppano, e neanche perchè si infiltrano nei posti che più ti recan danno e se tenti di difenderti ti fan marameo!! La specie peggiore di terricola è quella che rivola in filze dietro al primo treno d’alta velocità che passa, s’infila di prepotenza nei meandri più disparati, cerca di acciuffare i granellini di rena tra la melma pur di costruire un nidietto, pone domandine e domandone come test attitudinale per scoprire strani marchingegni che gli permettono di abilitare legioni di altre formiche, soprattutto le zuccaiole, a scorrazzare su e giù per i vagoni con granelli di rena automatizzati,  farcisce canali e canaletti da mattina a sera con sputacchi di ramanzine e fiumi d’infida melassa, astutamente sposta la tua attenzione con strattagemmi di illusionismo da far invidia al miglior maghetto, si contorce come un vermicello partoriente per farti scattare la molla del pietismo e accorrere a raccattare la placenta.

Le cavallette, grazie al suggerimento di un blogger, le ho debellate affittando un gatto. Per  le terricole ho letto e riletto ma  al momento devo sorbirle. Il rimedio per farle sparire esiste, si tratta di trovare il predatore specializzato il ” chepalotus follicularis”ma dove lo trovo? Temo che fin quando non arriva una “gelata” che le stecchisce come baccalà facendole desistere dal passeggiare su e giù per i canaletti delle mie tende, seguiteranno impavide ad ammucchiar granellini di renella. Proprio ieri sera mentre mi godevo il fresco, seduta nel mio salottino di vimini, sul terrazzo deliziata dal profumo di gelsomino abbarbicato alla ringhiera,  ho adocchiato una filetta agguerrita di terricole ibridi, ballettavano una danza  per infinocchiarmi,  volevano farmi credere di non avere fini reconditi, di essere cicale disinteressate. Le poverine non sapevano che ero munita d’un canoscropio, un gioiellino di cannocchiale con incorporato un  microscopio, regalatomi  da mia sorella micro-biologa. Osservandole attentamente  ho capito che con la loro faccetta peciastra cercavano di far  leva sul mio sentimento estetico che aborrisce anche la più piccola macchiolina, così non mi sarei precipitata a cercare qualcosa per farle sparire, anzi le avrei assecondate e loro alla velocità della luce avrebbero  raggiunto la meta, non sono caduta nell’inganno, le ho fatte ballare lungo i canaletti premendo il telecomando. Ma non ho risolto il problema, domani tornano all’attacco. Forse se riesco a togliere l’ingrediente che gli serve da mattoncino si spostano, vanno a nidificare in altri recinti, magari si  infileranno nei tubi di quelli che si divertono a guardarle, mentre a me  fanno rizzare i capelli. Domani provo. A pensarci bene in qualche modo anche loro hanno diritto di sfamarsi, probabilmente son state istruite seguendo modelli e criteri che scorrazzando in canali e canaletti dai dai  qualcosa si rimedia sempre, non si rimane  a pancia vuota. A volte con questa tecnica rischiano di prendere la salmonella o d’incappare in un boccone velenoso e….Meglio adottare il sistema vivi e lascia  vivere, ossia fingere che non esistono…

