Quando la natura decide di dar spettacolo

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Quando la natura decide di dar spettacolo, è fenomenale nel trovare il modo d’irrompere sulla scena e strabiliare. Non v’è al mondo nessuno che possa arrestare i suoi irruenti impulsi, men che meno competere per eguagliarla in meraviglie espressive. Ma, lo spettacolo che con i suoi segretissimi meccanismi offre è sempre idilliaco, placo, irresistibilmente magico, condiscendente e sintonizzato ai desideri umani? Si e no! A volte, come la fata buona, usa i suoi poteri straordinari per regalare avvincenti sorprese che riempono gli occhi di incomparabili apparizioni di forme e tinteggi e l’animo di emozionanti sinfoniche bellezze, tipo le aurore boreali o, in questo periodo, le “rose” di Atacama. Cioè una mirabile multicolore visione fiorita nel deserto cileno di Atacama, uno dei luoghi più asciutti e inospitali del mondo, da sembrar miracolosa. È 50 volte più desertico della Death Valley californiano! Il tutto “pregio” di esibizioni con forti piogge che penetrato il terreno arido immagazzinano quell’umidità essenziale da far ascendere alla luce e sbocciare semi e bulbi regalando una incredibile quanto spettacolare panoramica apparizione variegata, di forme e colori, da lasciar a bocca aperta chi, per volere o caso, vi capita.

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A volte fa la strega cattiva e usa le sue forze occulte in modo crudele e violento che riempono gli occhi di visioni spaventose e l’animo di allibito sgomento da togliere fiato e sorriso. L’ ha fatto nel “cuore” dell’Italia l’anno scorso, in recenti giorni in Messico, scatenando una serie di sussulti da creare inaspettati scenari angosciosi.

imm terrQuest’anno, nelle isole Caraibiche, Cuba, Stati Uniti con Harvey e Irma, purtroppo pure a Livorno aizzando furiosamente vento e vomitando tanta di quell’acqua da offrire agli occhi umani sconvolgenti immagini di desolazione.

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Esplicitamente, atteggiamenti estemporanei opposti della natura, ovvi spettacoli contrari. Quello della fioritura delle “rose” nel deserto: fatato, stupefacente e piacevole da gustare con tutti i sensi. Da applausi.

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Quello di terremoto, uragano, o inondazione: horror, quanto mai perverso, dal sapore tragico da far rizzare i capelli e accapponare ogni poro della pelle. Decisamente recital da fischi.

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Per quale ragione la natura, quando decide di dar spettacolo, ora è fata buona ora strega malvagia? Difficile arrivare all’origine delle sue scelte comportamentali per dare una risposta precisa. Per come asseriva il filosofo Aristotele, fondatore di una scienza complessiva della natura : La natura è un principio e una causa del movimento e della quiete in tutto ciò che esiste di per sé e non per accidente” Quindi, è fata o strega non a caso, per precisa logica introspettiva!

Un nesso vita, luce bellezza, una connessione causa, effetto bruttezza? Beh, nella totalità dei fenomeni che manifesta, delle energie che sprigiona in modo dolce o aggressivo, da sotto, da sopra e in superficie, un legame non è da escludere. D’altronde se qualcuno ha scritto: Natura! Noi ne siamo circondati e stretti, incapaci di uscirne e di penetrarla più a fondo. Ci afferra nel giro della sua danza senza invitarci o avvertirci, e se ne va alla deriva con noi finché siamo stanchi e il suo braccio ci sfugge…Essa ha pensato e tramato incessantemente; ma non come un uomo bensì come natura…Non ha linguaggio né parole ma crea lingue e cuori attraverso i quali parla e sente”

