Quel giorno, a Gerusalemme , passo dopo passo sulla Sulla Via Dolorosa.

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Quel giorno, a Gerusalemme, non ricordo il giorno della settimana, forse era mercoledì, o venerdì, pellegrina tra pellegrini, percorrendo da mattina a sera strade e stradine, in cerca di comprensione, certezze ed anche emozioni, convinzione, rivelazione, attendibilità storica, scoperta degli enigmi della fede, in verità esalati dalla terra e percepiti ad ogni passo, son giunta in quel groviglio di vicoli della città vecchia, in cui si snoda la via Dolorosa. La via del “cammino di Cristo con la sua croce”. Il quartiere musulmano che tra botteghe strapiene di ogni sorta di spezie, motorini che ti sfiorano, venditori che ti assalgono, giovani che sulla ripida scalinata si scaracollano giù, carretti che arrancano, bambini che scherzano, donne paludate in lunghi abiti, uomini in fogge stravaganti, canti, grida, richiami del muezzin, vocio di gente di ogni colore, lingua, luogo della terra, rosari e orazioni riporta la mente, il cuore, la curiosità di ogni pellegrino alla narrazione degli avvenimenti tragici di Gesù. Percorrendola, pur tra un miscuglio indescrivibile di volti, distrazioni a gogò, mercanteggi, odori prorompenti che all’improvviso si infilano nelle narici o ti sollucherano lo stomaco, via vai di persone,di vita quotidiana movimentata, beh, non so come non so il perché ma ad ogni passo ti cambia la percezione di quel guazzabuglio. Passo dopo passo, una specie di atmosfera quieta, armoniosa t’avvolge, isola dal contesto, fa prendere coscienza dell’importanza del luogo, percepire la storia, cogliere tangibilmente il patimento di Cristo. In un certo qual modo trasporta oltre il tempo, a rivivere in tutta la sua crudezza la circostanza tragica di un condannato a morte dall’umana imbecillità. Percepire con forza l’insondabile mistero del Divino, del Suo cammino verso la morte per amore proprio di quell’umana stoltezza che un giorno lo Osanna e quello dopo con brutale cinismo lo condanna e Crocifigge. Quel giorno, non so se del primo viaggio o dell’altro, inoltrandomi, assieme a una folla pellegrina e no, su quella via Dolorosa ho vissuto emozioni indescrivibili. Passo dopo passo m’è sembrato di camminare al fianco di Cristo, avvertire, in quel tragitto, tutto il patimento del dono della Sua  vita per amore. Passo dopo passo ogni sosta vivficava ogni momento dolente  di quell’ultimo percorso di Gesù.  Era come si aprisse un sipario che ti svelava un pezzettino di storia sacra, del figlio di Dio sceso in terra per offrirsi in olocausto e al contempo ne eri parte. Partecipavi e ti nutrivi l’anima di straordinario. respiravi e ti avvvolgevi cuore e cervello di una intensità di sentimenti che mai avevi provato. Guardavi e gli occhi registravano una singolarità di immagini sconosciute che ti ribaltavano ogni supposizione, ogni concetto che ti eri costruito sulla storia degli ultimi respiri di Cristo, forse per tradizione, forse per opinione, forse per superficialità della fede.  Fatto sta che passo dopo passo, quel giorno, nella tappa dell’orto degli ulivi, nell’ora che umilmente Gesù si rimetteva alla volontà del Padre ho aspirato il suo mistero umano e tutto il mondo m’è parso morire in quella pietra ancor rossa di sangue e di sudore. Passo dopo passo, su quel lembo di terra verde e silenziosa, tra i secolari ulivi una ventata mi ha trasmesso l’ amarezza del vile tradimento per pochi denari. Avrei voluto fuggire per il disagio di tanta meschinità. Passo dopo passo, scena dopo scena, quel giorno ho percepito una immensa sofferenza per la stoltezza, l’avidità, la superbia umana che con freddo cinismo ingiustamente accusava,  condannava un “uomo” al supplizio e godeva del Suo strazio. Mi ha fatto provare sconcerto e vergogna. Avrei voluto rintanarmi nel buio androne di quella via, non proseguire quel cammino. Ma sarei stata una vigliacca, così interiormente scossa  ho proseguito.   Passo dopo passo, ad un certo momento in quel marasma di respiri e orazioni, un suono triste che somigliava a un lungo lamento o a un pianto sconsolato, ha sommerso i presenti, gli ha fatto volgere il capo per comprendere da che parte o da chi provenisse. Nessuno capì. Ma in quella nenia triste  ho avvertito una fiammata di calore, di forza carismatica invisibile che ti attrae, fascina e sconvolge.  Con una fitta al cuore, s’è aperto un varco nel mio pensiero, è volato oltre il tempo, ai piedi di una madre che guardava suo Figlio coronato di spine, grondare di sangue, cadere più volte sotto il peso di una pesante croce per offrire una chance di salvezza all’umanità intera. Passo dopo passo, in quel giorno pellegrino, nell’attimo che ho visualizzato quel Figlio che veniva inchiodato a quella croce, pianto   nel silenzio da Sua Madre mentre certi altri guardavano con indifferenza, quasi compiaciuti, ho percepito uno disorientamento spirituale che mi soffocava il respiro. Il mio pensiero, è andato  oltre la marea di pellegrini, oltre il vocio dei figli di questa terra santa, oltre ogni limite,  all’istante che la croce si alzava da terra e Cristo, nudo, solo e trafitto, piegava il capo e perdonava, agonizzava e assolveva, mostrava la sua fragilità umana.  Di fronte a ciò mi son sentita piccola piccola, indegna di quel martirio ma anche tanto, tanto irata e avvilita dalla crudeltà dei miei simili. Passo dopo passo, quel giorno, sosta dopo sosta, scena dopo scena, orazione dopo orazione,  quel giorno in cima alla via Dolorosa ho percepito un profumo  di incommensurabile dolcezza. Sapeva di  eterno e tra il sol che mi feriva l’occhio intravisto lo splendore del volto Divino.  Mi son sentita avvolgere da una luce, cospargere da cima a piè da  un immenso amore che mi ha empito l’animo di gioia e speranza. Soprattutto di certezza che la nostra vita non finisce davanti a una pietra. Va oltre.