LA SALVIA MIRACOLOSA

L’altra sera  il caldo aveva stimolato le mie voglie di socializzazione, così ho telefonato ad una mia amica e le ho chiesto se aveva voglia di frescura,  di trovarci  in piazza Scansione0003.JPGper fare quattro passi e aggiornarci sui progetti vacanzieri. La mia proposta cadeva a fagiolo, anche lei stava pensando di chiamarmi, aveva delle novità importanti e gli serviva un consiglio. Incuriosita le ho chiesto qualche indizio ma con la scusa che si faceva tardi non mi ha anticipato niente. Dopo mezz’ora di strada e un quarto d’ora di giri per trovare un parcheggio ad una distanza decente, arrivo trafelata al punto concordato,  cioè il bar gelateria all’angolo della piazza. Naturalmente sembrava che tutti avevano qualcosa da dirsi o necessità di rinfrescarsi perchè era strapieno di bambini che si rincorrevano, mamme che ciarlavano, papà che sbuffavano come vaporetti,  nonni allegri di tanta compagnia,  adolescenti che si scrutavano per capire come sgaiattolare. In mezzo al frastuono ci ho messo un po’ prima di trovare  la mia amica, s’era piazzata in un tavolino un po’ lontano con marito e figli e stava già gustandosi un bel gelato alla frutta. Dopo il solito rituale di complimenti e aver ordinato un caffè freddo con panna,  per me è il massimo quando ho caldo, ho chiesto di non tenermi sulla corda, di dirmi le novità. Avevo fatto un sacco di congetture ma non mi aspettavo che il tutto riguardasse una candidatura alle prossime elezioni amministrative. Sapevo che era impegnata in politica dal tempo delle primarie con Veltroni, ma dopo la delusione delle sue dimissioni e  il caos che aveva creato non avevo mai approfondito l’argomento anche perchè, in questo settore, le nostre posizioni viaggiano su frequenze diverse e di solito ci scontriamo. Svanita la sorpresa le ho fatto i complimenti e le ho chiesto come si era organizzata per promuovere le sue idee, come il partito la sosteneva, insomma come procedeva. Qui è venuto il bello!! In effetti lei è una persona valida,  seria e preparata, si prende gli impegni solo dopo aver valutato se è in grado di assolverli con competenza,  entusiasmo, e sacrificio e il fatto che aveva bisogno di un consiglio da una pasticciona come me non mi quadrava. Dopo un po’ ho compreso che il partito l’aveva mandata allo sbaraglio, non c’era alcun supporto organizzativo per programmare interventi e neanche un euro per fare un volantino di propaganda, inoltre l’ha candidata in un collegio ostico, dove storicamente la sinistra fatica assai ad accumulare voti. Non ripeto quello che ho pensato fra me e me mentre  chiedeva le mie impressioni di streghetta premonitrice, dirò  la cosa più carina su quello che il “partito” deve aver ipotizzato: ” la sua faccia pulita, nuova, e credibile ci può portare voti. Se perde è sua  colpa,  se vince è merito nostro che ci mettiamo il simbolo.” Le sue confidenze mi avevano talmente raggelato che il caffè sembrava un pezzo di ghiaccio e la panna un cristallo.  Comunque l’ho rincuorata e ho avvertito che a dispetto di tutto riuscirà a intascare un bel risultato personale. Per aiutarla mi è venuto in mente un vecchio detto di mia nonna: -Se vuoi  abbondanza la salvia ti finanzia. – Specificava che secondo una antica usanza quando una persona voleva aumentare il prestigio o attirare l’abbondanza dalla gente bisognava piantare la salvia, collocarla in un posto al sole, nasconderci  un bigliettino fra le foglie con su scritto quello che si voleva. Se la salvia non appassiva entro le 24 ore il desiderio o la richiesta si sarebbe avverata, inoltre  più foglie crescevano e migliore  era il risultato. Vincendo la mia avversione partitica,  per affetto ho piantato la salvia, ho composto un volantino, l’ho appeso  tra le foglie,  ho controllato la reazione. Debbo dire che non solo non è appassita ma ha già messo una nuova fogliolina. Altro che supporto d’un partito traballante che sa solo  chiedere alla gente  l’elemosina di un consenso  per non far stravincere Berlusconi!! Ho messo in gioco le energie cosmiche!! Di solito la natura premia chi ha intenti sinceri…si rivolta a chi la manipola. La mia amica lo è e la salvia farà il miracolo strabiliando i quattro ipocriti politicanti!!