Indubbiamente la natura ha un sentire e dire cosciente che esprime e rende fruibile, a volte in modo plateale altre in modo sommesso. Il complesso sta nel recepire e interpretare esattamente ciò che comunica. Per quanto l’uomo la studi, cerchi di rubarle i sistemi, i segreti, di entrare nel suo spirito, a ogni rivelazione che riesce a strappare essa ne contrappone un’altra ignota, a ogni conquista comprensiva dei suoi fenomeni ne fa susseguire altri mille. Cosicché l’uomo non riesce mai a giungere a decifrare tutte le incognite fenomenologiche del suo essere. Anche se…anche se talvolta ci arriva eccome l’uomo a decifrare i suoi messaggi e cogliere le finalità ma per comodo egoistico fa lo gnorri. Se poi paga i risvolti che ha da lamentarsi? Vero che la natura si attiva a suo piacimento e si concede in base a sue leggi quietando o scombussolando il contesto, ma si comporta da natura semmai è l’uomo che non fa altrettanto!

In tutti i casi, quando la natura decide di dar spettacolo, le esibizioni sono esclusive e eccezionali e nessun recital umano può reggere a suo paragone o emulare l’esecuzione. È unica nel trovare il modo, sia in bene che in male, tempi e metodi, per sorprendere e stupire.

Buon weekend e piacevoli sogni in “maree fiorite” super colorate e risvegli  “extraterrestri” in luci variopinte!

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bydif

…le immagini illustrative le ho prese dal weeb, ringrazio chi le ha fornite

L’autunno

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L’autunno avanza e con il suo policromo inoltrarsi offre uno spettacolo della natura ricco di sfumati tinteggi che passando dal rosso vivo, all’arancio, al giallo, all’ocra ai bruni si spengono in ossidi grigio-ruggine che attirano la vista e allo stesso tempo, almeno a me, insediano una variegatura di sensazioni emotive nell’anima, però non di malinconia ma di meditazione sulla vita, i suoi cicli, le metamorfosi, le chance. Occhieggiando all’intorno, mi par quasi che quel fogliame pigmentato col suo frullo in aria, quel suo accatastarsi pittoresco a macchia, quel suo cci ciac che suona sotto i piedi, sinfonizza più una celebrazione d’inizio di vita piuttosto che di fine di esistenza. È come se nello scenario che m’attornia affiori un che di eccitante, una coralità della natura di esulto e non di mesto avvizzo. A tal punto che ogni foglia arrugginita, sia che giace accartocciata o mulinella al vento sferzante, mi par esprima una briosa contentezza; che ogni albero spoglio una energia carica di fermenti e non di annichiliti desoli; il cielo fulgore e non spento grigiore; la nebbia visibilità e non oblio; le montagne movimento e non rigida staticità; in definitiva assorbo un che nel tutto di rosea metamorfosi che oltrepassa la logica del processo di declino. Intuisco che questa percezione sensoria che ho dell’autunno è po’ inusuale tanto più se considero che sono “figlia” dell’estate, stagione di vero animato rigoglio e solarità. Però la sensazione concettuale che l’autunno mi instaura col suo taciturno linguaggio di saccheggio è di accadimento positivo, di elargizione di auspicate nuove opportunità esistenziali e non di desertica espoliazione di curriculum vitae! Il che, ammetto, mi elabora anche un pensiero alquanto interrogativo dei percorsi esistenziali delle diverse “nature” nel creato. In effetti, vagabondare tra i vialetti del parco stracolmi di “creature” spopolate dal vento dai rami di alberi maestosi e piccoli cespugli mi scatena un subbuglio di meditazioni, in parte di umana invidia per un fato che alla natura concede di scambiarlo e all’uomo no, in parte per introspettiva ricerca di risposte a quesiti che mi affollano coscio e inconscio. Frequentemente in questo periodo mi ritrovo seduta nel parco a fissare i confini fra cielo e terra, come se in quel fissio ci fosse da captare una risposta risolutiva ai tanti sfuggenti perché, oppure istigata dai sensi ispeziono accuratamente l’intorno per capire se a quella progressiva sottrazione di vitalità in natura c’è ribellione o rassegnazione. A volte, l’occhio mi si immobilizza su un punto, come se li ci fosse da escavare, escavare per far uscire dal terreno la luce dell’ intelletto che schiara i rompicapo intimi sulla sorte spartita dal creato alle varie essenze. Il più delle volte però avverto una necessità di uscire per camminare in quella natura, tanto abbondante di sfumature policrome quanto disinteressata al frugare nella sua bellezza, per inspirare e assorbire tutti i suoi sinfonici effluvi,  perdermi in ore di silenziosi meditii che scorrono come attimi fuggevoli di spensierata leggerezza che esiliano gravami e riaccordano umori. Fatto è che immergermi senza reticenze in tutto quel tripudio di colori e aromi  poi, nel rientrare nel tran tran, mi fa sentire in uno stato di grazia come se in quella marea spumeggiante oro e ambra invece che camminare avessi fatto un bagno catartico.