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Passo dopo passo, quel giorno a Gerusalemme, su quella via del “cammino di Cristo con la sua croce” ho vissuto un esperienza che si è scolpita nel mio essere. Tutti almeno una volta dovrebbero passare di lì. Se non cambia la vita, di sicuro ogni passo su quella terra, su quei luoghi, fa riflettere.

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Nella luce di Cristo, Risorto auguro a tutti una Santa Pasqua serena, anzitutto di Rinascita.

Bydif

per la cronaca:
la Via Dolorosa è una strada a gradoni, per lo più in salita, all’interno delle mura della città Vecchia di Gerusalemme che parte dalla Chiesa della Flagellazione, più o meno il luogo in cui Gesù fu giudicato e condannato a morte da Ponzio Pilato e in poco meno di un chilometro giunge alla Basilica del Santo Sepolcro, che più o meno corrisponde al  Golgota, il luogo nel quale Gesù fu crocifisso, deposto e sepolto. Dunque la via Dolorosa corrisponde all’amaro tragitto di Gesù e la sua pesante croce  per giungere al punto in cui verrà inchiodato, trafitto, lasciato morire. Di fatto è la via che percorrendola rimembra tutte le fasi salienti delle ore finali della vita di Gesù Cristo sulla Terra. Nello Specifico, una parte della narrazione della Sua via Crucis messa a fuoco in 14 momenti, però, gli ultimi 5 sono all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. Tali momenti cruciali, comunemente definiti stazioni, in quanto i pellegrini sostano per  considerare l’avvenimento e pregare sono;1, condanna a morte di Gesù; 2, Gesù è caricato della Croce; 3, cade la prima volta; 4, incontra la Madre; 5, è aiutato dal Cireneo; 6, è asciugato dalla Veronica; 7, cade la seconda volta8, consola le pie donne; 9, cade la terza volta; 10, è spogliato; 11, è crocifisso; 12, muore; 13, è deposto dalla croce; 14, è sepolto.

A prescindere dal credo tutti i turisti in visita a Gerusalemme prima o poi transitano in questa via che a distanza di anni la narrazione che sviluppa in quel marasma del souk continua ad essere radice di convinzione mistica.

Attualmente, si può dire che per opera dei francescani che tra l’altro conservano il privilegio dei “quadri” rappresentativi per lo più di terrecotta, delle 14 “stazioni, la via dolorosa o via crucis si può percorrere in qualunque luogo vi sia un edificio di culto.
….
Curiosità sulla via Crucis
c’è un detto popolare che recita “anche lui o lei ha fatto la sua via crucis! Cioè ha subito una serie di sfighe che gli han causato patimenti e sofferenze.
In un altro senso, ” gli è costato una via Crucis! Cioè, lui o lei per ottenere quel posto, quel documento, quel diritto, è stato costretto a rivolgersi a così tanti e a girare in lungo e in largo   da contorcersi dal dolore.

Giovedì Santo

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Il giovedì santo è il giorno della Settimana Santa che conclude la quaresima e da avvio al cerimoniale basilare del mistero di Cristo, il Truido Pasquale. Ossia dei tre giorni conclusivi della vita terrena di Gesù Cristo. Per meglio dire richiama alla memoria tutti gli avvenimenti legati a Gesù, dalla cena con gli apostoli alla passione crocifissione, morte, fino alla resurrezione tre giorni dopo.