Quello che non ti ho detto, mamma

FOTO 2.jpgAuguri mamma. Oggi è la tua festa ed io non posso abbracciarti, non posso vedere il tuo volto sorridere felice mentre scarti  i pacchetti e leggi i biglietti scherzosi e affettuosi di noi figlie, guardi orgogliosa e stupita quelli disegnati con lo stesso amore dai nostri  figli. Mamma,  mi manchi, mi manchi così tanto che a volte mi sembra di trasvolare il tempo e di essere vicina a te, così vicina che posso sfiorare la tua  fronte, i riccioli dorati e striati da qualche fiezza bianca, posso rannicchiarmi tra le braccia sode e forti, sentire il tuo cuore pulsare come quando bambina mi  coccolavi  placando il  pianto  per i dispetti di mia sorella o fugavi i crucci  di un brutto voto.  Non credevo che il distacco tra noi fosse così intenso e traumatico, credevo che ormai adulta avrei potuto camminare senza sorreggermi al tuo braccio, credevo che lavoro, figli, amicizie potessero riempire la mia vita senza farmi sentire la tua mancanza, credevo che potevo sostituirti o almeno sopperire alla tua mancanza viaggiando, incontrando gente, credevo che bastava riempire le giornate con tante cose diverse per non sentire malinconia e nostalgia del tuo sorriso dirompente, dei tuoi silenzi, del tuo sguardo amorevole,  soprattutto credevo di aver tanto tempo da sfruttare per stare in tua compagnia, abbracciarti, carezzarti, raccontarti i miei segreti, pronunciare quelle parole che covavano nel mio intimo e che tu pazientemente aspettavi, volevi sentire da me. Amaramente ho scoperto che il tempo all’improvviso non c’era più, un soffio leggero e impercettibile di vento si era insinuato tra noi scagliandoci  in due direzioni opposte togliendoci la possibilità di poter continuare il nostro cammino di madre e figlia così diverse nell’aspetto e nella filosofia di vita, quanto uguali nel modo agguerrito di portare avanti le proprie battaglie,  di affrontare le asperità del destino. All’improvviso ho scoperto che non potevo raccontarti i crucci, chiederti un consiglio, ascoltare i rimproveri, non potevo stringerti forte per trasmetterti l’amore, il rispetto, la gratitudine,  avere quel tocco leggero della tua mano sulla mia spalla nei momenti bui e dolorosi, non potevo sentire il calore e la forza d’animo che sprigionava dal tuo sorriso, dallo sguardo schietto ed a volte malizioso.   Ho scoperto che la complicità che c’era tra noi è insostituibile, che niente sostituisce la tua voce, nessuna parola amica ti ristora come la tua, niente ha lo stesso valore di prima nella mia vita, nemmeno il tempo.  Quel soffio di vento che ci ha temporaneamente diviso mi ha insegnato che ogni minuto potrebbe essere l’ultimo, devo considerarlo una vita intera,  devo sfruttarlo al massimo. Se quel maggio di 6 anni fa avessi ascoltato l’impulso del cuore oggi non avrei il rimpianto di non averti espresso tutto l’amore e l’ammirazione che avevo per te. Quello che allora non ti ho detto  è quanto eri importante, non perchè mi avevi partorito, quanto per le tue qualità di donna, gentile, sensibile, coraggiosa, delicata e al tempo stessa ferrea, spirituale  nell’animo realistica nell’affrontare il quotidiano, ambiziosa nei progetti ma semplice e spontanea nell’apprezzare quello che il fato ti concedeva.

Oggi i miei figli mi riempiranno di bigliettini scherzosi ma il mio pensiero varcherà la soglia, andrà oltre, ti raggiungerà ovunque tu sia perchè l’amore oltrepassa ogni forma di frontiera, sussurrerò quello che allora non ti ho detto,  sul tuo grembo lascerò un mazzo dei tuoi fiori preferiti, son sicura che sarà la più bella festa della mamma che passeremo insieme. Buonanotte mamma, salutami l’altra Mamma che ti ha accolto e tutte le mamme invisibili che ti fanno compagnia.