Per concludere, non so il perché da sempre nell’autunno trovo un qualcosa di profondo e stimolante per sensi e pensiero e un atmosfera che mi energizza più della fiorita primavera e più della sfavillante estate. Se l’immagine istintiva che immagazzino è di esuberante vivezza e mai cupezza, forse è per affinità interiore o …forse perché mi par che una foglia cadendo a terra sa che non finisce li. Quel macero che subisce non è desolazione determinante è la possibilità eterna per ricontattare il destino. Mentre l’umana foglia… L’umana foglia non ha la stessa chance di duplicare la sua sorte, almeno non l’ha certa. É il mistero della sua esistenza che tanto, ma proprio tanto su questa terra vorrebbe tradurre in concretezza invece…. Invece se potrà tradurlo in realtà… potrà dopo. Quando il gelido vento spirerà e…e la sua foglia mulinando… mulinando…o si dissolve o…o si riclona!

Comunque sia intanto mi accomuno al pensiero di Soren Kierkegaard:

”preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda al cielo. In primavera alla terra. “

E guardando il cielo che in questo momento è sgombro di nubi  auguro tranquille e riconcilianti giornate autunnali!

by dif

Festa dell’albero

albero

Era bello partire tutti in fila da ogni scuola per ritrovarci in piazza. Non che da parte nostra non ci fosse l’incoscienza e un pizzico di malizia di vivere la giornata dedicata all’albero, lontana dalle aule e dalle facce, spesso seriose dei prof allegramente, con schiamazzi e occhi scrutatori verso i gruppi studenteschi per adocchiare l’amica del cuore o il filarino per farsi segni e fissare appuntamenti. Ma c’era rispetto sentito e dovuto verso tutte le varie pianticelle rappresentative del nostro territorio addobbate con nastrini colorati e che una volta benedette dal vescovo sarebbero andate ad arricchire il nostro patrimonio boschivo. C’era la consapevolezza che quei piccoli pini, abeti, ginepri, olivi…erano indispensabili alla nostra sopravvivenza, erano i tutori dei nostri pendii, delle piagge, delle scoscese montane che in estate ci accoglievano e ci ristoravano nelle lunghe passeggiate o nelle scorribande facete. C’era rispetto per l’oratore che ci spiegava il perché era importante la giornata dell’albero, lo stavamo a sentire in silenzio immagazzinando i pregi civici di quel rito ossequioso, soprattutto involontariamente recepivamo quanto era importante piantarli, amarli e rispettarli. Ancora oggi se guardo un albero o passeggio in una qualsiasi pineta mi risuonano quelle parole e non posso fare a meno di provare un sentimento di gratitudine verso la natura che ci fornisce tanta bellezza e tanti strumenti per aiutarci a vivere al meglio. Certo, l’uomo a un certo punto per cretineria, egoismo, faciloneria e ignoranza civica e ambientale un bel giorno ha smesso di considerare gli alberi guardiani del futuro delle nostre terre per cui ha abolito di trasmettere ai giovani la cultura boschiva ma basta vedere quanto avviene un po’ ovunque per rendersi conto di quanto male ha fatto a se stesso. Di quanto è responsabile di disastri che portano via vite e risorse, distruggono famiglie e economia. L’anno scorso un po’ in sordina l’ha ripristinata. Doveva invece urlarla per farla entrare nelle teste e nei cuori. Un buon insegnamento non si dimentica mai, neppure si sacrifica per denaro facile. C’è un proverbio polinesiano che dice: c’è un tempo per fare l’albero e un tempo per fare la piroga. Oggi è tempo di fare l’albero e smettere d’essere piroga. Le sue radici ci sono indispensabili.