Il Triduo,  si può dire, il memoriale, cuore pulsante  dell’essenza della fede cristologica. Secondo il Rito Cattolico Romano inizia proprio ai Vespri del Giovedì Santo con la Messa in Coena Domini o Cena del Signore o del Crisma, poiché si consacrano gli oli santi, e si conclude con i Vespri del giorno di Pasqua.

Il rituale evocativo del Giovedì Santo, in primis ricorda l’istituzione dell’Eucarestia. Quel “cibosacramentale simbolo della consegna totale della vita di Gesù, di una nuova alleanza tra Dio e gli uomini, attraverso un pane spezzato e del vino versato durante l’ultima cena con gli apostoli. E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.

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Cena nella quale col cerimoniale della lavanda dei piedi memora l’amore che si fa servizio e dono. Eh, si, Cristo lo afferma nel momento in cui Lui, il Signore, il figlio di Dio, generosamente fattosi umano, con grande umiltà si inginocchia davanti agli uomini, suoi discepoli, per lavare loro i piedi. Durante la cena, …., Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”….Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. …..”Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “… Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.”

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Di seguito rammenta quella del ministero sacerdotale ” Andate e diffondente nel mondo la Parola in verità”

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e del comandamento dell’amore fraterno.”  Amatevi l’un l’altro come Io ho amato voi”

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La Messa in Coena Domini del  giovedì Santo non termina con l’ite missa est ”la Messa è finita” bensì con un momento di raccoglimento  che in silenzio vivifica l’agonia di Gesù, raccolto  in preghiera col Padre, nell’orto dei Getsemani.

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by dif

Le Palme o Passion Domine

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Le Palme o Passion Domine è la celebrazione di un episodio cristologico fra i più importanti per i cattolici, in quanto rievoca l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.

Secondo le scritture evangeliche il suo arrivo a Gerusalemme in sella a un asino, fu un tripudio glorificatrice di folla acclamante che agitava ramoscelli di alberi, foglie di palma, frasche colte dai campi; gridava osanna, osanna; stendeva tappeti al suo passaggio, tributandoGli onori riservati ai re. Ma, come succede spesso nelle vicende umanoidi, chiaramente l’osannante accoglienza di Gesù, contrasta nettamente con quanto consegue poi nella narrazione della Sua sorte. Infatti, poco dopo, allorché tradito per il vile denaro, arrestato e accusato di spacciarsi per il Messia, flagellato, deriso, coronato di spine, condannato a morte, mandato da Ponzio Pilato, quegli non convinto della sua colpevolezza, invita a scegliere tra Gesù e Barabba chi esentare dalla condanna, la stessa folla preferirà assolvere il brigante e condannare Gesù a una morte orrenda urlando:crocifiggiLo, crocifiggiLo”!

Di fatto l’episodio celebrato nella liturgia di oggi avvia la Settimana Santa. Ovvero i riti solenni che rievocano gli ultimi passi di Gesù su questa terra. Passi dolorosi, ermetici, di passione, falsità, rinnegamento, condanna iniqua, brutalità, crocifissione, morte. Tuttavia passi di consapevole accettazione di immolazione, di dono, di amore, di insegnamento, misericordia, perdono, rinascita. Innanzitutto, passi di conquista, liberazione, di trionfo della vita sulla morte. Dunque una ricorrenza di memoria rituale essenziale per i cristiani. Chiama a partecipare, ascoltare, silente meditare sul sacrificio immenso di Cristo; le friabilità etiche del genere umano; l’offerta del SE incondizionata a comprensione, mitezza, riscatto e salvezza eterna dell’umanità. Nondimeno, ognuno a riflessioni di riscontro del vivere la propria fede in parallelo con la via da Lui tracciata con tanta generosa amorevolezza e indiscutibile umiltà.

mazzetto di osanna

Qualcosa in più  su questa festività cristiana:

I Vangeli narrano che Gesù arrivato con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme, la sera del sabato, mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito. Il Vangelo di Matteo sottolinea che questo avvenne affinché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria “Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme. Giunto, la numerosissima folla, radunatasi dal ciarlare dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, tagliò rami di ulivo e di palma per agitarli calorosamente in suo onore a Gesù esclamando “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!”.

La liturgia delle Palme, si svolge iniziando al di fuori della chiesa. Il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma. Dopo la lettura di un brano evangelico, li distribuisce ai fedeli radunati che li porteranno a casa in segno di devozione e augurio di protezione divina da fulmini , malattie e cattiveria. Dopodiché dà inizio alla processione per accedere in chiesa e celebrare la Messa, durante la quale c’è dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, la lunga lettura della Passione di Gesù. Articolata in quattro parti: l’arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura. Ritualmente è alternata da tre lettori : il cronista, i personaggi delle vicenda e Cristo stesso.

