L’autunno

autunno

L’autunno avanza e con il suo policromo inoltrarsi offre uno spettacolo della natura ricco di sfumati tinteggi che passando dal rosso vivo, all’arancio, al giallo, all’ocra ai bruni si spengono in ossidi grigio-ruggine che attirano la vista e allo stesso tempo, almeno a me, insediano una variegatura di sensazioni emotive nell’anima, però non di malinconia ma di meditazione sulla vita, i suoi cicli, le metamorfosi, le chance. Occhieggiando all’intorno, mi par quasi che quel fogliame pigmentato col suo frullo in aria, quel suo accatastarsi pittoresco a macchia, quel suo cci ciac che suona sotto i piedi, sinfonizza più una celebrazione d’inizio di vita piuttosto che di fine di esistenza. È come se nello scenario che m’attornia affiori un che di eccitante, una coralità della natura di esulto e non di mesto avvizzo. A tal punto che ogni foglia arrugginita, sia che giace accartocciata o mulinella al vento sferzante, mi par esprima una briosa contentezza; che ogni albero spoglio una energia carica di fermenti e non di annichiliti desoli; il cielo fulgore e non spento grigiore; la nebbia visibilità e non oblio; le montagne movimento e non rigida staticità; in definitiva assorbo un che nel tutto di rosea metamorfosi che oltrepassa la logica del processo di declino. Intuisco che questa percezione sensoria che ho dell’autunno è po’ inusuale tanto più se considero che sono “figlia” dell’estate, stagione di vero animato rigoglio e solarità. Però la sensazione concettuale che l’autunno mi instaura col suo taciturno linguaggio di saccheggio è di accadimento positivo, di elargizione di auspicate nuove opportunità esistenziali e non di desertica espoliazione di curriculum vitae! Il che, ammetto, mi elabora anche un pensiero alquanto interrogativo dei percorsi esistenziali delle diverse “nature” nel creato. In effetti, vagabondare tra i vialetti del parco stracolmi di “creature” spopolate dal vento dai rami di alberi maestosi e piccoli cespugli mi scatena un subbuglio di meditazioni, in parte di umana invidia per un fato che alla natura concede di scambiarlo e all’uomo no, in parte per introspettiva ricerca di risposte a quesiti che mi affollano coscio e inconscio. Frequentemente in questo periodo mi ritrovo seduta nel parco a fissare i confini fra cielo e terra, come se in quel fissio ci fosse da captare una risposta risolutiva ai tanti sfuggenti perché, oppure istigata dai sensi ispeziono accuratamente l’intorno per capire se a quella progressiva sottrazione di vitalità in natura c’è ribellione o rassegnazione. A volte, l’occhio mi si immobilizza su un punto, come se li ci fosse da escavare, escavare per far uscire dal terreno la luce dell’ intelletto che schiara i rompicapo intimi sulla sorte spartita dal creato alle varie essenze. Il più delle volte però avverto una necessità di uscire per camminare in quella natura, tanto abbondante di sfumature policrome quanto disinteressata al frugare nella sua bellezza, per inspirare e assorbire tutti i suoi sinfonici effluvi,  perdermi in ore di silenziosi meditii che scorrono come attimi fuggevoli di spensierata leggerezza che esiliano gravami e riaccordano umori. Fatto è che immergermi senza reticenze in tutto quel tripudio di colori e aromi  poi, nel rientrare nel tran tran, mi fa sentire in uno stato di grazia come se in quella marea spumeggiante oro e ambra invece che camminare avessi fatto un bagno catartico.

Per concludere, non so il perché da sempre nell’autunno trovo un qualcosa di profondo e stimolante per sensi e pensiero e un atmosfera che mi energizza più della fiorita primavera e più della sfavillante estate. Se l’immagine istintiva che immagazzino è di esuberante vivezza e mai cupezza, forse è per affinità interiore o …forse perché mi par che una foglia cadendo a terra sa che non finisce li. Quel macero che subisce non è desolazione determinante è la possibilità eterna per ricontattare il destino. Mentre l’umana foglia… L’umana foglia non ha la stessa chance di duplicare la sua sorte, almeno non l’ha certa. É il mistero della sua esistenza che tanto, ma proprio tanto su questa terra vorrebbe tradurre in concretezza invece…. Invece se potrà tradurlo in realtà… potrà dopo. Quando il gelido vento spirerà e…e la sua foglia mulinando… mulinando…o si dissolve o…o si riclona!