Felice giornata

by dif

LA “MAMMANA” EVOLUTA

In questi giorni di polemiche pro contro la ru 486, day hospital o no, mi  è venuto su un profondo disgusto contro ogni tesi poiché mi sembra che sono tante ”mammane” che parlano di zuccheretti da far degustare alle donne  per renderle felici e spensierate   mentre si fanno una passeggiata nella selva urbana e non di un farmaco abortivo che seppur lecito, dal punto di vista legale, tralasciando ogni considerazione etica, implica  una decisione lacerante che lascia una ferita indelebile  nell’animo di  ogni donna, atea o credente, costretta a ricorrervi per sua o altrui scelta

Così ieri, mentre me ne stavo beatamente sdraiata al sole per scrollarmi di dosso il lungo e grigio  inverno, nel vedere delle splendide cavalle  che scorrazzavano libere nei prati verdi  le ho invidiate. Si, per un attimo avrei voluto trasformarmi  in cavalla per  unirmi al gruppo e galoppare spensierata assaporando, in quella cornice incantata, i profumi che arrivavano dal bosco, magari uscire dal branco per inerpicarmi sul sentiero,  oltre la radura, e  arrivare alle cime innevate della Carnia  staccando da un sistema vociante, fastidioso per le orecchie e lo spirito. Un sistema che vuole venderti concetti balordi  dicendo che ti libera da schiavitù ma in sostanza ti intrappola in altre peggiori e cerca di  assuefarti alle sue regole senza pietà, in più se tenti di avere un opinione diversa ti taccia di arretratezza e ti prende per i fondelli portando a sostegno altri paesi dove la pilloletta suggestiva sembra che giri indisturbata deliziando le donne di quei paesi, come in altri per uno sguardo sono deliziate da sassate  finché non crepano.  Chissà poi perché  non dicono mai i rischi che ogni donna corre, e chissà poi perché ritengono che questa ru 486 sia la panacea di maternità resa  indesiderata quasi sempre da ignoranza, degrado, egoismo maschile e da mancanza di solidarietà sociale. A parte maternità dovute a violenza, per il resto difficilmente una donna se ha sostegno morale e materiale ricorre all’aborto. Inoltre tutto questo gran vociare sulla sua bontà risolutoria di dilemmi vecchi quanto il mondo mi sembra un marchingegno  per risolvere velocemente un problema educativo sessuale  e minimizzare il rispetto verso l’ indole femminile, oltreché un pensiero corrente di disvalore morale  istigatore. Vale a dire che la sua prospettata soavità deglutoria in tutta sicurezza mi suona come un invito:  fate pure quel che vi pare tanto ci pensa  la mammana ru 486  a liberarvi dal dilemma figlio si figlio no” Una volta essa aveva le sembianze d’una vecchia scorbutica e bitorzoluta del paese o dell’ostetrica  compiacente, oggi, col progresso si è evoluta e modernizzata riuscendo a trasformarsi in sigla. Di certo non dimentico le migliaia di donne costrette per motivi vari ad abortire con pratiche disumane tipo infilzamenti di ferri da calza vecchi e arrugginiti nell’utero, decotti concentrati di prezzemolo velenosi più di un morso di vipera ecc. ecc.. che ci hanno lasciato la pelle fra atroci strazi. Dico che prima di tutto non dovrebbe succedere,  bisogna educare a prevenire il problema non  escogitare mezzi e mezzucci  che convalidano i comportamenti superficiali e irresponsabili, rendono l’aborto un intervallo fra un rapporto e un altro, piacevole quasi quanto gustarsi un gelato in piena estate.