Tale lettura della Passione non è la stessa del Venerdì Santo, poiché nella celebrazione del venerdì si legge il testo del Vangelo di San Giovanni.

La festività cristologica delle Palme, cade durante la Quaresima, che termina il Giovedì Santo, primo giorno del cosiddetto “Triduo Pasquale”.

È una ricorrenza mobile. Legata direttamente alla Pasqua, la cui data viene fissata in base alla prima luna piena successiva all’equinozio di primavera del 21.

La memoria della Passion Domine o delle Palme è celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti.

L’ Evento di oggi rimanda alla ricorrenza ebraica di Sukkot, cioè la “festa delle Capanne”, in occasione della quale numerosissimi fedeli arrivavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. Ognuno portava in mano il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie evoca il silenzio di fronte a Dio, legati insieme a una specie di cedro, l’etrog, con un filo d’erba, da agitare durante la salita al tempio peraltro ritmata da un continuo scandire Hoshana ( ossia salvezza )

Secondo alcuni l‘ingresso di Gesù in Gerusalemme, invece non corrisponde alla festa ebraica di Sukkot o delle Capanne, ma allorquando Gesù porta gli apostoli sul Monte Tabor mentre c’era la festa. Quindi alla nostra festa della Trasfigurazione, anche chiamata della Luce poiché è una solennità gioiosa dell’attesa del messia.

La saggezza popolare italiana ha prodotto alcuni proverbi sulla ricorrenza delle Palme:

L’olivo benedetto, vuol trovar pulito e netto.

La domenica dell’olivo tutti gli uccelli hanno il nido, e la merla furbarella l’ha per aria e l’ha per terra; ma il colombo sciagurato non l’ha ancora cominciato.

La palma benedetta, buone novelle aspetta.

Palma al sole, Pasqua con l’alluvione; oppure, Palma molle, Pasqua asciutta; Palma asciutta, Pasqua molle. Beh, se è vero, qui oggi ha piovuto quindi a Pasqua splenderà il sole.

col uliv

Comunque sia, pioggia o sole auguro a tutti una settimana di pacifica convivenza, di generosa disponibilità, in particolare di  spirituale vicinanza al Signore a chi ha fede in Cristo, e a chi non l’ha all’umana  esistenza del prossimo.

bydif

Riflessioni

oltre

Il guaio è che spesso con indifferenza si va oltre il sentire e poi si incolpa il fato !

vita

Nessun’altro può narrare vicissitudini e stati d’animo meglio di un insieme di autopennellate!

cambiare

La verità è impegnativa  sia a praticarla, sia a farla confessare che insegnarla!

essere

La nostra immagine esteriore involontariamente rivela al prossimo la nostra vera natura

vivere

Quando la materialità esistenziale predilige volger lo sguardo a terra  esclude il cielo!

 bydif

poesia amica:Fiori di primavera

prim 3

Se qualcuno chiede
quale sia l’anima del Giappone:
è un fiore di ciliegio
che profuma il sole che si leva.
Ad una bimba che cercava violette
chiesi d’un campo di fiori:
senza parlare m’indicò col fiore
il volo d’una farfalla.
Il giorno primaverile
è pieno di luce, chiaro, giocando…
Ma i fiori di ciliegio
ruban tutta la luce del sole.

Paul Verlaine

prim

Oggi è l’equinozio di primavera. Il primo caldo sole regala sensazioni di tepore che allontanano dagli occhi il grigiore,  il cielo rosaazzurro ritempra l’animo, il verde dei prati trasmette un non so di magico, il biancospino lungo la via candida i pensieri, le margherite, le violette, i tulipani le giunchiglie che sbucan qua  dalle aiuole irradiano di gioia il cuore, i peschi, le magnolie, il rosmarino in fiore  san di vita che continua. D’altronde in quasi tutte le culture l’ evento è sinonimo del risveglio della natura, dei sensi, dei colori, della luce e della vita.

Briosa primavera a tutti

by dif

Così continua la storia de la garrula fanciulla

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…La garrula fanciulla da incoronata se suppose che a suo piacimento tutto potesse fa e disfà, vocià su, bercia giù, girà e rigirà le parolette e niuno aver l’autorità de criticà, solo de applaudì la su loquace bontà. Per un po se sbizzarrì a far qui e li, a di e ridì, sensa avè appariscenza de garbugli e scontenti. Ma, sotto il sole l’olivo magico se perse de vigore, grigio e appassito non faceva più un figurone. Rovinata l’attrattiva della su bella coroncina la gente al su passo si voltò a guardà altra vetrina. Il populino se annò a frescurare un po ai monti un po al mare. Li su villani se smisero de zappare e se ripresero a fare i fatti loro lasciando sotto il sole la garrula fanciulla lor regina a boccheggiare.