” L’OLMA “

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Ieri era una di quelle giornate in cui avevo necessità d’introspezione, di scavare nel mio profondo attraverso gli occhi della natura per sbarazzarmi di cose obsolete, rinnovarmi in spirito e materia. Così son salita sulla mia geppa e son partita senza una meta, dentro di me sapevo che il caso mi avrebbe guidato nel luogo della bisogna. Sotto la spinta sibillina che covava in me, ho preso l’autostrada, a Carpi l’ho abbandonata. Senza guardare le indicazioni dei paesi alla prima biforcazione ho svoltato a destra. Ad un certo punto noto l’indicazione “OLMA ” d’istinto percepisco che quella era la mia meta, senza pensarci due volte svolto nella stradina laterale, percorro circa 2 Km in un silenzio surreale,  quel silenzio che riserva il meriggio di festa assolato in aperta campagna, nel quale gli unici suoni che arrivano sono il ronzio delle api che vagano fra le margherite per succhiare il nettare, il fruscio delle ali di farfalle e calabroni che svolazzano festosi, il frinire di qualche grillo solitario in cerca di compagnia. Il luogo ideale per stare con se stessi, camminare fra i campi lasciandosi avvolgere dalle benefiche vibrazioni emesse dai toni di verdi, assorbire l’umore della solida terra,  olma2.jpgmentre si pensa ai fatti propri, per non lasciarsi fuorviare da astrazioni inconcludenti, godere, dopo quattro giorni di pioggia, del calore corroborante del sole. Mentre scruto cercando uno spiazzo per parcheggiare la geppa, all’improvviso la vedo, alta, maestosa, enorme nell’aia d’un casolare l’OLMA  sovrasta la pianura che la contorna come una grande madre ancestrale, protettiva e al tempo stessa severa, l’emozione che si prova guardandola è difficile da descrivere, è come se un sogno si materializzasse nel momento che non aspetti. Un cartello spiega che è un esemplare secolare, monumento nazionale protetto dal WWF della specie ULMUS CARPINIFOLIA o CAMPESTRIS. Intimorita da tanta maestosità mi avvicino, le giro intorno, cerco di abbracciarla per assorbire calore e suoni chiusi in lei, il tronco è enorme, da soli non si riesce a circondarlo, allora mi siedo ai suoi piedi, poggio la schiena sulle radici contorte, alzo gli occhi per ammirare la sua immensa chioma ricoperta da giovani foglie d’ un verde smagliante e afferro il messaggio. Questa volta non era necessario che maciullassi le meningi, il messaggio era chiaro dovevo stare solo un po’  sotto la grande OLMA, bastava ascoltare i suoni delle mie “cavità interiori”, rinnovare le mie frondi senza sbarazzarmi di nulla, dovevo lasciare che le vecchie foglie cadessero da sole,  a mano a mano  gemme nuove spuntavano innovando e vivificando la mia “vecchia” struttura. Sono rimasta lì 2 ore, senza un pensiero preciso, ho lasciato che tempo e spirito fluissero finchè ho avvertito che il “tumulto” bioritmico diventava una piacevole sensazione di freschezza e vitalità che riconciliava le mie frastagliate sensazioni di metamorfosi. Dopo aver ringraziato la generosa  Olma per avermi ospitato e consigliato, mi sono diretta in paese, volevo sapere qualcosa in più sull’olmo secolare e sfamare lo stomaco che brontolava. Al bar del paese tutti conoscevano la storia centenaria, una storia bella e romantica che cercherò di sintetizzare:

” L’OLMA “è un esemplare secolare di olmo chiamato al femminile dagli abitanti del paese per la sua regale generosità nel donare ogni anno  foraggio, frutti e fascine. Un brutto giorno alcuni abitanti della Valle d’AOSTA per gelosia scesero giù e lo tagliarono a metà, volevano che il loro OLMO BIANCO non avesse concorrenti, che fosse il più grande. Ma in una notte di luna piena l’OLMA ricrebbe come prima, l’indomani si sradicò, partì infuriata per la Valle d’Aosta, voleva vendicarsi. Trovò l’Olmo Bianco, ingaggiò una lotta furiosa finchè lo battè. A fine combattimento stremata dallo sforzo guardando l’Olmo Bianco mal ridotto si innamorò, fece la pace e decise di sposarlo. Il giorno dopo si unirono in matrimonio. Dopo una notte d’amore infocata i due olmi innamorati stabilirono che ognuno avrebbe vissuto nel proprio paese per non dare un dolore agli abitanti. A testimonianza del loro amore nacque l’Olmo Campestre che attualmente forma la zona verde della scuola del paese.”

 Proprio una storia romantica!  Ho passato un pomeriggio fantastico e pieno di intense emozioni. Ho saputo che anche l’OLMO BIANCO vive ed è un’altro esemplare di monumento secolare della natura protetto dal WWF, spero un giorno di passare da quelle parti per portargli i saluti dell’OLMA.