Invidio proprio quelle cavalle allo stato brado, libere da catene menzognere. Quantomeno a chi vorrà  piegarle al proprio intento, con la scusa che dentro una stalla saranno più felici di quanto possono esserlo scorrazzando  in una vallata verde prima di farsi imbrigliare gli  molleranno tanti calci, ma tanti calci  da farglieli ricordare in eterno.

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Snelle cavalle bianche

Macchie mobili

Di galoppanti consonanze

Su  verdi praterie

 Superbe confluenze

Di criniere provocanti

Espressioni di bellezza

E armonia fugace

Inesauribili energie

Mobili sensazioni

D’Impossibili imbrigliamenti

Su verdi praterie 

Eccitanti

 Cavalle bianche

Frenetiche masse

nature perfette

Con volontà potenti

Molteplici battiti

Eleganti movimenti

Cavalle libere

Senza catene

Senza padroni

Espressioni viventi

Di scalpitii furenti

Cavalle bianche

Macchie mobili su verdi praterie

Concerti galoppanti

In sintonia con gli elementi

 Spettatrici di schiavitù

 infingarde

diE.P.F.

dedicata a tutte le donne che non hanno il coraggio di reagire ad un progresso schiavizzante della femminilità

Simbiosi

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I legami d’amore e d’amicizia profondi  sono una perfetta simbiosi come  l’incontro fra quest’ape e la margherita. Rimangono  indistruttibili quando si alimentano vicendevolmente, non prevale, in uno dei due, egoismo e possessività  e per dirla con Karhil Gibran:
“nel piacere si distingue ciò che è bene da ciò che non è bene “
 “Basta girovagare  fra i campi e i giardini e si impara che è piacere dell’ape raccogliere miele dai fiori, ma è anche piacere del fiore cedere miele all’ape. Per l’ape infatti il fiore è fontana di vita, e per il fiore l’ape è messaggero d’amore, e per entrambi, ape e fiore, dare e ricevere è piacere e necessità ed estasi. Siate nei vostri piaceri come i fiori e le api. “
 
La bellissima foto è un connubio delicato e al tempo stesso appassionato tra due nature diverse, una vegetale e una animale.  Osservandola mi emoziona per la  complicità che trasmette.   Mi  fa riflettere  quanto sia  semplice per questi due “esseri” intendersi e   scambiarsi un reciproco favore, senza perdere leggerezza e armonia; quanto invece fra esseri umani è complicato, pesante  ed a volte impossibile intendersi, collaborare  e scambiarsi un minimo di favore!
E’stata scattata ed appartiene a Gegè