Li per li, garrula come era de carattere, alla fanciulla le parve naturale che tutti i suoi paesani se prendessero na pausa per rifiatare. Dopo un tantino se affastidì a non vedè  più  attorno nessuno o quasi e cominciò a berciare che nun era accussì che appotea regnare a lor favore. Però ormai ognun de la su corte se fregava de seguì le su strade e tantomeno stasse a servilla e riverirla senza avè un benefit da ricavacce na vita abbellita da grazie. Quelli, che nun eran de la su parte, se presero a bersagliare de sassate il su tronetto per faielo crollare. La garrula, un po meno garrula nel sorrisino, capita l’antifona, andò nel suo giardino, se insabbiò il non più magico olivo, poi corse alla su villa in la collina a smaltisse l’ira verso l’ingrato populino.  Per un po’ meditabonda se stette a passeggià tra le su verdi comodità. Passeggia qua, passeggia la, se mise a guardà se tra querce tigli e ginestre c’era qualcosa da rimirà che la potesse risollevà. Guarda che te riguarda scorse un bel praticello di papaveri e margherite, stupita per si tanta bellezza amena, lo contemplò ammirata, le parve una agiatezza offerta dal destino, si rinfrancò, al volo le natiche vi posò, giuliva s’addormentò.

Intanto che ella, tra papaveri, margherite e verde erbetta con un bel sonno se ristorava, il magico olivo se languiva nella sabbia del giardino. Passò una fatina esitante lo guardò oltre se ne andò. Passò un baldo cavaliere irriverente di lui non si curò. Passò un capitano navigato e strafottente gli diede un calcio e manco lo guardò. Passò uno gnometto lo raccolse e rianimò alla su bella lo donò, quella se lo baciò e de botto ricca diventò e tutti gli gnomi ai su piedi se postò.

E la garrula? La garrula al su risveglio briosa e rinfrescata se pensò che nun ce stava a esse na regina ignorata, ma de avè tante virtù da sciorinà aggregà e fa ingrassà de bene tutti li paesani da esse da lor amata e rispettata.  Tuttavia, per tornare in auge e recuperà la su autorità forse era meglio cambiasse un po’ il look, apparì più semplicina. Andò da no hair stylist de fama, ie colorò de blu la bella bionda chioma che al su dir le dava un tono fashion da elevalla de dignità sovrana. Se recò da no stilist de abbiglio, se la guardò e rigirò, a suo occhio sentenziò che per esse al top un outfit casual era il non plusultra de sciccheria per daie un tono de donna progredita e populina. La garrula che ce teneva assai alla su immagine de eleganza da distinguo se storse un po la boccuccia e se elecubrò: vabbè cambià immagine, ma mette degli straccetti nun me pare un look de finezza da regina. Bensì era tanta la voia de riprendese la scena ne le piazze che se persuase a rinnovà l’abbiglio a mo de donna un po sciattina.

Annuovo de aspetto e de pensiero la garrula se sentì pronta a lascià la su villa in collina, scende giù, tornà a farsi ammirar e squaqquerare la su sapienza ne la piazza. Al suo arrivo non trovò quasi nessuno e quei pochi che c’eran la guardaron interrogativi, ie figurava strana e tutta azzurra ne la chioma assai ortodossa a travaglià la lor causa. La garrula se rimase maluccio, manco accapiva la lor indifferenza ma non se fece vedè  amareggiata, anzi se sperticò in sorrisi e strette de mani, se apprestò a fasse i selfi da  riempì per settimane li social giornali. Convinta de avè lo talento per ricompattà i su villani  attorno al su trono, conquistà quelli tiepidini, ammalià chi al contrario la pensasse, se cominciò a rigirar in su le piazze per acculturalli de tutte le su grazie.

Ma persa la magia dell’olivo il populino ascoltava, farò qui farò la e se andava. Ascoltava, io qui io la se andava, più non l’ acclamava. Anzi se affastidiva de la su boria e del su stasse al potere a propinà na massa  de le su ragioni senza  accettà  de fasse dì che nun era accussì  il lor pensiero. Daie oggi, daie domani più la garrula se faceva vedè e se parlava più er populetto se scostava. Cosicchè la garrula fanciulla se capì che la su impresa da regina indiscussa s’era sbollita. Per no affossà il su trono e subì lo smacco de perde il su vantaggio non le restava altro che riamicarsi tutti li cavalieri che aveva messo in cantina. Stasse a sorbì zittina, zittina quel che ognuno aveva da di. Sorride a questo e quello anche se en cor suo  lo voleva mannà a ficullo. Sopportà chi accriticava le su mosse nelle piazze senza fiataie.  Insomma ie toccava indietreggià ne su garruli, passà no po de prestigio ai vecchi capitani, medaglià li cavalieri, da la mano ai musoni, contentasse de rimanè regina e fasse servì e riverì da soliti citrulli e da quegli che pur de stasse belli grassi a corte se fregano de tutti e plaudono a tutti .