Comunque sia intanto mi accomuno al pensiero di Soren Kierkegaard:

”preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda al cielo. In primavera alla terra. “

E guardando il cielo che in questo momento è sgombro di nubi  auguro tranquille e riconcilianti giornate autunnali!

by dif

Un gioioso aggregato policromo.

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Quando penso all’arcobaleno, subito mi balza in mente uno spettacolo della natura affascinante i cui coloratissimi attori, sono messaggeri di luce, bellezza e speranza. Se poi, dopo una tempesta burrascosa, mi capita la fortuna di vederlo sbucare all’improvviso in cielo, la vista mi scatena così tante sensazioni che resto a guardarlo come se fosse una visione paranormale, che so di un angelo, della Madonna o d’una divinità iridescente dai poteri resurtivi. So bene che l’apparir dell’arcobaleno è dovuto a un fenomeno ottico e non a un “miracolo” Tuttavia quei sette colori, che magicamente si stagliano ad arco, sempre e comunque mi suscitano fantasticherie belle, gioiose, corroboranti. Mi par quasi che con il loro cromatismo che si compenetra, delicatamente sfuma e riemerge mutato, siano annunciatori di presagi benefici,di attese a lungo covate che presto si faranno realtà. Si faranno realtà non per sola tua volontà fattibile, anche per quella invisibile a cui saldamente sei agganciata in fiducia. Seppoi il mio occhio ne recepisce più d’uno, nitidi e compiuti, come è già capitato, in gita sulle Alpi ne ho visti 3, in Portogallo ne ho avvistati ben 4 di questi fenomeni rarissimi, beh…l’incanto che assaporo e la marea sensitiva che immagazzino è roba da farmi stare imbambolata per una settimana! Comprendo che a qualcuno parrà una baggiana emotiva ma ci sono sensazioni che non controlli con la logica, t’investono a valanga e magneticamente agiscono sui tuoi riflessi razionali. D’altro canto succede la stessa cosa in un innamoramento fulmineo. In un istante sei “cotto”. Non sai perché, sai solo che appena t’è apparsa/o t’ha completamente conquistato in ogni poro della pelle. Certo, è pazzesco ritrovarsi eccitati e infiammati da perdere la bussola in un nano secondo. Però succede e l’imbambolamento a volte dura anche più d’una settimana. A ben considerare, i due “fenomeni” non sono poi così estranei. Emozionarsi alla percezione di un arcobaleno o a quella di un uomo o una donna, è la stessa cosa. In entrambi i casi il turbamento parte da uno “spettacolo” visivo straordinario che ti cattura l’occhio e ti scatena l’immaginazione. Irresistibilmente capti oltre l’apparenza quel qualcosa che attrae, stupisce, avvince e vivifica. Unica differenza: l’arcobaleno lo “catturi”, se riesci solo con un flash, poi si dissolve nell’etere; l’altro,lo catturi con le tue sembianze, se ti riesce lo vivi realmente, diversamente ignoto/a svanisce nel nulla.

Per tornare all’arcobaleno, non è poi strano se quando appare più o meno tutti alziamo affascinati lo sguardo. Ci sono fotografi che girano il mondo per poterlo immortalare. Non so se perché maniaci del riprendere o sognatori. Evidente che in quel multicolore arco c’è una ragione tale da fargli affrontare ogni sorta di sfida pur di eternarlo in uno scatto. Ciononostante, mi piace pensare che sia per l’ispirazione ammaliatrice di un “soggetto” che non sai se si presenta davanti all’obbiettivo, sai esclusivamente che se si esibisce è suggestivo, ti regala sensazioni eccezionali dacché mai l’uno che cogli sarà uguale a un altro, mai l’habitat in cui si manifesta sarà identico. Un po’ di quello che nel tempo ha stupefatto, a volte impressionato, altre terrorizzato, suggerito profezie, ispirato tante leggende. Non v’è cultura infatti che non abbia una narrazione su questa policroma meraviglia che appare e scompare in cielo. Per i cinesi era una fessura nel cielo sigillata da una divinità con pietre di sette colori diversi, mentre per i greci era il sentiero del messaggero degli Dei inviato agli uomini. Per i vichinghi e certi indiani d’America, un ponte che collegava la dimora eterea degli dei a quella terrestre degli uomini, invece per gli indù l’arco di Indra, dio del fulmine e tuono. Per gli irlandesi i suoi colori erano folletti e l’origine il punto di un tesoro nascosto, un pentolone colmo d’oro, mentre per gli aborigeni australiani era un serpente in cerca di antenati che irato dal buio sospirò così forte da far sgorgare acqua che si trasformò in arcobaleno. in Genesi è l’ arco iridato inviato dopo il diluvio a sigillo del patto tra Dio e l’umanità, laddove per il buddhismo tibetano tout court è un concetto importante od lus, un “corpo di luce”. Più terra a terra c’è la credenza che se un bambino passa sotto un arcobaleno cambia sesso, mentre la prevalenza di un colore è un indizio rivelatore di presagi benefici: rosso, buona annata di vino; giallo, frumento in abbondanza; verde quantità eccezionale di olive e olio;arancio,aumento di denaro; blu, pesca feconda; indaco, buona salute; violetto contatto spirituale. Ma se per 40 anni un arcobaleno non compare la fine del mondo è vicina. Ovviamente le convinzioni più antiche dovute all’inspiegabilità del suo apparire, le recenti all’inscindibile  rapporto fra essere e natura.