” L’OLMA “

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Ieri era una di quelle giornate in cui avevo necessità d’introspezione, di scavare nel mio profondo attraverso gli occhi della natura per sbarazzarmi di cose obsolete, rinnovarmi in spirito e materia. Così son salita sulla mia geppa e son partita senza una meta, dentro di me sapevo che il caso mi avrebbe guidato nel luogo della bisogna. Sotto la spinta sibillina che covava in me, ho preso l’autostrada, a Carpi l’ho abbandonata. Senza guardare le indicazioni dei paesi alla prima biforcazione ho svoltato a destra. Ad un certo punto noto l’indicazione “OLMA ” d’istinto percepisco che quella era la mia meta, senza pensarci due volte svolto nella stradina laterale, percorro circa 2 Km in un silenzio surreale,  quel silenzio che riserva il meriggio di festa assolato in aperta campagna, nel quale gli unici suoni che arrivano sono il ronzio delle api che vagano fra le margherite per succhiare il nettare, il fruscio delle ali di farfalle e calabroni che svolazzano festosi, il frinire di qualche grillo solitario in cerca di compagnia. Il luogo ideale per stare con se stessi, camminare fra i campi lasciandosi avvolgere dalle benefiche vibrazioni emesse dai toni di verdi, assorbire l’umore della solida terra,  olma2.jpgmentre si pensa ai fatti propri, per non lasciarsi fuorviare da astrazioni inconcludenti, godere, dopo quattro giorni di pioggia, del calore corroborante del sole. Mentre scruto cercando uno spiazzo per parcheggiare la geppa, all’improvviso la vedo, alta, maestosa, enorme nell’aia d’un casolare l’OLMA  sovrasta la pianura che la contorna come una grande madre ancestrale, protettiva e al tempo stessa severa, l’emozione che si prova guardandola è difficile da descrivere, è come se un sogno si materializzasse nel momento che non aspetti. Un cartello spiega che è un esemplare secolare, monumento nazionale protetto dal WWF della specie ULMUS CARPINIFOLIA o CAMPESTRIS. Intimorita da tanta maestosità mi avvicino, le giro intorno, cerco di abbracciarla per assorbire calore e suoni chiusi in lei, il tronco è enorme, da soli non si riesce a circondarlo, allora mi siedo ai suoi piedi, poggio la schiena sulle radici contorte, alzo gli occhi per ammirare la sua immensa chioma ricoperta da giovani foglie d’ un verde smagliante e afferro il messaggio. Questa volta non era necessario che maciullassi le meningi, il messaggio era chiaro dovevo stare solo un po’  sotto la grande OLMA, bastava ascoltare i suoni delle mie “cavità interiori”, rinnovare le mie frondi senza sbarazzarmi di nulla, dovevo lasciare che le vecchie foglie cadessero da sole,  a mano a mano  gemme nuove spuntavano innovando e vivificando la mia “vecchia” struttura. Sono rimasta lì 2 ore, senza un pensiero preciso, ho lasciato che tempo e spirito fluissero finchè ho avvertito che il “tumulto” bioritmico diventava una piacevole sensazione di freschezza e vitalità che riconciliava le mie frastagliate sensazioni di metamorfosi. Dopo aver ringraziato la generosa  Olma per avermi ospitato e consigliato, mi sono diretta in paese, volevo sapere qualcosa in più sull’olmo secolare e sfamare lo stomaco che brontolava. Al bar del paese tutti conoscevano la storia centenaria, una storia bella e romantica che cercherò di sintetizzare:

” L’OLMA “è un esemplare secolare di olmo chiamato al femminile dagli abitanti del paese per la sua regale generosità nel donare ogni anno  foraggio, frutti e fascine. Un brutto giorno alcuni abitanti della Valle d’AOSTA per gelosia scesero giù e lo tagliarono a metà, volevano che il loro OLMO BIANCO non avesse concorrenti, che fosse il più grande. Ma in una notte di luna piena l’OLMA ricrebbe come prima, l’indomani si sradicò, partì infuriata per la Valle d’Aosta, voleva vendicarsi. Trovò l’Olmo Bianco, ingaggiò una lotta furiosa finchè lo battè. A fine combattimento stremata dallo sforzo guardando l’Olmo Bianco mal ridotto si innamorò, fece la pace e decise di sposarlo. Il giorno dopo si unirono in matrimonio. Dopo una notte d’amore infocata i due olmi innamorati stabilirono che ognuno avrebbe vissuto nel proprio paese per non dare un dolore agli abitanti. A testimonianza del loro amore nacque l’Olmo Campestre che attualmente forma la zona verde della scuola del paese.”

 Proprio una storia romantica!  Ho passato un pomeriggio fantastico e pieno di intense emozioni. Ho saputo che anche l’OLMO BIANCO vive ed è un’altro esemplare di monumento secolare della natura protetto dal WWF, spero un giorno di passare da quelle parti per portargli i saluti dell’OLMA.