Come fu, come non fu, dopo qualche tempo,  la garrula fanciulla de tanta meraviglia  de bravura, de sapienza, de bellezza da encanto da esse incoronata regina, se flosciò all’occhio del  populino. La su favola finì che ie toccò adattasse a convive coi  villani come na influencer snob qualunquina. E per il suo populino tutto tornò come prima.

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Morale della storia? Ogni corona ha le sue spine!

bydif

 

 

 

La garrula fanciulla

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La garrula fanciulla a festa vestita per colline andava, tra querce felci e tigli cercava magici olivi per adornarsi la testa e incoronarsi regina de na accasinata massa de paesani. Ne scovò uno fantastico. Oh! che fortuna garrulò, con questo adorna rivali non avrò tutti i villani impazzirò. Ridendo e saltellando scese in piazza per farsi ammirar tanta bellezza. Molti incantò altri disorientò.

Convinta d’esser irresistibile la garrula fanciulla non si perse d’animo, studiò, se acconsigliò, col su olivello su e giù andò e pensò: son troppo bella prima o poi ce la farò! Gira qua, gira la, incontrò na specie de sardina, le parve assai carina e ne fece una spillina. Gira qua, gira la, col suo bel ramoscello in testa se sbracciava a sorrisà a chiunque incontrava. Su e giù per la piazza, s’adocchiò un capitano che le parve adattino a favorire le su mire da regina. Le fece un sorrisone e quello se la prese per adornà la su vetrina. Se disse: beh, nun è quel che aspiro ma va ben, e per non assembralle troppo snob o aviduccia de potere se fece modestina e  mentre se  accomodava in una piccola poltroncina in su  la su vetrina  se lo guardò coi suoi occhioni timidina. Per un po’ se sorrise e se fece ammirar da chi di la passava. Però, nell’intanto che quello se parlava e zitta zitta se faceva rimirar da chi passava, se pensava: prima o poi quel grassoccio capitano lo sbaraglio dal su piedistallo. Passò qualche mese a fa la statuina, poi venne a sapè da un belloccio che se voleva apparì al su occhio uno che a ella ce teneva, che un capitano se addoveva andà in pensione e se addoveva fa la su sostituzione. Woow, se disse garrula la fanciulla, è la mi occasione a famme acclamà regina! Lesta lesta se lasciò la poltroncina e garrula garrula col su bel ramoscello in testa se prese a girà per piazze e città per fasse ammirà la su loquacità de nobil signorina acconcia de sapere e de appeal a fasse ben volere da conquistasse il podio de regina. Gira qua, gira la, ridi qua sguazza la, se incontò un capitano famosello avverso a quello che avvoleva surclassà. Le roteò gli occhioni, le svolazzò come una libellula, lo riempì de sorrisoni e se guadagnò li su favori. Arzilla de avello acconquistato, se rimise a girà. Gira qua, gira la, parla qui riparla li, incontrò un conticello un pochetto presuntuosello oh, che bello che bello, esclamò, me pare assai abile e utilino a invoglià il su populino a zappà il mi giardino! Le scosse la su bella chioma, lo guardò coi suoi occhioni da timidina che quello se pensò de daie na manina. Accontentissima de la conquista,  garrula se rimise a girà. Gira qua, gira la, bercia qua, chiacchiera la convinse altri capitani a faie da cavalieri per guidalla sui sentieri e gabbà gli stallieri da broccà il cavallo de lo grassoccio avversario. Come fosse, come sta, garrulando garrulando scortata in su le piazze de paesi da le su conquiste, la fanciulla garruletta  al populino apparì di su piacere a soddisfallo alla bisogna de assilli giornalieri che se attrezzò a inghirlandaia de beltà e virtù da sparpaglià la chiacchiera che era er meglio che se se poteva trovà per finalmente cambià e fa cessà il vocià de qua e la che nun poteva più sopportà. Fatto sta che un bel di la garrula fanciulla san vide riconosce da tutti i villani del su e altrui paesello  esse tanto divina e opportuna a diventà lor regina. Al sapello, uhuh, nun sto addì la gioia de ella, te pareva na campana che batacciava a festa da richiamà la tempesta. Sfregolando de orgoglio, per appari al meglio, se corse ad acconciasse col su ramoscello de olivello,  poi con le chiome al vento e l’agghido  da non figurà sofistico al populino a gran sorrisoni andò nel piazzatoio de regno. Uh, che ammeraviglia addivenne il su arrivo. Iera tanto l’entusiasmo de avè la garrula fanciulla regina da sembrà che fosse scesa en terra  la maliarda de galassie a sparge de olezzi da fa arrisorge li morituri e rinsavì i capezzi.  Insomma, tra evviva de contento, esulti de glorie, elogi de quanto era intelligente, bella, e sopraffina a biascicà le parolette de sapè arruinì tutti a pensalla uguale, la garrula fanciulla se coronò er sogno de esse regina de tutti li villani. Assisa en pompa magna dal populino sul tronetto, subito se mise a squaqquerà de fa qui e de fa la. Se accircondò de paggi, staffieri e damine. Se chiamò na specie de  sardine a teneie lontano col loro profumino chi avvolesse blandirla per appoi faie no sgarbo sgraditino da rimandalla a fa la belloccia in su la vetrina. Se rabboni li vecchi marpioni, se tranquillizzò li volponi, se mise il grassoccio capitano in la poltroncina a faie da vetrina de modo che nun potesse ne dì ne fa nessuna cosina a su sfavore. Se accantonò tutti li cavalieri che l’avvevano su e giu infiorettata da fallì senti de miserelli citrulli boni solo a comparì per la su gloria per poi dovè sparì alla su comanda che ie facevan ombra.  Se mise in cantina  i musoni, li iellatori, i tiepidini  alla su incoronazione dacchè se tifan de vedè sul tronetto il capitano un po grassottello ma dall’occhietto strizzarello. Se zittì li vecchi capitani ciaciatori e li stralunati che se astavano ampietriti da la su impreveddibbile acclamazione a guardalla da li balconi. Per assecondà la su garrula stretegia de apparì na verace fanciulla populina se  accircondò de villanelli pronti a servilla in ogni sua agricola bisogna. infine, per sollazzà la su mania de arrimanè la  prima della fila se assoldò qualche innocuo pavoncello che bel bello  svolazzasse in su le piazze da incantà li accasinatori  del su regno. 