Ultimamente si avvista spesso l’arcobaleno,  non come fenomeno naturale di bellezza sorprendente, ma come simbolismo cromatico accomunato al “diverso” e assunto, universalmente da certi gruppi, tipo LGBT ovvero “ le persone arcobaleno”. Questo accostamento mi ha fatto molto riflettere per la metafora che vi colgo, o se vogliamo un certo parallelismo. Mi son detta, l’arcobaleno non è altro che la scomposizione della luce, cioè riusciamo a vedere la luce com’è quando trova una barriera che interrompe la sua velocità di molto superiore a quella della nostra vista. Dunque se il nostro occhio avesse la stessa velocità capterebbe non una luce bianca ma sempre quella arcobalenata. In definitiva, eguagliando la velocità, cielo stabilmente iridescente. Un arcobaleno a vita però perderebbe tutta la sua magia, non sarebbe più una attrazione straordinaria ma una normalità. Quindi…quindi anche se “scomponiamo” l’umanità perdiamo una magia, l’eccezionale diventa il normale? E poi? Cosa succede. Conviviamo nella diversità “cromatica” o diventiamo un agglomerato “bianco” anodino? Non ho trovato una risposta precisa. L’illusorio è una visione soggettiva, varia da pensiero a pensiero, da vista a vista, talvolta anche da scienza a scienza. Comunque, ribaltando il concetto, se conosco il “fenomeno visivo” abbatto credenze, di conseguenza non subisco il panico dell’apparenza. Ergo, se conosco il diverso non mi spavento. In fondo la conoscenza è la base dell’evoluzione di una civiltà! Credo di aver trovato un buon senso al simbolismo del differente. Mi aiuterà a “vedere” le persone in una luce a velocità rallentata. Benchè, c’è una profezia dei Red Sticks War – i bastoni rossi- cioè i Nativi Americani Creek, o Muskogee, che dice “ quando il mondo sarà malato e morente la gente si alzerà come guerrieri dell’arcobaleno”. Con tutti i cimenti imperversanti degli arcobaleni, mi incute un po’ d’ansia. Ma no!!! Che vado mai a pensare. Quell’arco luminoso che segue i temporali è talmente incantevole che può profetizzare solo un gioioso aggregato policromo. Tant’è che a volte si mostra rovesciato, come un enorme smaile. Un sorriso tracciato dall’artista del cielo per rallegrare e rassicurare la terra e i suoi abitanti che tutto ha una  ragione. Anche un arcobaleno. 

arcobaleno

   Coloratissimo week end!

                                                                       bydif

LE BELLISSIME !!

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Quest’anno il bagaglino, in barba alla recessione, ha messo in “tavola” un sacco di frutti saporiti così ognuno gusta quello che gli garba! Chi  ama la polpa succosa si prende  la bella melona ” Valeria”, chi gradisce la frutta secca schiaccia la bella noce ” Angela”, chi ama i frutti con la panna si mangia la fragolina “Justine”, chi ama i frutti solari si fa una bella spremuta con l’arancia sanguinella “Manila”,chi preferisce il frutto dal sapore di miele “acciuffa l’inossidabile “Pamela”, a chi piace il frutto col cacio sceglie la bianca pera ” Antonella”, chi invece si vuol godere il frutto sdraiato al sole grinfia l’uva gialla “Nina”, chi invece ama tutti i frutti si scodella una succulenta macedonia alla “Silvia”
Non c’è che dire una varietà eccellente!!!