Ma la storia non finisce qui. La garrula fanciulla da incoronata ….

... garrula

bydif   continua …..

Quel vuoto che il tempo non riesce a colmare.

2

 Mi son chiesta il perché. In fondo è passato tanto di quel tempo da quel giorno che la sensazione di vuoto avrebbe dovuto sparire. Per altro ne è passato tanto in una girandola di avvenimenti il più delle volte non facili da affrontare con serenità di mente e spirito. Anzi, proprio a causa di quel giorno, migliaia di volte i succeduti son stati talmente ardui da sperticare anima e corpo e far crollare anche i senni più resistenti che avrebbe dovuto proprio sparire. Invece no. Manco per niente s’è sparito. Quel vuoto s’è annidato e come un serpente s’è attorcigliato a ogni giorno che è passato. Talvolta è così presente da dare l’impressione di una voragine che non vuole essere colmata o è impossibile da riempire con ore, giorni che si susseguono e diventano anni. Eppure dovrebbe . Non è che prima di quel giorno c’era tanto da sguazzare in gioie , serenità e facil vivere. C’era un guazzabuglio da mettere KO. C’era un succedere di altalenanti stati d’animo, di angustie, di rincorse spaventose per tamponare situazioni pericolanti. C’era un o stato d’ansia costante, un pressante escogitare come salvare il barcone dalla bancarotta. Uno snervante elucubrare sul come non far trasparire la reale situazione ai ragazzi. C’era un costante pregare, raccomandarsi a tutti i santi di non perdere la ragione, di non lasciarsi sopraffare da un continuum di fatti balordi che scaturivano da un sottovalutare le considerazioni sulle proprie azioni, l’incongruenza tra il volere fare e il possibile realizzabile. C’era una estrema differenza di intendimenti, sul come pilotare l’esistenza propria e altrui , l’una di responsabile logica pratica, l’altra di impazienza da rasentar la follia. Di specchio, il vuoto, nessuna ragione avrebbe avuto, ne in quella occasione ne dopo, di percepirsi. Tant’è che allora qualcuno disse che quel vuoto era una liberazione. Invece a distanza di anni e anni c’è. Perché resiste? Perché quel vuoto ha lasciato una eredità inconfutabile che ogni giorno carica di consapevolezza che nonostante le tante ragioni per colmarlo 4 altre ragioni oggettive ogni giorno lo ripropongono con una forza tale che non si elude. Non si può eludere. È sangue del suo sangue che ogni giorno ti rammenta che quel vuoto improvviso d una maledetta sera di marzo è l’assenza di un affetto, di un legame che non si dissolve col tempo. Già, quel vuoto scavato in un momento dalla sorte tanto tempo fa, in un modo o nell’altro, deve continuare a esserci. D’altronde l’ho subito avvertito che in nessuna circostanza futura poteva sparire come se mai fosse capitatole sulle nostre strade. Era come eliminare la metà dell’albero da cui, tra bene e male, son sbocciati i meravigliosi fiori che ogni giorno profumano l’aria che respiro.

evanescenze

Beh, quel marzo è lontanissimo da parer anni luce e il vuoto invece vicino da parer esser sotto i piedi; ciononostante la sensazione non è negativa, tutt’altro è di effetto che la vita di reazione al vuoto elabora una sua strategia di costanti fatti di bilanciamento, per cui il tempo non riesce a riempire il vuoto, lo mantiene presente. Direi vivo. A pensarci non è poi importuno.

by dif

Noi donne

Noi donne…

le svitate

Noi  donne, non viviamo di ossessioni ma di realtà quotidiane. Ci piace essere donne senza uniformi e pantaloni. Circolare in libertà in ogni occasione. Amministrare la femminilità senza limitazioni.

feffa rosetta ciarlina e

Noi donne siamo lavoratrici valorose a tempo pieno. Non un monopolio di mediocri assurdità. Abbiamo il diritto di essere ascoltate e valutate per il nostro fare. Acquisire pari condizioni umane. Non subire l’ingiuria d’una diversità.

...bettina tristina mimma feffa bianchina

Noi donne siamo guerriere piene di entusiasmo degne d’entrare in ogni competizione. Temprate da secoli di asprezza e disparità, siamo un universo di energia pratica, che sa quando e come agire, senza calpestare i diritti avversari.

le diverse8

Noi donne siamo gli anelli di congiunzione della catena globale. Il motore della società. Abbiamo un cervello pensante e razionale che fa girare il mondo. Non ci serve un giorno, una mimosa per esser motivate. Ci serve dignità, equità, sentirci donne legittimate e appropriate in ogni contesto e società

... le pettegole

Noi donne non siamo aliene piombate all’improvviso in questo pianeta. Siamo l’altra faccia di una stessa medaglia capace di lottare e soffrire senza aggredire, senza usurpare, senza denigrare, senza sottovalutare.

mam 7

Noi donne siamo l’ossatura della nazione, la linfa dell’economia. Il sangue che scorre sugli asfalti ogni sabato sera. Sui muri, sui tetti, nei campi, nei cantieri, tra le ciminiere, nelle corsie, nelle aule, nelle strade, nei cieli, nei mari, in ogni dove serve altruismo, ingegno e coraggioso impegno quotidiano. C’è l’occasione di sollevare, educare, imparare.

...chiaretta mestina rossa lisetta

Noi donne sappiamo ascoltare con tolleranza, dialogare con giustizia, donare tempo e esperienza con gioia, battersi contro ricatti, ipocrisie e soprusi con estrema coscienza, essere stoiche nel pericolo, perdonare senza condannare, essere libere senza perdere rispettabilità, obiettività, essenza femminile.

...dyf mulinella claretta irena

Per noi donne, l’8 marzo è un simbolo marchiato sulla pelle che vorremmo cancellare.Su questo pianeta?  Sa tanto di  miracolo che realtà! 

8 mar

Bydif

Non aspettare domani

Imma 7

Non aspettare domani

Per dire una parola gentile

Domani potresti non trovarla

Saresti costretto a cercarla

Nel mezzo d’una notte nera

Annichilito da una scena

Al canto triste d’una sirena

Non rimandare a domani

Uno slancio del cuore

Lascia che il gesto vada

Dove il cuore vola

Non piangere domani

Le persone che ami

Domani

Potresti non vedere

Nascere il sole

Di chi

Ragionando aspettava

Un gesto che scaldava

Non essere egoista

Ripiegato in un cantuccio

Esci vai in mezzo ai lupi

Lasciati sbranare piuttosto che

L ’indomani dover dire

Perché

Non sono andato immediato

A scostare

Dalla mente e dalla mano

il gesto insano?

Uno squillo di telefono bastava

A romper la monotonia

Farlo restar ancor in questa via

Almeno lasciarlo andare

Senza forzare la mano al pianto

Per un silenzio affranto

Non rimandare a domani

Un segno di conforto

Potresti dire perché l’hai fatto

C’ero io lungo la tua via

Domani

O.. forse dopo

Ti avrei soccorso

Scaldato la noia maledetta

Di bimbo vecchio abbandonato

In cerca di parola di carezza

Singhiozzi …

Frughi nella voce la risposta

 Oltre la finestra al gelo resta.

E. R.

A volte si rimanda, si rimanda, un gesto, una parola, un semplice squillo di calore umano, pensando di aver tanto tempo, o oggi o domani non fa differenza. A volte la differenza la fa, eccome se la fa. L’ addolorarsi dopo è arido .

Bydif